di Antonio Gaspari
ROMA, venerdì, 31 luglio 2009 (ZENIT.org).- “Fares pecat a lamentam” scritto dall’insegnate di filosofia e storia Roberto Persico (Itacalibri 2009) è un libro che racconta la storia semplice e commovente di Dario e Clementina Nembrini, una coppia di cattolici bergamaschi, di umili origini e di scarse finanze, ma forti e fecondi nella fede.
I due vissuti tra il 1924 ed il 1994, genitori di dieci figli, sono stati esempio e testimoni delle virtù cristiane che tramite la famiglia diventano virtù sociali e civili e che trasmettono ovunque fede speranza e carità.
Nel presentare il libro che racconta la storia dei suoi genitori, il 2 luglio a San Benedetto del Tronto, nel corso della Festa dedicata al beato Pier Giorgio Frassati dalla Compagnia dei Tipi Loschi (www.tipiloschi.com), Vincenzo Nembrini ha confessato che si sapeva che i loro genitori erano buoni e fedeli, ma nessuno avrebbe immaginato quanta era la fede che nutrivano nel Signore.
Pochi gli studi, avviati fin da giovani al lavoro, Dario e Clementina frequentavano assiduamente la Chiesa e l’oratorio, svolgendo opere e apostolati con l’Azione Cattolica.
Dario faceva il meccanico e Clementina svolgeva lavori domestici e nei campi. Nonostante le ristrette disponibilità economiche i due si sposarono e misero al mondo dieci figli. In un paio di occasioni Clementina stette male e rischiò la gravidanza, ma si affidò a Maria e tutto si risolse.
Nel 1963 Dario scoprì di essere affetto da sclerosi multipla, una malattia tremenda che conduce progressivamente all’immobilità ed alla morte. Ma la disgrazia non ha indebolito la sua fede, anzi, fino all’ora del ritorno a Dio (1994), Dario ringraziò sempre il Signore per quanto gli aveva dato.
Era allegro, sorrideva, rincuorava chi lo veniva a trovare e ripeteva in dialetto bergamasco che “a lamentarsi si fa peccato!”.
Intervenendo al Convegno Ecclesiale Diocesano nella Basilica di San Giovanni in Laterano, nel giugno 2007, Franco Nembrini ha raccontato che “per poter parlare della mia esperienza di padre e di insegnante devo partire dalla mia esperienza di figlio”, perché “non posso non riconoscere che io ho visto per la prima volta cosa fosse l’educazione con mio papà e mia mamma”.
“Sono il quarto di dieci figli e l’immagine che ho del mio povero papà è quando, nella stanzetta dove dormivamo noi sette figli maschi (siamo sette maschi e tre femmine), si inginocchiava in mezzo alla stanza e incominciava a dire il Padre Nostro. Questo era mio padre: uno che guardava una cosa più grande di lui e ci invitava ad andargli dietro senza bisogno di dircelo”.
“Era uno che, quando sono diventato più grande e tornavo a casa a tarda ora per i mille impegni che c’erano, lo trovavo sempre in piedi, perché non è mai in vita sua andato a letto se non dopo aver chiuso la porta alle spalle dell’ultimo figlio rientrato, e quando alle due o alle tre di notte arrivavo a casa, e per non farlo arrabbiare troppo gli dicevo: ‘Dai, papà, diciamo Compieta insieme’ lui mi rispondeva: ‘Vai a letto, cretino, che domani mattina devi lavorare: dico io Compieta per te’, e si fermava e diceva la quarta o la quinta volta Compieta, la diceva per me, perché io potessi andare a riposare”.
“Il giorno prima di morire, paralizzato a letto, completamente afono, gli ho chiesto come stava, e ha risposto allo stesso modo con cui aveva risposto per tutta la vita: ‘farès pecat a lamentam’ che in italiano significa ‘Tutto è Grazia’. Mio padre era così”.
Racconta Bepin, uno dei figlioli, che soldi in casa ce ne son stati sempre pochi, ma mai ha visto i genitori disperati. Preoccupati sì, ma sempre pronti a trovare la soluzione con il lavoro e la condivisione.
I due, Dario e Clementina, confidavano totalmente nel Signore, e niente li ha mai spaventati. I soldi erano pochi, ma la carità e l’accoglienza non sono mai state messe in discussione.
Gli spazi erano ridotti, ma chiunque andava a casa dei Nembrini trovava accoglienza, a tavola e a dormire.
I soldi non bastavano mai, ma c’era sempre qualcuno che stava peggio e quindi i Nembrini preparavano il pacchetto per la vedova con quattro figli. Il Po straripava e Clementina chiamava i figli per scegliere gli indumenti “belli e non rovinati” per i bambini sfollati. E poi le coperte per le missioni, per i sacerdoti anziani e per gli ammalati.
Neanche il “68” riesce a scardinare la solida famiglia dei Nembrini, anche se uno dei figlioli passa dal seminario a dirigere un gruppo extraparlamentare.
Fu in quegli anni che nella famiglia Nembrini entrò il carisma di Comunione e Liberazione. Con don Giussani che andò a visitare la famiglia Nembrini, e la loro casa divenne una delle prime sezioni di quel gruppo di giovani che parlavano di Gesù.
La casa Nembrini divenne il luogo della preghiera, degli incontri, delle serate passate a discutere di fede e di politica o a giocare a carte e a cantare.
Eugenio Nembrini, chiamato “genio” dai fratelli perchè era quello che leggeva e studiava di più di tutti, si farà sacerdote seguendo la strada indicatagli da don Giussani. Lo stesso don Giussani sarà tra coloro che celebrarono il matrimonio di Miriam, una dei dieci della famiglia Nembrini.
Dario e Clementina erano cresciuti nell’Azione Cattolica, e ad un certo punto i tempi cambiarono così velocemente che rischiarono di non capire cosa capitasse ai giovani. Fu grazie a don Giussani che tutti ritrovarono la strada giusta.
Dario disse un giorno a don Giussani: “Noi li abbiamo messi al mondo, ma è lei che ce li ha resi figli”.
Nell’introduzione al libro don Massimo Camisasca, superiore della Fraternità Sacerdotale di San Carlo Borromeo, ha scritto che la vita di Dario e Clementina “rimane come benedizione per le numerosissime persone che attraverso di loro e attraverso di loro e attraverso i loro figli hanno incontrato Dio, forza e giovinezza della loro vita”.
Non sappiamo se Dario e Clementina saranno annoverati tra le schiere dei beati, di certo è che attraverso la loro intercessione stanno avvenendo nascite miracolose e tanta gente trova in maniera insperata un posto di lavoro.