Quando la sofferenza è finestra per l’amore e la fede

Intervista al moderatore generale dei Silenziosi Operai della Croce

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di Antonio Gaspari

ROMA, martedì, 7 luglio 2009 (ZENIT.org).- Il cristianesimo è veramente una religione originale: la sofferenza, da tutti temuta e respinta, acquista un senso nella parabola cristiana ed è indicata da Gesù Cristo come la via preferita da Dio per arrivare alla salvezza.

Seppur difficile da comprendere, ci sono gruppi di cristiani che assistono e praticano la Croce come carisma. Tra questi, un’associazione internazionale di fedeli, il cui nome è di “Silenziosi operai della croce” (http://www.sodcvs.org/it/chisiamo/sodc.htm) presenti in Italia, Polonia, Portogallo, Israele, Camerun, Colombia e Stati Uniti.  

La Confederazione Centro Volontari della Sofferenza (CVS), che riunisce i Silenziosi Operai della Croce e le aggregazione diocesane del CVS, conta 82 associazioni aderenti, in Europa, Africa, Nord e Sud America, per un totale di circa 10.000 iscritti.

Per comprendere le ragioni, la spiritualità e le attività di questi gruppi di fedeli, ZENIT ha intervistato don Luciano Ruga, moderatore generale dei Silenziosi Operai della Croce.

Umanamente, tutti noi cerchiamo di sfuggire alla sofferenza. Come spiega l’esistenza di un’associazione denominata “Centro Volontari della Sofferenza”? Qual è la “follia” che li anima?

Don Luciano: L’impegno ad evitare la sofferenza è certamente universale, come lo è, inevitabilmente, il soffrire. Il nome “Centro Volontari della Sofferenza”, fin dai tempi in cui monsignor Luigi Novarese lo scelse per la sua opera, ha provocatoriamente rischiato il fraintendimento. Non si tratta, è ovvio, di voler soffrire e nemmeno di costituire un’organizzazione dedita al “volontariato”, nel senso che il termine ha assunto in ambito sociale.

La volontarietà cui allude il nome, riguarda una decisione personale e libera, la responsabilità da assumersi nel vivere la sofferenza. Come figli di Dio e non come schiavi. La rivelazione cristiana chiede di affrontare il dolore umano con la forza invincibile dell’amore. La realtà della sofferenza mette in questione l’intera persona ed è necessario che anche la risposta sia totalizzante.

Ora sappiamo che non vi è amore senza libertà, senza che si attivi una volontaria adesione. È veramente una questione di amore, di quella forza che muove la creatura umana a rispondere con tutta se stessa: mente, cuore e azione. Di conseguenza, per il cristiano, una vita “da risorti”, radicata nell’amore, è necessariamente espressione di libertà, di volontarietà che dice la piena partecipazione alla rinascita battesimale.

È una responsabilità molto grande, a cui nessuno può sottrarsi. Lo Spirito e l’esperienza della risurrezione non sono accordati in modo generico a ogni uomo, prescindendo dal desiderio e dalla volontà. Coloro che credono e gioiscono nella risurrezione del Signore sono chiamati a ricevere responsabilmente il dono dello Spirito, rispondendo, “con amore”, all’amore di Dio.

Si tratta di vivere alla presenza di Dio, consapevoli che l’unione con Cristo è la sorgente della gioia, il segreto della felicità. Tale unione è stata da Cristo liberamente realizzata in noi e per noi. Da essa nasce una gioia che sussiste anche in mezzo alle sofferenze del mondo, nonostante l’impotenza dell’umanità e i suoi fallimenti.

Qual è il carisma e la storia dei Silenziosi Operai della Croce e quali sono le attività di apostolato e di carità che promuovono?

Don Luciano: I Silenziosi Operai della Croce nascono storicamente all’interno del Centro Volontari della Sofferenza come forma di vita consacrata, con un’esigenza di radicalità per una connaturale dedizione “a tempo pieno” nell’apostolato per la “valorizzazione della sofferenza” e la “promozione integrale della persona sofferente”.

Come scrisse il nostro fondatore, il servo di Dio monsignor Luigi Novarese, “la vita di un Silenzioso Operaio della Croce deve essere una proclamazione vissuta della forza e perenne necessità della Croce, che scorre sul binario dell’umiltà e dell’ubbidienza, tracciato e percorso da Gesù Cristo in tutto l’arco della sua preziosissima esistenza fino alla morte di Croce, seguita poi dalla sua gloriosa risurrezione”.

Nell’ampio ed articolato mondo della sofferenza, i Silenziosi Operai della Croce attuano in se stessi e condividono con ogni persona, un cammino di crescita e di maturazione nella fede, affinché nella luce della Pasqua tutti si scoprano chiamati ad incontrare ed annunciare il senso della propria sofferenza e la gioia della salvezza. Tale finalità è attuata mediante gesti concreti di servizio alla persona e con tutti i mezzi di apostolato richiesti dalle differenti situazioni socio-culturali ed ambientali. L’intento di rendere “soggetto attivo” la persona sofferente, nella chiesa e nella società, anima la nostra azione pastorale (catechesi, animazione spirituale e liturgica, costituzione di associazioni diocesane confederate nel Centro Volontari della Sofferenza) e socio-riabilitativa (centri di riabilitazione psico-motoria).

Perché i cristiani sono così pazzi al punto da trovare la via della speranza proprio nella sofferenza della Croce? Qual è la logica che li anima?

Don Luciano: È molto logico cercare la soluzione vincente proprio all’interno di un problema che appare insuperabile. Non vi potrebbe essere, infatti, nulla di più efficace e risolutivo. Nell’esperienza umana ciò non sarebbe stato possibile senza l’intervento di colui che poteva espandere la forza della vita dentro una dimensione infinita ed eterna, vincendo “l’ultimo nemico”, la morte. La speranza del cristiano nasce dall’incarnazione, morte e risurrezione di Cristo, dal mistero pasquale, dalla vita che vince il male e la morte.

Nella lettera apostolica Salvifici Doloris (n. 24) è espresso in modo chiaro quale sia l’unico spazio in cui riconoscere un valore salvifico nell’esperienza del soffrire: l’amore. “In questa dimensione — nella dimensione dell’amore — la redenzione già compiuta fino in fondo, si compie, in un certo senso, costantemente”. In modo particolare, nel tempo della sofferenza, ciò che anima il cristiano è la possibilità di rispondere con amore all’amore di Dio in Cristo Gesù. Non vi può essere altra logica, dal momento che Dio stesso ha espresso nell’amore e nel dono di sé il compimento universale della salvezza.

Il male e le sofferenze colpiscono spesso persone buone e pie o bambini la cui innocenza è manifesta. Qual è la ragione che può dare senso a questa condizione che sembra in contrasto con il disegno della Divina Provvidenza?

Don Luciano: Il male, la sofferenza, sono espressioni del limite che è connaturale alla nostra umanità. Si tratta di una “naturalità” che Dio stesso ha preso su di sé. Il limite, dunque, fa parte di noi. Il modo di viverlo reca in sé le disarmonie causate dal peccato e ne facciamo esperienza. Così come sperimentiamo la bellezza di vivere “da rendenti” i nostri limiti, come sentiero di vita e occasione per amare. Non ha senso quindi legare la presenza di una malattia o il verificarsi di un incidente a criteri di colpa e punizione.

Non vi è contrasto tra la realtà naturale dell’uomo e la rivelazione che Dio ha dato di sé nel suo figlio unigenito. Nell’incarnazione tutta l’umana esperienza, eccetto il peccato, è stata vissuta da Gesù come vita dei figli di Dio. Lo è stato per lui, può esserlo per noi, ogni giorno.

In che modo e con quali risposte la vicenda umana si intreccia con quella di Gesù Cristo morto in Croce?

Don Luciano: Tutto ciò che entra in comunione con il mistero pasquale ne assume il movimento. È questa la forza stessa dell’amore. Gesù ha compiuto il suo personale cammino, che attraverso la croce lo ha condotto all
a resurrezione: il cammino del chicco di grano che cade nella terra e muore e così porta molto frutto. In questo passaggio da morte a vita è ricompresa l’intera esistenza umana in ogni sua manifestazione. Come avviene nella sofferenza della Pasqua-passaggio, anche l’esperienza umana del dolore è sofferenza-passaggio, sofferenza pasquale.

Un passare oltre che conduce da una vita a un’altra. Un movimento che conduce verso una vita più ricca di energie, capace di vincere il male e la morte, il non senso e la schiavitù della paura. È questo un compito irrinunciabile per ciascuno, una responsabilità vitale.

Cristo crocifisso attraversa la realtà del dolore come un potente effluvio di vita che promana dal dono di sé. La creatura umana sofferente è come sospinta, nell’esperienza del dolore, verso quel transitare salvifico di Cristo, fino alla soglia della libertà, fino al momento in cui è necessario compiere il passo dell’amore, della volontà intesa come risposta libera all’interno di una relazione. Questa si esprime nelle molteplici manifestazioni umane (universali e non impedite da alcun carattere di malattia o disabilità), realizzando la piena adesione a Cristo dell’intera esistenza, raccolta entro i poli di nascita e morte.

Tale compito irrinunciabile ha in sé l’esigenza della missione, dell’annuncio. Sappiamo che non si attua alcuna pienezza in noi senza una trasmissione agli altri, senza portare frutto intorno a noi. L’apostolato del Centro Volontari della Sofferenza è azione pastorale concreta, incontro, vita di gruppo, presenza attiva dei sofferenti stessi come primi e più efficaci evangelizzatori, nella vita parrocchiale e diocesana, in tutte le dinamiche di azione che riteniamo proprie di ogni battezzato.

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ZENIT Staff

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