Cardinale Bagnasco: l’annuncio di Cristo è il primo fattore di sviluppo

Il Presidente della CEI commenta la “Caritas in veritate”

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di Antonio Gaspari

ROMA, domenica, 20 settembre 2009 (ZENIT.org).-Nel corso della lectio magistralis pronunciata il 19 settembre a Genova nell’ambito di un convegno di studi dedicato all’ultima enciclica di Benedetto XVI “Caritas in veritate”, il Cardinale Angelo Bagasco, Presidente della Conferenza Episcopale Italiana (CEI), ha spiegato che “l’annuncio di Cristo è il primo e principale fattore di sviluppo”.

Facendo riferimento alla difficile sfida della globalizzazione, l’Arcivescovo di Genova ha precisato che “lo sviluppo non è solo una questione quantitativa, ma risponde piuttosto ad una vocazione” ed è evidente che “la questione sociale sia oggi inscindibilmente legata alla questione antropologica”.

Dopo aver ribadito che “il primo capitale da salvaguardare e valorizzare è l’uomo” il Presidente della CEI ha rilevato che “lo sviluppo non è un processo rettilineo, quasi automatico e di per sé illimitato, ma è determinato dalla qualità umana degli attori chiamati in causa”.

“Ed una visione trascendente della persona – ha aggiunto -, ha bisogno di Dio: senza di Lui lo sviluppo o viene negato o viene affidato unicamente alle mani dell’uomo, che cade nella presunzione dell’autosalvezza e finisce per promuovere uno sviluppo disumanizzato”.

A questo proposito il Cardinale Bagnasco ha denunciato che 1,02 miliardi di persone sono in condizioni di sotto nutrizione e che la combinazione della recessione economica mondiale e dei persistenti alti prezzi dei beni alimentari ha aggiunto altri 100 milioni di persone in stato di denutrizione e povertà cronica.

Parlando dell’Enciclica “Caritas in veritate” il Presidente della CEI ha affermato che la Dottrina sociale della Chiesa è il luogo in cui la carità purifica la giustizia, e “non c’è carità senza giustizia perché si tratterebbe di semplice assistenzialismo, per altro verso non si dà giustizia senza carità perché si finirebbe nelle secche di un arido legalismo”.

Riprendendo una affermazione del Concilio Vaticano II, l’Arcivescovo di Genova ha sottolineato che “lo sviluppo dei popoli dipende soprattutto dal riconoscimento di essere una sola famiglia” e che la Chiesa fornisce il proprio apporto allo sviluppo anzitutto quando “annuncia, celebra e testimonia Cristo, quando, cioè, adempie alla propria missione di evangelizzazione”.

Sullo sviluppo sociale come questione antropologica, il Presidente della CEI ha spiegato che “lo sviluppo vero non può tenere separati i temi della giustizia sociale da quelli del rispetto della vita e della famiglia e che sbagliano quanti in questi anni, anche nel nostro Paese, si sono contrapposti tra difensori dell’etica individuale e propugnatori dell’etica sociale”.

Facendo riferimento all’inverno demografico che sta penalizzando l’intero sistema sociale il Cardinale Bagnasco ha commentato amaramente che “aver sottovalutato l’impatto della famiglia sul piano sociale ed economico riconducendola ad una questione privata, quando non addirittura ad un retaggio culturale del passato, è stata una miopia di cui oggi pagano le conseguenze soprattutto le generazioni più giovani, sempre meno numerose e sempre meno importanti”.

“La saldatura tra etica sociale ed etica della vita è un imperativo categorico”, ha affermato l’Arcivescovo di Genova, e “porta a convincersi ad esempio che l’eugenetica è molto più preoccupante della perdita della biodiversità nell’ecosistema o che l’aborto e l’eutanasia corrodono il senso della legge e impediscono all’origine l’accoglienza dei più deboli, rappresentando una ferita alla comunità umana dalle enormi conseguenze di degrado”.

Citando l’enciclica al n. 28 il Cardinale Bagnasco ha ripetuto che “se si perde la sensibilità personale e sociale verso l’accoglienza di una nuova vita, anche altre forme di accoglienza utili alla vita sociale si inaridiscono”.

Nella parte finale della lectio magistralis il presidente della CEI ha parlato dell’ecologia umana a cui è dedicata una parte significativa del capitolo IV dell’Enciclica.

Riprendendo le parole del Pontefice, il porporato ha sostenuto che “la Chiesa ha una responsabilità per il creato”, che non significa solo difendere la terra, l’acqua e l’aria come doni della creazione appartenenti a tutti.

Ma, ha precisato, “deve proteggere soprattutto l’uomo contro la distruzione di se stesso. E’ necessario che ci sia qualcosa come un’ecologia dell’uomo, intesa in senso giusto”.

“Il degrado della natura è infatti strettamente connesso alla cultura che modella la convivenza umana: quando l’ecologia umana è rispettata dentro la società, anche l’ecologia ambientale ne trae beneficio”.

Citando ancora il Pontefice nell’omelia per l’inizio del Ministero petrino, 24 aprile 2005, il cardinale Bagnasco ha sottolineato che “la crisi ecologica dunque non può essere interpretata come un fatto esclusivamente tecnico, ma rimanda ad una crisi più profonda perché ai ‘deserti esteriori’ corrispondono ‘i deserti interiori’”.

Per questo motivo, ha aggiunto, “alla morte dei boschi ‘attorno a noi’ fanno da pendant le nevrosi psichiche e spirituali ‘dentro di noi’, all’inquinamento delle acque corrisponde l’atteggiamento nichilistico nei confronti della vita”.

“Quando infatti l’uomo non viene considerato nell’integralità della sua vocazione – ha ribadito – e non si rispettano le esigenze di una vera ‘ecologia umana’ si scatenano le dinamiche perverse delle povertà, compromettendo fatalmente anche l’equilibrio della Terra”.

Il Presidente della CEI ha concluso affermando che lo sguardo dell’Enciclica è tutt’altro che pessimista o fatalista e che al contrario ci dice con realismo che “la crisi diventa occasione di discernimento e di nuova progettualità” ed in questa chiave, “fiduciosa piuttosto che rassegnata, conviene affrontare le difficoltà del momento presente”.

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ZENIT Staff

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