Cracovia si trasforma per alcuni giorni in un cantiere di pace

In occasione dell’Incontro Interreligioso di Preghiera per la Pace

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ROMA, lunedì, 7 settembre 2009 (ZENIT.org).- Ha preso il via questa domenica a Cracovia, in Polonia, l’Incontro Interreligioso di Preghiera per la Pace che servirà a tracciare nuovi sentieri di coesistenza e dialogo a settant’anni dallo scoppio della Seconda Guerra Mondiale.

L’incontro in Polonia, convocato dal Cardinale Stanislaw Dziwisz, Arcivescovo di Cracovia, e promosso dalla Comunità di Sant’Egidio, continua la serie di appuntamenti annuali finalizzati a rivivere lo “spirito di Assisi”, in ricordo del vertice di leader religiosi convocato da Giovanni Paolo II, in piena Guerra Fredda, il 27 ottobre 1986 nella città di San Francesco.

“La pace è un dono, ma è anche un compito”, ha ricordato il Cardinale Dziwisz nel suo saluto inaugurale al Congresso internazionale “Uomini e Religioni”, che riunisce a Cracovia da 6 all’8 settembre sul tema: “Fedi e culture in dialogo” numerose personalità e rappresentanti di varie religioni.

“Ogni uomo e ogni generazione – ha poi aggiunto il porporato – deve accogliere questa nobile sfida, per costruire le fondamenta della civiltà della vita e dell’amore sulla nostra terra”.

“Settant’anni fa abbiamo vissuto in questo luogo il dramma della seconda guerra mondiale – ha continuato –. E’ stato versato sangue innocente. L’odio dei popoli uno contro l’altro raggiunse l’apice. Le fabbriche in Europa producevano armi portatrici di morte”.

“Vent’anni fa in questo paese abbiamo raggiunto l’indipendenza, ci siamo liberati dal sistema totalitario comunista”, la cui arma era “un’ideologia senza Dio”, che “agendo contro Dio, agiva contro l’uomo, perchè lo privava delle radici e della fonte della speranza”.

Il suo auspicio, ha poi evidenziato, è che questo evento possa offrire un contributo “nella costruzione della pace di Dio nel cuore dell’uomo e nella sua comunità”.

La preghiera è una forza storica

Nel suo intervento, il prof. Andrea Riccardi, Fondatore della Comunità di Sant’Egidio, ha affermato che “l’orrore della guerra è la più grande lezione al nostro tempo. Una lezione da meditare. La guerra è la morte di tutto quello che unisce i popoli, divenuti nemici”.

“Ma, dall’abisso della guerra e dal ripudio di essa, è nato o rinato l’umanesimo del nostro tempo”, ha aggiunto Riccardi. “Dalla guerra è nata la volontà degli europei di avere un destino comune, mai più in guerra tra loro”.

“Dal crogiuolo della guerra sono rinate le idee di libertà, che hanno portato alla fine del colonialismo – ha sottolineato – ; che hanno liberato l’Est europeo dopo l’inverno di quasi mezzo secolo di comunismo”.

La guerra ha forgiato in un anelito di pace tanti uomini e donne. Un esempio di questo fu Giovanni Paolo II, che “scampato da tanto male, sentiva la responsabilità di dire l’orrore della guerra: di dire il comune destino dell’umanità che è la pace, non la sopraffazione degli uni sugli altri”.

“Mi disse una volta il Papa – ha quindi ricordato Riccardi –: ‘Vedendo l’89, si capisce che non si è pregato invano ad Assisi nel 1986!’”.

“La preghiera è una forza storica”, ha poi commentato. “C’è una corrente profonda, che le cronache non percepiscono. Lo spirito cambia la storia. Gli uomini, talvolta uomini sotterranei come dice Dostojevksi, cambiano la storia”.

Oggi, ha continuato, il mondo globalizzato, che “senza ricerca dell’unità, impazzisce e si frammenta pericolosamente, offre “una grande occasione di pace”.

“Per talune religioni la pace è nome di Dio”, ha sottolineato poi Riccardi, e “andare in profondità alla propria fede conduce non a divergere, ma a convergere verso gli altri”.

“Il dialogo tra le religioni è l’anima di quest’unità – ha sentenziato –. Non è un rito, ma una passione”.

“A settant’anni dall’inizio della guerra, sulle strade della bella e nobile Cracovia, come sui sentieri tristi di Auschwitz, non risuona il passo cadenzato delle truppe di occupazione, quello stanco dei deportati o di un popolo umiliato; ma quello amico dei pellegrini di religione diversa”.

“Oggi, è possibile essere insieme” e questo riunirsi “dice la volontà di continuare a camminare insieme sulla strada del dialogo e della pace”; “perché essere insieme, senza confusione ma senza divisioni, manifesta il destino comune dell’umanità”.

“A tale destino occorre dare anima”, ha quindi concluso.

I poveri, maestri di pace

La mattina, nell’omelia pronunciata durante la Liturgia eucaristica inaugurale, il Metropolita Serafim della Chiesa Ortodossa di Romania ha sottolineato il valore della pace come “frutto della misericordia divina”, “dono di Cristo risorto”, che “si acquisisce con la preghiera e l’ascesi personale e con l’amore e il servizio ai poveri e a coloro che soffrono”.

“I poveri e coloro che soffrono – ha infatti spiegato – sono per noi dei maestri di pace perché ci aiutano ad essere uomini di pace”.

“Con un atteggiamento misericordioso verso i poveri, con l’attenzione alla sofferenza degli uomini e dei popoli noi stessi diveniamo misericordiosi, pacifici e pieni di bontà”, ha aggiunto il Metropolita Serafim.

“Dopo gli anni terribili della guerra e della dittatura comunista che hanno devastato molti paesi e fatto morire milioni di persone, Dio ci ha fatto il dono dei miracoli della pace e di un’Europa unita”, tuttavia ha precisato, “noi siamo coscienti che la pace non è qualcosa che si acquisisce una volta per tutte”.

“Noi abbiamo ricevuto in Europa il grande dono della pace, ma noi non dobbiamo tenerla per noi e chiuderci egoisticamente nel consumo e nel benessere personale”.

“Il dono della pace è un dovere e una missione – ha precisato –; deve essere trasmesso al mondo, specialmente dove gli uomini soffrono e là dove incontriamo le piaghe del Risorto”.

Il lupo dimorerà insieme con l’agnello

Nel suo discorso, il Gran Rabbino David Rosen, Direttore del Dipartimento per gli affari Interreligiosi dell’American Jewish Committee e dell’Istituto per l’intesa internazionale interreligiosa Heilbrunn, ha invece ricordato che per gli ebrei questo è il mese di Elul ed anche il periodo dei sette Sabati di consolazione che precedono il nuovo anno ebraico, rosh Hashanah.

“In sinagoga durante questi Sabati leggiamo passi del profeta Isaia – dal capitolo 40 al 61 – che consolano il popolo di Israele con l’amore e la fedeltà eterne di Dio che li farà tornare nella loro terra e gli permetterà di ricostituire la loro vita religiosa nazionale”.

In quest’era messianica, secondo il profeta Isaia, “il lupo dimorerà insieme con l’agnello, la pantera si sdraierà accanto al capretto; il vitello e il leoncello pascoleranno insieme e un fanciullo li guiderà”.

“La visione di Isaia ci dà qualcosa di più grande in cui sperare per il futuro, ed è stato un figlio di Cracovia a condurci così vicino a questa visione – possa questa visione realizzarsi presto nel nostro tempo”, ha affermato David Rosen.

Tra incomprensioni e volontà di riconciliazione

Più tardi, nel prendere la parola, il Cardinale Walter Kasper, Presidente del Pontificio Consiglio per l’Unità dei Cristiani, ha raccontato di aver “vissuto lo scoppio delle ostilità come un bambino di sei anni, il cui padre nel bel mezzo della notte viene chiamato alle armi come soldato, per una guerra che fu una tragedia umana e politica per l’Europa e per il mondo”.

“Vent’anni dopo la fine della guerra e verso la fine del Concilio – ha aggiunto –, Vescovi polacchi e tedeschi tra i banchi del Concilio si sono avvicinati per stringersi la mano in segno di riconciliazione”.

“Indimenticabili sono le parole dei Vescovi polacch
i sotto la guida del grande Cardinale Stefan Wyszynski: ‘Diamo il perdono e chiediamo il perdono’”, mentre “i Vescovi tedeschi risposero: “Con timore reverenziale stringiamo le mani che ci porgete”.

“Riconciliazione e pace, come anche odio e guerra, hanno il loro principio nel profondo del cuore umano – ha affermato il porporato –. La pace tra i popoli deve pertanto cominciare dalla pace tra le religioni”.

Fortunatamente, dopo la catastrofe della Seconda Guerra Mondiale una nuova stagione ha avuto inizio nel segno del dialogo interreligioso ed ecumenico.

“Non siamo che all’inizio di un cammino volto a sradicare antiche incomprensioni, profonda sfiducia e pregiudizi ingiusti, per guarire antiche ferite e costruire comprensione, riconciliazione e amicizia tra popoli, culture e religioni”, ha però avvertito.

“Il cammino sarà certo ancora lungo – ha quindi concluso – . Ma noi, ai non pochi scettici e nemici del dialogo nella verità e nell’amore, rispondiamo: ‘Noi continuiamo. Noi non cediamo’”.

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ZENIT Staff

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