di Carmen Elena Villa
ROMA, martedì, 28 aprile 2009 (ZENIT.org).- Negli ultimi mesi, “sulla stampa fa notizia proprio la crisi della stampa”, sottolinea il professor Diego Contreras, decano della Facoltà di Comunicazione della Pontificia Università della Santa Croce di Roma.
Il docente ha presentato il suo intervento “Il giornalismo on line: ripensare l’industria dei media o ripensare la professione?” durante il congresso “Nuove tecnologie, nuove relazioni. Promuovere una cultura di rispetto, di dialogo, di amicizia”, svoltosi il 23 aprile presso la Pontificia Università Lateranense a Roma.
Nel corso dell’evento accademico, giornalisti e teorici della comunicazione si sono riuniti per analizzare il Messaggio di Papa Benedetto XVI per la XLIII Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, pubblicato il 23 gennaio scorso e il cui tema centrale è quello delle nuove forme di comunicazione tra gli appartenenti alla cosiddetta “generazione digitale”, i nati in questa nuova era della comunicazione.
La crisi del giornalismo nell’era digitale
Contreras ha osservato che la prima crisi che Internet porta al giornalismo è quella economica, a causa dell’assenza degli annunci pubblicitari sulla stampa.
“Negli ultimi decenni, non si è cercato un modello imprenditoriale specifico, ma si è trattata l’informazione come qualsiasi prodotto di consumo”, ha osservato.
“Inoltre, molte imprese giornalistiche sono quotate in borsa e pretendono la massimizzazione del profitto; si cerca a ogni costo la redditività a breve termine”.
La seconda crisi, ha osservato, è “determinata dall’influenza di Internet”, che non solo ha modificato l’informazione giornalistica, “ma tutti i contenuti mediali”.
Contreras ha segnalato come i nuovi media abbiano cambiato le abitudini di consumo di informazione da parte delle nuove generazioni: “Il pubblico tra i 18 e i 34 anni si informa attraverso canali alternativi alla stampa tradizionale, come le reti sociali, i blogs, i siti e i portali ‘aggregatori’ di informazione”.
La stampa ha reagito a questa sfida creando edizioni digitali. Ad ogni modo, ha affermato il docente, il loro finanziamento è un tema ancora non risolto.
<p>“Per ora, la versione tradizionale dei quotidiani continua a produrre un utile dieci volte superiore a quello della versione digitale. Tuttavia le entrate ‘analogiche’ sono in calo, mentre quelle ‘digitali’ non riescono a crescere con la stessa rapidità”, ha aggiunto.
Sostituire la verità con il profitto
Un’altra crisi, precedente alla comparsa di Internet, è quella dell’identità della professione giornalistica, che in molti casi “ha sostituito la verità con gli incassi, l’equanimità con gli interessi di parte, la ragione con il servilismo”.
La rivoluzione digitale, ha spiegato, unisce a questa crisi un nuovo dato: “I comuni cittadini oggi hanno più potere che mai per produrre e distribuire informazioni”. Sembra che la gente “non ‘abbia più bisogno’ della stampa come una volta, poiché sono disponibili molti altri canali d’informazione”.
Per affrontare questa situazione, molti quotidiani hanno aperto canali di partecipazione al pubblico, recuperando l’espressione “giornalismo civile”. “L’intento è frutto di buone intenzioni, ma a volte sembra solo un’operazione di marketing mirante a far aumentare il numero dei visitatori del sito web del giornale”, ha commentato il docente.
Il giornalismo di oggi si confronta quindi con quello di ieri: “l’analogico (la carta stampata) versus il digitale; il gratuito versus il servizio a pagamento; il professionale versus il civico”.
Nell’antico modello di giornalismo, “l’informazione era scarsa, costosa, istituzionale, orientata al consumo”. Allo stesso modo, “la distribuzione era unidirezionale ed era scarsa la partecipazione del pubblico”.
Ora, invece, “l’informazione è abbondante, gratuita o a buon mercato, personale, partecipativa; la distribuzione va da molti a molti, e il pubblico diventa un utente attivo”.
Per questo, ha affermato che risulta “imprescindibile trovare uno sbocco economico sostenibile per le imprese che fanno giornalismo. Ma anche le redazioni dovranno subire una ristrutturazione profonda”.
Contreras ha concluso il suo intervento osservando che è possibile che le imprese editoriali trovino nuovi modi di sostenersi e di adattarsi alle nuove sfide, ma ha rimarcato che “la società non ha bisogno di un determinato tipo di giornali, bensì di un’informazione professionale e affidabile sugli eventi che meritano di essere conosciuti in quanto aiutano a vivere e a migliorare la società in cui viviamo”.
“Cambieranno, e stanno cambiando, modi, forme, supporti e linguaggi, ma la ragion d’essere del giornalismo resterà la stessa”, ha dichiarato.