Aborto in Europa: una guerra da vincere

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di Stefano Fontana*

ROMA, lunedì, 15 marzo 2010 (ZENIT.org).- L’aborto in Europa ormai impressiona sia per le cifre, sia per le tendenze in atto, sia per l’impatto sociale e politico del fenomeno. Né la società né le istituzioni possono rimanere indifferenti.

La si può pensare in mille modi sulla vita e la morte, ma davanti a queste cifre e a queste modalità nessuno può nascondersi dietro vecchi slogan e battaglie di bandiera. Stiamo perdendo tutti la guerra perché se la vita non ha ragioni, chi mai potrà più avere ragione?

I dati forniti dall’Instituto de Politica Familiar di Madrid nel suo periodico “Rapporto sull’aborto in Europa” impressionano sia come cifre assolute, sia per le tendenze sociali di cui sono sintomo. Una gravidanza su cinque termina con l’aborto.

Nell’Unione Europa a 27 (UE27) negli ultimi 15 anni non sono nati a causa dell’aborto 20 milioni di bambini. E’ come se fosse sparita l’intera popolazione della Romania o dell’Olanda.

Nell’intera Europa ogni anno non nascono circa 3 milioni di bambini, una cifra pari alla popolazione di Estonia, Cipro, Lussemburgo e Malta messe insieme.

L’aborto è la prima causa di mortalità in Europa. Nella UE27 il numero degli aborti è pari al deficit di natalità: senza l’aborto sarebbe garantito il ricambio generazionale. In dodici giorni muoiono più feti che persone per incidente stratale in un intero anno. Il panorama è desolato e desolante.

Il 63 per cento degli aborti dell’UE27 avvengono nei paesi dell’Europa a 15 (UE15) ossia nei paesi del benessere. Mentre in questi gli aborti sono aumentati, nei paesi dell’allargamento a 27 sono diminuiti. Romania, Francia e Regno Unito hanno avuto il maggior numero di aborti nel periodo 1994-2008, però mentre la Romania ha segnalato un vistoso calo, così non è stato per gli altri due.

Nei paesi dell’allargamento il miglioramento delle condizioni di vita ha frenato l’aborto, mentre nei paesi più sviluppati la cultura del benessere li ha fatti aumentare. In questi ultimi il problema è prima di tutto culturale ed educativo.

Ed infatti sta scoppiando il caso degli aborti di ragazze adolescenti. Il Regno Unito è il paese di punta: nel 2008 sono stati 45 mila gli aborti realizzati da adolescenti (170 mila nella UE27). Il tema dell’aborto si collega quindi con il nichilismo dei paesi sviluppati, che è un fenomeno culturale e non economico, e con una generazione di teenagers fuori controllo.

Si collega anche con l’inverno demografico e con un continente stanco di futuro. Senza l’aborto avremmo in Europa 10 milioni e mezzo di giovani in più, di speranze e dinamismo, di idee nuove e entusiasmo.

Dentro questo quadro fa impressione il dato spagnolo. Qui gli aborti son aumentati del 115 per cento annuo, pari ad un incremento di quasi 70 mila ogni anno. Dal 1985 si cono accumulati 1 milione e 350 mila aborti.

E’ grazie alla Spagna, balzata all’improvviso al quinto posto in Europa, che l’UE15 mantiene alti i propri tassi di interruzione della gravidanza. I dati dimostrano che in Spagna l’aborto è adoperato come sistema anticoncezionale: le donne che hanno abortito più di 5 volte è aumentato del 213 per cento negli ultimi 10 anni. Anche in Spagna, come avviene in Inghilterra con le adolescenti, l’aborto è sempre più banalizzato.

Secondo l’IPF la recente legge farà aumentare ulteriormente il ricorso all’aborto: sarà permesso già dai 16 anni, sarà libero fino alla 14 settimana con estensione fino alla 22ma in caso di supposti rischi, si restringe l’obiezione di coscienza, si lancerà una istruzione capillare nelle scuole improntate alla ideologia del gender e della salute riproduttiva.

Le proiezioni dicono che nel 2015 si supereranno in Spagna i 115 mila aborti, in controtendenza rispetto all’UE27 ove complessivamente gli aborti sono in diminuzione.

Oggi l’aborto è ancora illegale solo in Irlanda e a Malta. In 14 paesi la legge lo prevede in presenza di determinate circostanze. In 11 paesi si può abortire senza restrizioni. Il 30 per cento dei paesi dell’UE27 non riconosce il diritto all’obiezione di coscienza In metà paesi è previsto un periodo di riflessione per la donna, in un’altra metà nemmeno.

Le proposte dell’IPF davanti a questa situazione sono molteplici. Vanno dalla riduzione dell’Iva per i pannolini alla costituzione di Centri di aiuto alla vita per madri in gravidanza.

Tra i più interessanti si segnalano l’Istituzione di un Libro Verde sulla natalità in Europa, la realizzazione nei diversi paesi di un Piano nazionale sulla natalità, una riunione urgente dei Ministri della famiglia e soprattutto un appello alla società civile, dato che le azioni dei governi sembrano molto deficitarie, quando non addirittura fallimentari.

Una cosa è certa: bisogna ricominciare.

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*Stefano Fontana è direttore dell’Osservatorio Internazionale “Cardinale Van Thuan” sulla Dottrina Sociale della Chiesa (http://www.vanthuanobservatory.org).

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ZENIT Staff

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