"Caritas in Veritate": un documento morale, non politico

Il Papa fornisce una base etica per affrontare la crisi

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di Carl Anderson*

NEW HAVEN (Connecticut, Stati Uniti), mercoledì, 8 luglio 2009 (ZENIT.org).- Molto prima che ci fossero una “sinistra” o una “destra” c’era il Vangelo, e molto dopo che queste etichette politiche saranno cadute nell’oblio il Vangelo rimarrà. Alla luce di ciò, è incredibilmente importante che si guardi all’Enciclica di Benedetto XVI Caritas in Veritate come a un documento che dovrebbe modellare la nostra prospettiva.

Potremmo riassumere il pensiero del Papa sull’economia in questo modo: ognuno di noi deve rispondere alla domanda di Cristo “Chi dite che io sia?”, e se, con Pietro, rispondiamo “Il Messia”, allora questo dovrebbe essere l’asse della nostra vita. La nostra realtà più importante deve essere la verità delle nostre relazioni. In questo modo, possiamo capire come la legge e i profeti possano essere riassunti nei due comandamenti di Cristo: amare totalmente Dio e amare il prossimo come noi stessi. In questo modo possiamo parlare di “caritas in veritate“.

Una volta che abbiamo accettato Cristo e questi due comandamenti, non possiamo più porre la domanda di Caino: “Sono forse il guardiano di mio fratello?”. Dobbiamo invece capire che il nostro esercizio della libertà non può voler dire accumulare più ricchezza possibile. Piuttosto, tutto ciò che facciamo in libertà deve riflettere quella realtà, e tutte le nostre azioni devono tener conto degli effetti che possono avere sugli altri. Non abbiamo bisogno di guardare oltre le prime due parole del “Padre nostro”, che Papa Benedetto XVI cita alla fine di questo documento, per renderci conto della comune famiglia umana alla quale apparteniamo.

A questo scopo, dovremmo ricordare vari elementi importanti.

In primo luogo dovremmo chiederci non come questa Enciclica convalidi la nostra visione del mondo, ma piuttosto come questa visione dovrebbe cambiare in risposta a questo documento.

I commentatori dovrebbero evitare la tentazione di cercare di analizzare l’Enciclica dal proprio punto di vista o attraverso una lente politica. La tesi del Papa mostra chiaramente che una base etica deve trascendere la politica, e come il documento esprime in modo esplicito le soluzioni tecniche appartengono ai policy makers.

In secondo luogo, il mondo merita un’economia di mercato con una coscienza, come hanno dimostrato lo scorso anno gli eventi dell’economia globale. In un intervento del 1985 Papa Benedetto XVI ha criticato il marxismo perché escludeva Dio e un giusto ruolo umano, e quindi per il fatto di essere troppo “deterministico”. Avvertiva che anche le economie di mercato rischiavano di collassare se escludevano o ignoravano a loro volta la componente etica del decision making individuale. Gli avvenimenti recenti hanno sicuramente confermato la sua conclusione, e dunque questa Enciclica e la sua esortazione a un sistema morale sono ancora più irrefutabili.

In terzo luogo, mentre il dibattito in tutto il mondo si concentra sulle soluzioni tecniche alla crisi economica, Papa Benedetto XVI ci chiede di riconsiderare le vere basi del nostro sistema – e di costruire sulla roccia dell’etica piuttosto che sulla sabbia del determinismo.

In quarto luogo, il Papa ci chiama a una realtà economica che deve rispettare la vita di ogni persona – anche della più piccola e indifesa. Questo è notevole e opportuno, come il fatto che abbia sottolineato il ruolo necessario che deve avere la religione nella sfera pubblica.

Quinto aspetto, questa Enciclica è sia un documento Cattolico che un documento cattolico. Considerarla solo da un punto di vista nazionale sarebbe fuorviante tanto quanto considerarla a livello politico. Si prenda ad esempio l’appello del Papa a una giusta “ridistribuzione”. Dubito che qualcuno possa indicare un Paese che non ridistribuisce la ricchezza dei suoi cittadini in qualche modo. Il Papa si chiede se, indipendentemente dal Paese, questo sia fatto in modo corretto. Quanti di noi vivono in Paesi economicamente forti, con uno standard di vita che va ben al di là di ciò che buona parte del mondo può immaginare, devono fermarsi a riflettere su questo. Abbiamo sicuramente la responsabilità di aiutare il nostro prossimo. Possiamo e dovremmo fare di più.

Ma non siamo i soli. E’ giusto che un “Presidente” di un Paese di un angolo povero del mondo depositi miliardi di dollari su un conto bancario svizzero mentre il suo popolo vive con un dollaro al giorno? E’ giusto che un popolo muoia di fame mentre un’oligarchia diventa sempre più ricca? Tutti hanno il diritto al cibo e ai servizi di base.

Un cristiano deve essere una persona per gli altri. In realtà non solo i cristiani, ma tutte le persone sono chiamate a vivere in questo modo.

Per troppo tempo, troppe persone si sono comportate in modo da essere fedeli solo a se stesse. Abbiamo visto tutti i risultati di un comportamento di questo tipo, e sappiamo che è un modello povero – a livello etico ed economico.

Ora la gente cerca una bussola morale, e sa che Papa Benedetto XVI ne ha una. Ma se una bussola può indicare la via, spetta a noi seguirla.

* * *

*Carl Anderson è il cavaliere supremo dei Cavalieri di Colombo e autore di bestseller

[Traduzione dall’inglese di Roberta Sciamplicotti]

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ZENIT Staff

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