di Carmen Elena Villa
AREQUIPA, mercoledì, 14 ottobre 2009 (ZENIT.org).- I criteri della cultura della morte rappresentano una minaccia per la società a partire dal suo nucleo fondamentale, la famiglia.
Lo ha affermato l’orientatrice familiare Elizabeth Bunster, cofondatrice del Proyecto Esperanza (Progetto Speranza), nell’intervento sul tema “Conseguenze della mentalità antivita all’interno della famiglia”, pronunciato durante l’Incontro Latinoamericano di Azione per la donna, svoltosi all’Università Cattolica di San Paolo di Arequipa (Perù) alla fine di settembre.
L’obiettivo principale del Proyecto Esperanza è quello di dare accompagnamento pastorale e psicologico alle donne che hanno abortito perché trovino la riconciliazione nella loro vita.
L’entità presta i suoi servizi pastorali in Cile, Colombia, Ecuador, Perù, Bolivia, Nicaragua, El Salvador e Costa Rica.
Ferire la famiglia
Secondo Elizabeth Bunster, la famiglia ha subito vari attacchi vedendo disconosciuto il suo ruolo naturale e storico nella vita della società e debilitata “l’indissolubilità del matrimonio, vincolo tra un uomo e una donna”.
L’esperta ha definito negativo il fatto che la società modifichi il concetto di famiglia “non fornendo sostegno alle famiglie che desiderano vari figli, e ancor di più proibendo loro di essere numerose o di promuovere la fertilità come se fosse una malattia e i figli un peso”, nonché “respingendo il diritto insostituibile dei genitori di educare e trasmettere i valori autenticamente umani alle nuove generazioni”.
“La famiglia è attaccata e messa alle strette in una cultura materialista, molte volte con l’impossibilità di un lavoro degno e stabile, non protetta dai sistemi statali e dalle politiche pubbliche che cercano sempre più la riduzione dei membri di questa istituzione naturale”, ha aggiunto la Bunster.
Conseguenze per la donna
In questo momento, ha aggiunto, si presentano invece nuove proposte per le famiglie moderne con migliaia di ripercussioni negative a livello familiare.
“La sterilizzazione o la promozione delle campagne di controllo demografico sono promosse come un beneficio e una forma di libertà per la donna attraverso la contraccezione, che non tiene conto delle conseguenze per la salute della donna e per i figli”, ha affermato.
Queste politiche implicano conseguenze come “il riconoscimento delle coppie di fatto e delle unioni omosessuali, e dell’adozione di bambini da parte di queste”.
Tali tendenza mostrano un concetto utilitaristico e una cultura dell’usa e getta”, con idee come “il cosiddetto diritto alla morte degna o eutanasia, il diritto di avere figli sani, di eliminare ogni tipo di violenza contro la donna come una gravidanza forzata”.
Ciò porta a una “cultura edonista, cerca il piacere al di sopra della dignità della persona e del valore della vita”.
La Bunster ha anche illustrato come i metodi anticoncezionali in varie occasioni possano promuovere il machismo: “C’è una chiara tendenza a usare l’aborto o a recriminare contro la donna perché non usa bene gli anticoncezionali”.
Partendo dalla sua esperienza nel Proyecto Esperanza, l’esperta ha sottolineato il profondo contraccolpo morale, psicologico e fisico per la donna, con conseguenze come “un profondo danno all’autostima, incubi, alterazioni del sonno, disaccordi con la famiglia o con gli altri, depressione, perdita del senso della vita, ansia, solitudine, rimorso”.
Allo stesso modo, le donne presentano in questi casi “senso di colpa, rabbia, dolore, disturbi alimentari, disturbi della condotta, ricerca di fuga nella droga o nell’alcool, tentativi di suicidio”; “sono tormentante dal peso di sapersi responsabili di una perdita così dolorosa”.
Per ulteriori informazioni: www.proyectoesperanza.cl
[Traduzione dallo spagnolo di Roberta Sciamplicotti]