di Genevieve Pollock
INDIANAPOLIS, Indiana (USA), venerdì, 23 ottobre 2009 (ZENIT.org).- Fare impresa seguendo i principi cristiani produce ricchezze che servono a sostenere l’economia durante le fasi di recessione. È questa l’opinione di John Mundell, esponente dell’economia di comunione, nonché presidente e fondatore di Mundell and Associates, una società di consulenza ambientale con sede a Indianapolis.
In questa intervista rilasciata a ZENIT, ha parlato di alcuni recenti risvolti dell’economia di comunione, una rete mondiale di imprese citata da Benedetto XVI nella sua ultima enciclica “Caritas in veritate”.
L’imprenditore ha riferito degli esiti di un incontro che si è svolto a New York dal 21 al 23 agosto, nonché di un programma internazionale di formazione-lavoro, e di come questa rete ha fatto fronte alla recessione economica.
La prima parte di questa intervista è stata pubblicata il 22 ottobre.
Dopo l’uscita dell’enciclica, vi sono state altre persone o altri imprenditori che si sono avvicinati all’economica di comunione?
Mundell: Sì. Recentemente si è svolto l’incontro della North American Economy of Communion, vicino Hyde Park, nella cittadella Mariapolis Luminosa, del Movimento dei Focolari. A quell’incontro hanno partecipato circa 65 persone, di cui un quarto non avevano mai sentito dell’economia di comunione, né del Movimento dei Focolari prima di aver letto l’enciclica.
Si sono presentati semplicemente per via di quello che sta scritto nella “Caritas in veritate” e per il desiderio di saperne di più.
Negli ultimi due mesi vi è stato un accresciuto interesse verso questa realtà, anche se si tratta di un progetto piccolo a confronto con l’intera economia mondiale.
Cosa rappresentano 750 imprese nel mondo in cui viviamo? Ma d’altra parte non esiste altra idea che possa contare su così tante organizzazioni che operano sparse nel mondo e su questo atteggiamento e questi principi.
Io credo che la gente abbia capito che se l’idea dell’economia di comunione è stata ricompresa dal Papa nella dottrina sociale della Chiesa, significa che è un qualcosa che merita approfondimento.
Ci può dire quali sono stati i momenti principali del seminario?
Mundell: È stato un seminario di tre giorni, intitolato “Person-Centered Business: Hope for Today, Sustainability for Tomorrow”.
Il tema centrale è stato quello della persona umana come centro dell’impresa, in contrasto con il tradizionale modo di considerare l’impresa solo come un mezzo per generare profitti.
Abbiamo avuto un panel accademico incentrato sull’enciclica e una sessione dedicata all’impatto che queste imprese possono generare sulla comunità locale.
Quando queste imprese operano nella comunità locale, e costruiscono rapporti, possiamo vedere come questo aiuta i poveri e costruisce ponti; con l’economia di comunione cerchiamo proprio di abbattere i muri e costruire ponti tra entità diverse.
In che modo queste imprese stanno diffondendo un approccio incentrato sulla persona?
Mundell: Anzitutto, semplicemente nel modo di trattare i dipendenti e di operare con i clienti, con la concorrenza e con le persone che li circondano, nella vita quotidiana.
Questi operatori guardano lontano. Non si approfittano di eventuali situazioni economiche vantaggiose rispetto a un cliente, e cercano di assumere quell’atteggiamento evangelico di amore quando interagiscono con i loro impiegati e con le imprese locali.
Sono guidati dal criterio qualitativo, ma non solo nell’ottenimento del profitto, ma anche al fine di aiutare sinceramente i clienti a raggiungere i loro obiettivi.
Le persone che lavorano in queste imprese, così come i clienti, sentono che c’è qualcosa di diverso. Spesso chiedono: “Qual è la motivazione che sta dietro questa impresa? Non ho mai visto persone operare in questo modo”.
Secondo, è nel modo in cui l’impresa opera nella comunità locale. Per esempio, qui a Indianapolis abbiamo visto molte imprese attraversare momenti di difficoltà a causa della crisi economica. Abbiamo deciso di non limitarci a cercare di mantenere il nostro benessere, ma di cercare di aiutare anche le altre piccole imprese a sopravvivere, attraverso opportunità di collaborazione o portando loro il lavoro.
In momenti difficili come questo, fare un passo in più per aiutare qualcuno, anche quando questo non comporta un beneficio per la propria impresa, è un qualcosa che viene riconosciuto dalla comunità locale.
Facciamo anche dei lavori con le scuole e con le chiese locali. Negli Stati Uniti ci sono molte imprese buone che sono attive localmente. Anche noi operiamo così, ma cerchiamo di andare oltre ogni aspettativa, per diventare parte della comunità locale.
Infine, la novità è che abbiamo istituito un programma internazionale di formazione, in cui giovani provenienti da tutto il mondo trascorrono del tempo a lavorare nelle nostre imprese, per comprendere come viene gestita l’azienda in modo etico, con una certa gerarchia di valori e di principi.
Questi giovani hanno estrazioni formative diverse: management, ingegneria, amministrazione, ecc. Vengono sia per imparare gli aspetti tecnici, per acquisire maggiore professionalità, sia per gli aspetti imprenditoriali, per comprendere l’essenza stessa dell’impresa e come gestirla.
Questo programma si trova nella fase d’avvio, essendo iniziato negli ultimi quattro o cinque anni. Quest’anno la nostra impresa aveva quattro tirocinanti, provenienti dall’Argentina, dal Brasile, dall’Italia e dalla Spagna.
Sono venuti per conoscere com’è il lavoro nel campo dell’ecologia, ma anche per imparare come gestire un’impresa secondo questo principio di cui ha parlato il Papa, e che prevede alla base dell’impresa il senso di comunione e di relazione.
Che tipo di impatto avete potuto constatare negli altri Paesi?
Mundell: In alcuni Paesi come il Brasile e le Filippine, l’economia di comunione ha avuto un impatto notevole nell’aiuto ai poveri, ed ha ricevuto riconoscimento da parte delle autorità di governo.
Il Presidente del Brasile, per esempio, conosce l’economia di comunione perché questa ha aiutato i poveri delle favelas, gli shantytowns che sorgono atto a Sao Paulo, dove le comunità dei focolarini sono presenti. Molti degli aiuti provenienti dalle nostre imprese sono indirizzati lì, e questo ha aumentato il tasso di occupazione dei poveri ed è diventato un modello di sostenibilità.
Abbiamo anche un programma di microcredito che è già operativo. È relativamente nuovo, perché negli ultimi due o tre anni abbiamo capito che non è sufficiente fare profitti e redistribuirli.
È anche importante come gli aiuti sono distribuiti, come i poveri vengono incoraggiati, sostenuti e seguiti nel loro cammino verso un futuro più sostenibile. Questa è la vera sfida: farlo rispettando la loro integrità, e non come i benefattori di un tempo.
In che modo la rete dell’economia di comunione ha affrontato l’attuale sfida della recessione globale?
Mundell: Fondamentalmente l’abbiamo affrontata insieme. È stato difficile. Quest’anno, sono sicuro che avremo minori profitti da poter condividere nel mondo.
Ma abbiamo anche avuto qualcosa di sorprendente. Durante questi momenti difficili, quando le persone si confrontano con la possibilità di lavorare in imprese di tipo diverso, i rapporti diventano ancora più importanti.
Così, le imprese che hanno curato i rapporti con gli altri, hanno riscontrato che nei momenti di difficoltà, la gente è disposta a lavorare con persone che rispettano e che considerano le persone giuste con cui lavorare.
Quindi, in un certo senso abbiamo ricevuto sostegno al nostro lavoro, dalle persone con cui avevamo intessuto rapporti durante i mome
nti di crescita.
È come un segno della divina Provvidenza. Cercando di comportarci nel mondo del lavoro secondo ciò che pensiamo sia la volontà di Dio, abbiamo seminato rapporti che si sono effettivamente rivelati un sostegno per noi.
È come se attraverso il nostro atteggiamento avessimo messo da parte risparmi di amore e di rapporti con gli altri della comunità. Nei tempi di crisi, questa Provvidenza di Dio è stata come un bancomat da cui prelevare risorse per sostenerci fino al ritorno di momenti migliori.
In questo senso, direi che, mediamente, stiamo ottenendo risultati migliori rispetto a gran parte delle imprese, anche se questo non significa che le difficoltà non ci siano.
Abbiamo anche un diverso atteggiamento su come accogliere le difficoltà, le sofferenze e le sfide. Noi vediamo le difficoltà alla luce delle sofferenze di Gesù Crocifisso, che ha gridato: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”.
Noi comprendiamo che nelle nostre sofferenze, prendiamo parte a quell’opera di trasformazione del mondo in nuovi cieli e nuova terra.
Quindi, anche in questi momenti difficili, se li attraversiamo insieme, e comprendiamo il senso della sofferenza, ci sosteniamo forse meglio rispetto alla media delle altre imprese.
Come ha iniziato a lavorare in questo ambito?
Mundell: Ho iniziato un’impresa nell’economia di comunione 14 anni fa.
Prima ero il direttore tecnico di una delle maggiori società di consulenza ambientale del mondo. Attraverso il Movimento dei Focolari, ho deciso di voler mettere in atto questo mio desiderio.
Non avevo mai pensato prima di iniziare una impresa in proprio. Avevo sempre considerato gli imprenditori e gli uomini d’affari come persone incentrate sul denaro e sui profitti.
Quando Chiara Lubich ha elaborato quest’idea dell’economia di comunione, ho visto che era possibile farne una vera vocazione, una via per la santità, un modo per vivere pienamente la vita cristiana in questo mondo.
Così ho abbandonato la mia carriera precedente e ho messo su una società, che oggi conta su circa 20 dipendenti.
Secondo lei è così che solitamente avviene con le persone: che vengono a conoscenza dell’economia di comunione, ne sono conquistati e avviano un’impresa? O sono più gli imprenditori già avviati che cercano di incorporare queste idee nella loro attività?
Mundell: Abbiamo entrambi i casi. Abbiamo avuto persone che si trovavano nel mondo del lavoro già da tempo, che erano molto brave in quello che facevano e che hanno capito che questo avrebbe portato senso nella loro vita.
C’è un grande desiderio a trovare il senso del proprio lavoro. Molti si chiedono: “Come posso integrare me stesso e la mia fede con la mia vita lavorativa?”.
L’economia di comunione è vista come una delle possibilità per farlo: per mettere in pratica le proprie convinzioni di fede, nel contesto di una tradizione religiosa. Abbiamo così persone esperte che avviano un’impresa, o altre che convertono la propria società a questa nuova visione e iniziano a operare secondo i principi dell’economia di comunione.
Il fatto che molta gente viene a conoscenza di questo progetto mi dà molta speranza. Per me è stata una delle esperienze che mi ha cambiato maggiormente la vita: entrare a fare parte di questa rete e di questa comunità di imprenditori che cercano di vivere pienamente questi principi.
Se si cerca di dare un senso alla propria vita lavorativa, è possibile avvertire la chiamata a trovarlo in questa maniera che il Papa stesso sta incoraggiando.
D’altra parte, coincide con lo spirito della Chiesa cattolica. Credo che è proprio così che il primo Cristianesimo si è diffuso. La gente diceva: “Guardate come si amano; guardate, nessuno tra loro è bisognoso”.
Era una constatazione piuttosto significativa in quei primi anni, ma credo che lo sia altrettanto anche oggi.