KÖNIGSTEIN, martedì, 15 settembre 2009 (ZENIT.org).- Un amore tra adolescenti in Pakistan ha avuto conseguenze devastanti quando dei fanatici hanno dato fuoco alla chiesa di un villaggio e hanno costretto i cristiani ad abbandonare la zona.
Centinaia di fedeli, ricorda l’associazione caritativa internazionale Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACS) in un comunicato inviato a ZENIT, hanno fatto appena in tempo a mettersi in salvo l’11 settembre, quando gli estremisti hanno devastato il villaggio di Jethki, nel distretto di Sialkot della provincia del Punjab.
Armati di mattoni, pietre e spranghe, hanno gettato cherosene sulla chiesa prima di darle fuoco e profanarla.
La folla ha anche anche appiccato il fuoco a due abitazioni cristiane vicine alla chiesa e ha minacciato di uccidere gli abitanti del villaggio.
Secondo i leader ecclesiali, la scintilla delle violenze è stata la rabbia di una donna musulmana furiosa perché la figlia diciottenne aveva rotto un tabù sociale e religioso legandosi a un ragazzo cristiano.
Determinata a porre fine al legame triennale tra i due ragazzi, che sono compagni di scuola, secondo i religiosi avrebbe strappato una pagina contenente dei versetti del Corano e l’avrebbe gettata di fronte alla casa del ragazzo.
Sarebbe quindi corsa dalle autorità musulmane accusando il giovane di profanazione del Corano, cioè di aver infranto le leggi sulla blasfemia in vigore in Pakistan.
In base all’articolo 295B del Codice Penale, la profanazione del Corano comporta una pena che può arrivare anche alla prigione a vita.
Le autorità musulmane avrebbero apparentemente orchestrato gli attacchi al villaggio per vendetta.
Violenza senza fine
Gli attacchi a Jethki sono il quarto episodio di questo tipo che si verifica in tre mesi e hanno suscitato ulteriori appelli dei leader cristiani in Pakistan perché le leggi sulla blasfemia vengano ritirate.
Sabato 12 settembre, il Presidente pakistano Asif Ali Zardari ha condannato gli attacchi del giorno prima e ha chiesto al Governo fondi per riparare la chiesa.
Nel frattempo, il 19enne accusato di blasfemia, il cui nome non è stato reso noto per motivi di sicurezza, è stato arrestato mentre la polizia indagava sull’accaduto.
In un’intervista ad ACS, padre Andrew Nisari, vicario generale dell’Arcidiocesi di Lahore, da cui dipende Sialkot, ha affermato che “la gente è molto spaventata e sconvolta per quanto è successo”.
“Siamo davvero felici che il ragazzo sia in prigione in questo momento – ha dichiarato –. Almeno è al sicuro. Significa che non verrà ucciso dagli estremisti musulmani”.
“Anche se la chiesa è ancora in piedi, è completamente bruciata al suo interno – l’altare, le statue, i banchi, la sedia del sacerdote, la Bibbia e altri testi religiosi. L’intero edificio è del tutto inutilizzabile”.
Il preusle ha chiesto ripetutamente l’abolizione delle leggi contro la blasfemia. “Le leggi danno alle persone – e ai musulmani in particolare – una spada invisibile, facendo sì che possano vendicarsi su chi vogliono”.
“Questo caso mostra che nel nostro Paese la religione viene strumentalizzata”, ha aggiunto.
Strage sfiorata
Padre Nisari ha sottolineato come l’episodio sia quasi sfociato in tragedia. “Tutti i sacerdoti hanno detto ai cristiani di scappare dal villaggio, altrimenti la folla li avrebbe uccisi”.
I fedeli si sono quindi rifugiati presso amici e parenti nelle zone circostanti.
“Esorto tutti i cristiani del mondo a pregare per noi perseguitati in Pakistan – ha chiesto il sacerdote –. Abbiamo bisogno delle vostre preghiere”.
Il Ministro per le Minoranze del Pakistan, Shahbaz Bhatti, l’unico cristiano del gabinetto federale, visiterà la regione e sottoporrà un rapporto al Governo.
I leader ecclesiali interpretano l’accaduto come un’altra prova della persecuzione diffusa contro i cristiani nel Paese.
L’ondata di violenza ha avuto il suo apice negli attacchi di agosto a Gojra, sempre nel Punjab, costati la vita a nove persone.