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Cari fratelli e sorelle!
La solenne celebrazione eucaristica di questa mattina a Viterbo ha aperto la mia visita pastorale alla vostra Comunità diocesana, e questo nostro incontro qui a Bagnoregio, praticamente la chiude. Vi saluto tutti con affetto: Autorità religiose, civili e militari, sacerdoti, religiosi e religiose, operatori pastorali, giovani e famiglie, e vi ringrazio per la cordialità con cui mi avete accolto. Rinnovo il mio ringraziamento in primo luogo al vostro Vescovo per le sue affettuose parole che hanno richiamato il mio legame con san Bonaventura. E saluto con deferenza il Sindaco di Bagnoregio, grato per il cortese benvenuto che mi ha indirizzato a nome di tutta la Città.
Giovanni Fidanza, che divenne poi fra’ Bonaventura, unisce il suo nome a quello di Bagnoregio nella nota presentazione che di se stesso fa nella Divina Commedia. Dicendo: “Io son la vita di Bonaventura da Bagnoregio, che nei grandi offici sempre posposi la sinistra cura” (Dante, Paradiso XII,127-129), sottolinea come negli importanti compiti che ebbe a svolgere nella Chiesa, pospose sempre la cura delle realtà temporali (“la sinistra cura”) al bene spirituale delle anime. Qui, a Bagnoregio, egli trascorse la sua infanzia e l’adolescenza; seguì poi san Francesco, verso il quale nutriva speciale gratitudine perché, come ebbe a scrivere, quando era bambino lo aveva “strappato dalle fauci della morte” (Legenda Maior, Prologus, 3,3) e gli aveva predetto “Buona ventura”, come ha ricordato poc’anzi il vostro Sindaco. Con il Poverello di Assisi seppe stabilire un legame profondo e duraturo, traendo da lui ispirazione ascetica e genio ecclesiale. Di questo vostro illustre concittadino voi custodite gelosamente l’insigne reliquia del “Santo Braccio”, mantenete viva la memoria e approfondite la dottrina, specialmente mediante il Centro di Studi Bonaventuriani fondato da Bonaventura Tecchi, che con cadenza annuale promuove qualificati convegni di studio a lui dedicati.
Non è facile sintetizzare l’ampia dottrina filosofica, teologica e mistica lasciataci da san Bonaventura. In questo Anno Sacerdotale vorrei invitare specialmente i sacerdoti a mettersi alla scuola di questo grande Dottore della Chiesa per approfondirne l’insegnamento di sapienza radicata in Cristo. Alla sapienza, che fiorisce in santità, egli orienta ogni passo della sua speculazione e tensione mistica, passando per i gradi che vanno da quella che chiama “sapienza uniforme” concernente i principi fondamentali della conoscenza, alla “sapienza multiforme“, che consiste nel misterioso linguaggio della Bibbia, e poi alla “sapienza onniforme“, che riconosce in ogni realtà creata il riflesso del Creatore, sino alla “sapienza informe“, l’esperienza cioè dell’intimo contatto mistico con Dio, allorché l’intelletto dell’uomo sfiora in silenzio il Mistero infinito (cfr J. Ratzinger, San Bonaventura e la teologia della storia, Ed. Porziuncola, 2006, pp. 92ss). Nel ricordo di questo profondo ricercatore ed amante della sapienza, vorrei inoltre esprimere incoraggiamento e stima per il servizio che, nella Comunità ecclesiale, i teologi sono chiamati a rendere a quella fede che cerca l’intelletto, quella fede che è “amica dell’intelligenza” e che diventa vita nuova secondo il progetto di Dio.
Dal ricco patrimonio dottrinale e mistico di san Bonaventura mi limito questa sera a trarre qualche “pista” di riflessione, che potrebbe risultare utile per il cammino pastorale della vostra Comunità diocesana. Egli fu, in primo luogo, un instancabile cercatore di Dio sin da quando frequentava gli studi a Parigi, e continuò ad esserlo sino alla morte. Nei suoi scritti indica l’itinerario da percorrere. “Poiché Dio è in alto – egli scrive – è necessario che la mente si innalzi a Lui con tutte le forze” (De reductione artium ad theologiam, n. 25). Traccia così un percorso di fede impegnativo, nel quale non basta “la lettura senza l’unzione, la speculazione senza la devozione, la ricerca senza l’ammirazione, la considerazione senza l’esultanza, l’industria senza la pietà, la scienza senza la carità, l’intelligenza senza l’umiltà, lo studio senza la grazia divina, lo specchio senza la sapienza divinamente ispirata” (Itinerarium mentis in Deum, prol. 4). Questo cammino di purificazione coinvolge tutta la persona per arrivare, attraverso Cristo, all’amore trasformante della Trinità. E dato che Cristo, da sempre Dio e per sempre uomo, opera nei fedeli una creazione nuova con la sua grazia, l’esplorazione della presenza divina diventa contemplazione di Lui nell’anima “dove Egli abita con i doni del suo incontenibile amore” (ibid. IV,4), per essere alla fine trasportati in Lui. La fede è pertanto perfezionamento delle nostre capacità conoscitive e partecipazione alla conoscenza che Dio ha di se stesso e del mondo; la speranza l’avvertiamo come preparazione all’incontro con il Signore, che segnerà il pieno compimento di quell’amicizia che fin d’ora ci lega a Lui. E la carità ci introduce nella vita divina, facendoci considerare fratelli tutti gli uomini, secondo la volontà del comune Padre celeste.
Oltre che cercatore di Dio, san Bonaventura fu serafico cantore del creato, che, alla sequela di san Francesco, apprese a “lodare Dio in tutte e per mezzo di tutte le creature”, nelle quali “risplendono l’onnipotenza, la sapienza e la bontà del Creatore” (ibid. I,10). San Bonaventura presenta del mondo, dono d’amore di Dio agli uomini, una visione positiva: riconosce nel mondo il riflesso della somma Bontà e Bellezza che, sulla scia di sant’Agostino e san Francesco, afferma essere Dio stesso. Tutto ci è stato dato da Dio. Da Lui, come da fonte originaria, scaturisce il vero, il bene e il bello. Verso Dio, come attraverso i gradini di una scala, si sale sino a raggiungere e quasi afferrare il Sommo Bene e in Lui trovare la nostra felicità e la nostra pace. Quanto sarebbe utile che anche oggi si riscoprisse la bellezza e il valore del creato alla luce della bontà e della bellezza divine! In Cristo, l’universo stesso, nota san Bonaventura, può tornare ad essere voce che parla di Dio e ci spinge ad esplorarne la presenza; ci esorta ad onorarlo e glorificarlo in tutte le cose (cfr ibid. I,15). Si avverte qui l’animo di san Francesco, di cui il nostro Santo condivise l’amore per tutte le creature.
E finalmente San Bonaventura fu messaggero di speranza. Una bella immagine della speranza la troviamo in una delle sue prediche di Avvento, dove paragona il movimento della speranza al volo dell’uccello, che dispiega le ali nel modo più ampio possibile, e per muoverle impiega tutte le sue forze. Rende, in un certo senso, tutto se stesso movimento per andare in alto e volare. Sperare è volare, dice san Bonaventura. Ma la speranza esige che tutte le nostre membra si facciano movimento e si proiettino verso la vera altezza del nostro essere, verso le promesse di Dio. Chi spera – dice Bonaventura – “deve alzare il capo, rivolgendo verso l’alto i suoi pensieri, verso l’altezza della nostra esistenza, cioè verso Dio” (Sermo XVI, Dominica I Adv., Opera omnia, IX, 40a).
Il Signor Sindaco nel suo discorso ha posto la domanda: “Che cosa sarà Bagnoregio domani?”. In verità tutti ci interroghiamo circa l’avvenire nostro e del mondo e quest’interrogativo ha molto a vedere con la speranza, di cui ogni cuore umano ha sete. Nell’Enciclica Spe salvi ho notato che non basta però una qualsiasi speranza per affrontare e superare le difficoltà del presente; è indispensabile una “speranza affidabile”, che, dandoci la certezza di giungere ad una meta “grande”, giustifichi “la fatica del cammino” (cfr n.1). Solo questa “grande speranza-certezza” ci assicura che nonostante i fallimenti della vita personale e le contraddizioni della storia nel suo insieme, ci custodisce sempre il “potere indistruttibile dell’Am
ore”. Quando allora a sorreggerci è tale speranza non rischiamo mai di perdere il coraggio di contribuire, come hanno fatto i santi, alla salvezza dell’umanità, aprendo “noi stessi e il mondo all’ingresso di Dio: della verità, dell’amore, del bene” (cfr n. 35). Ci aiuti san Bonaventura a “dispiegare le ali” della speranza che ci spinge ad essere, come lui, incessanti cercatori di Dio, cantori delle bellezze del creato e testimoni di quell’Amore e di quella Bellezza che “tutto muove”.
Grazie, cari amici, ancora una volta per la vostra accoglienza. Mentre vi assicuro un ricordo nella preghiera imparto, per intercessione di san Bonaventura e specialmente di Maria, Vergine fedele e Stella della speranza, una speciale Benedizione Apostolica, che volentieri estendo a tutti gli abitanti di questa Terra bella e ricca di santi. Grazie per la vostra attenzione.
[© Copyright 2009 – Libreria Editrice Vaticana. Con aggiunte a braccio a cura di ZENIT]