Pio XI nelle nuove fonti vaticane

CITTA’ DEL VATICANO, sabato, 28 febbraio 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito l’intervento pronunciato dal Cardinale Tarcisio Bertone, Segretario di Stato vaticano, in occasione del Convegno internazionale “La sollecitudine ecclesiale di Pio XI alla luce delle nuovi fonti archivistiche” promosso dal Pontificio Comitato di Scienze Storiche e svoltosi in Vaticano dal 26 al 28 febbraio.

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Mi è capitato tra le mani in questi giorni il libro del cardinale Giacomo Biffi, arcivescovo emerito di Bologna, pubblicato nel gennaio dello scorso anno e intitolato: Memorie e digressioni di un italiano cardinale. In esso egli dedica alcune pagine a Pio XI. «In questi ultimi anni — scrive — mi è avvenuto non di rado di verificare i miei pensieri con quelli di un uomo ricco di fede, cristianamente sapiente e libero come don Divo Barsotti (che mi era divenuto amico); e una volta gli ho detto che mi pareva di poter ritenere Pio XI il Papa più grande del secolo ventesimo. Non solo del secolo ventesimo, — mi ha risposto — di tutti gli ultimi secoli». È difficile e forse nemmeno sensato — egli nota — stabilire una graduatoria di merito tra i diversi Successori di Pietro, ma il suo giudizio, che a prima vista sembrerebbe censurabile come eccessivo e assoluto, «vuol solo riscattare energicamente questo Papa da una trascuratezza e da un oblio che non gli rendono giustizia». Con quale criterio il cardinale Biffi valuta questa sua grandezza? Non si tratta certo — egli osserva — di un discorso circa la sua santità, tanto meno la grandezza di un Papa si può misurare dall’ampiezza del favore ottenuto o dal «consenso» mondano. I suoi criteri di giudizio sono gli stessi che motivavano la risposta di don Divo Barsotti, e vanno ricercati non solo nella salvaguardia del deposito di verità rivelata (che sta ovviamente al primo posto), ma anche nella difesa del popolo di Dio dagli errori più nefasti: errori circa il giusto comportamento secondo i dettami del Vangelo, sia dei singoli sia della comunità cristiana. A ciò va sommata la preveggenza, concretata nella messa in atto delle migliori condizioni, perché in un prossimo avvenire la Chiesa possa svolgere la sua missione di salvezza entro una storia che, essendo «mondana», le è di solito largamente ostile. C’è poi la capacità di dare un impulso decisivo all’evangelizzazione, alla vita di carità operosa, alla miglior promozione possibile della giustizia (senza arrogarsi funzioni che sono proprie della società civile), e di preparare praticamente le nuove generazioni dei credenti alle difficoltà di un prevedibile futuro.

Lasciamo da parte la discussione se sia o no il Pontefice più grande del secolo, valutazione sempre complessa e difficile, resta però il fatto che la vicenda umana ed ecclesiale di Pio XI è realmente stupefacente: la si potrebbe persino definire inverosimile, e invece, annota sempre il cardinale Biffi, è soltanto provvidenziale. Ha più di sessant’anni Achille Ratti — l’età in cui comunemente, soprattutto allora, si riteneva conclusa col pensionamento ogni attività organica e permanente — ed era ancora tra i libri: dal 1888 al 1912 alla Biblioteca Ambrosiana di Milano, e quindi sino al 1918 alla Biblioteca vaticana. Poi ecco che tutto cambia. Viene nominato visitatore apostolico in Polonia e Lituania nel 1918, Nunzio e dunque arcivescovo l’anno seguente, arcivescovo di Milano nel 1921, dove fece il suo ingresso l’8 settembre, e Papa il 6 febbraio 1922. Davvero raptim transit («passa rapidamente»), come ebbe a scrivere nel suo stemma episcopale. Chi avrebbe potuto accreditare doti di governo a uno che era vissuto praticamente tutta la vita tra volumi e manoscritti? Eppure, una volta divenuto Pontefice, rivelò subito una straordinaria attitudine a reggere e a guidare con mano ferma e preveggente attenzione le sorti della Chiesa. Nei suoi interventi di varia natura, ce ne sono alcuni che sembrano rivelare una visione «strategica», colgono cioè i problemi non soltanto del momento, ma per così dire «nodali» e quindi di un’attualità molto estesa nel tempo.

Quando divenne Papa scelse come motto: Pax Christi in regno Christi e si mantenne fedele a esso lungo i 17 anni del suo pontificato, incoraggiando ogni sforzo compiuto dai popoli per guarire le ferite della prima guerra mondiale, e per impedire che si tornasse alle lotte fratricide. Eppure terminava il suo pellegrinaggio terreno proprio mentre andava acuendosi la tensione con il regime fascista a causa delle leggi razziali volute da Mussolini, e l’Europa si avviava drammaticamente verso un nuovo sanguinoso conflitto mondiale.

Sono trascorsi settant’anni da allora, e questo significativo anniversario costituisce un’occasione propizia per andare a rileggere pagine di storia ecclesiastica e civile del secolo XX ancora non sufficientemente esplorate, per meglio capire quel che avvenne, e familiarizzare con la figura di questo grande Pastore definito «il Papa della dignità ecclesiale», per il coraggio e la fermezza con cui seppe guidare la Chiesa in un mondo agitato da numerosi e gravi problemi.

Ben volentieri pertanto ho accolto l’invito che mi è stato rivolto di aprire questo Convegno internazionale promosso dal Pontificio Comitato di Scienze Storiche. Pio XI, «Pontefice di statura imperiale» come ebbe a dire di lui il giovane Oscar Romero, futuro arcivescovo di San Salvador caduto sulla breccia nel 1980, non è in effetti conosciuto quanto meriterebbe; non è stata ancora sufficientemente approfondita la sua poliedrica personalità, che ancor più risalta in quel complesso e travagliato contesto storico.

In questi giorni avrete modo di approfondire la figura di Papa Achille Ratti. Questa mattina, però, introducendo i lavori, permettete che accenni ad alcuni dati biografici caratteristici di questo personaggio di primo piano nella Chiesa di fine Ottocento e prima metà del Novecento. Nell’arco della sua vita, come già sopra accennavo, dopo incarichi di carattere culturale e scientifico, improvvisamente il Papa Benedetto XV lo inviò nel 1918 come diplomatico in una delle zone più calde dell’Europa: la Polonia e la Lituania. La sua missione si rivelò in verità non facile: dovette destreggiarsi fra i mille problemi di conflitti nazionali e confessionali che travagliarono la rinascita dello stato polacco, fino all’invasione bolscevica dell’estate del 1920.

Questa sua esperienza diplomatica non fu un tranquillo successo, ma la Santa Sede, che sapeva bene in quale polveriera egli aveva dovuto operare, giudicò molto positivamente la sua azione, e Benedetto XV lo creò cardinale inviandolo arcivescovo a Milano per succedere al futuro beato, il cardinale Ferrari. Ma dopo pochi mesi venne eletto Papa, il 6 febbraio 1922, succedendo a Benedetto XV repentinamente scomparso. La sua elezione, dopo quattro giorni di conclave, avvenne in un contesto politico in evoluzione, quando la crisi postbellica stava per trovare la propria conclusione con il consolidamento della rivoluzione comunista in Russia e l’avvio in Italia del regime fascista, presto seguito da regimi analoghi in altri Paesi d’Europa.

Effettivamente la missione ecclesiale di questo Papa si è svolta in uno scenario che in verità non poteva essere più fosco. Si trovò a dover affrontare ben cinque dittatori: Mussolini, che ascese al potere otto mesi dopo la sua elezione, Salazar in Portogallo, Hitler in Germania, Franco in Spagna, Stalin in Urss; la crisi finanziaria del 1929; la persecuzione dei cattolici in Messico e la guerra civile in Spagna; la conquista italiana dell’Etiopia; le leggi razziali. In questo difficile contesto il Papa agì con determinazione e coraggio coadiuvato validamente in primo luogo dai suoi segretari di Stato: il cardinale Pietro Gasparri dapprima e, dal 1930, il cardinale Eugenio Pacelli. Lo muoveva in ogni sua decisione e  iniziativa il motto stesso del suo pontificato: Pax Christi in Regno Christi — la pace di Cristo, pace fra gli uomini, pace fra tutte le realtà con l’intenzione di salvare il salvabile, di ancorare le derive totalitarie della modernità, il potere senza più limiti dei governi e dei dittatori, a strumenti giuridici vincolanti anche la sovranità statuale, ormai debordante e incontenibile.

Una caratteristica del pontificato di questo grande Papa fu senz’altro — potremmo chiamarla così — la politica dei concordati fra
i quali emergono i Patti Lateranensi sottoscritti con l’Italia nel 1929, che costituirono un suo indiscutibile successo, come riconobbero pure quanti — si pensi a De Gasperi e don Sturzo — lo vissero dal loro punto di vista come uno «schizzo di fango», che andava a imbrattare il miglior cattolicesimo antifascista.

Quando, appena eletto, Pio XI per la prima volta dopo il 1870 si affacciò dalla loggia centrale della basilica di San Pietro per la benedizione Urbi et orbi, lasciò chiaramente intendere che sarebbe stato il Papa della Conciliazione, e ciò venne ulteriormente chiarito nella sua prima enciclica, la Ubi arcano del 23 dicembre del 1922.

Proprio nei giorni scorsi è stato solennemente commemorato l’ottantesimo anniversario dei Patti Lateranensi tra la Santa Sede e l’Italia, ed è stato a più riprese sottolineato come con il Trattato, il Concordato e la Convenzione finanziaria si sia rimarginata una ferita aperta dalla Questione romana realizzando la nascita dello Stato vaticano, base territoriale quasi simbolica eppure reale della sovranità e dell’indipendenza della Santa Sede.

Di tutto ciò il merito primo e principale va indubbiamente a Pio XI, considerato pertanto a giusto titolo il vero ideatore e fondatore dello Stato della Città del Vaticano, frutto della sua tenacia, realismo, cultura e lungimiranza, dimostrate del resto anche in tanti altri momenti, e di fronte a molti gravi problemi che, come ho già detto, segnarono la Chiesa e la società durante quei decenni.

La creazione dello Stato della Città del Vaticano si può dire che andava ad «aggiungere» alla sovranità della Sede Apostolica quella di carattere territoriale: il Pontefice diventava sovrano di un piccolo stato territoriale perché «una qualche sovranità territoriale è condizione universalmente riconosciuta indispensabile a ogni vera sovranità giurisdizionale ».

Il Concordato invece non impedì purtroppo crisi e tensioni, già nel 1931 per l’offensiva fascista contro le organizzazioni cattoliche e nel 1938 a causa delle leggi razziali.

Per non dilungarmi oltre, vorrei semplicemente aggiungere che, oltre a quello con l’Italia, Pio XI ebbe a concludere una decina di altri concordati: con la Lettonia, la Baviera, la Polonia, la Romania, la Lituania, il Baden, l’Austria e la Germania.

Il più contestato è sicuramente l’accordo con il Reich hitleriano, portato a termine il 20 luglio 1933. Chi lo giudica un cedimento dimentica che esso fornì alla Santa Sede la giustificazione giuridica e morale che rese possibile nel 1937 l’enciclica Mit brennender sorge, la requisitoria più ferma e precisa mai scritta contro il nazismo, accusato quasi di essere l’anticristo e di «pervertire» e «falsificare» l’ordine «creato e voluto da Dio». Ma di quel documento merita di essere ricordata soprattutto la conclusione, stranamente trascurata nei frequenti addebiti rivolti contro il papato di quegli anni. Scrive Pio XI: «Abbiamo pesato ogni parola di questa enciclica sulla bilancia della verità e insieme dell’amore. Non volevamo con silenzio inopportuno essere colpevoli di non aver chiarita la situazione, né con rigore eccessivo di avere indurito il cuore di coloro che, essendo sottoposti alla Nostra responsabilità pastorale, non sono meno oggetto del Nostro amore, perché ora camminano sulle vie dell’errore e si sono allontanati dalla Chiesa».

Solo cinque giorni dopo il documento contro il nazismo, Pio XI — che del bolscevismo conservava un amaro ricordo per averlo visto all’opera nel 1920 contro i polacchi — promulgò l’Enciclica Divini Redemptoris, sul «comunismo ateo». «Per la prima volta nella storia — leggiamo in uno dei passaggi più forti di questo testo — stiamo assistendo a una lotta, freddamente voluta e accuratamente preparata, dell’uomo contro tutto ciò che è divino».

Se la situazione religiosa era drammatica in Europa, non era più rosea nelle Americhe, soprattutto in Messico, dove la Chiesa cattolica subì una feroce persecuzione. Papa Pio XI dedicò diverse encicliche alle vicende messicane: la Iniquis afflictisque del 18 novembre 1926 che condannava i sopraffattori, la Acerba animi del 29 settembre 1932, la Dilectissima nobis del 3 giugno 1933 in cui protestava per quanto avveniva in Spagna e accennava alla situazione in Messico e in Russia, la Firmissimam constantiam del 28 marzo 1937. Tutte testimoniano l’angoscia e le difficoltà con cui da Roma si cercava di interpretare e orientare i tragici eventi che insanguinavano quei Paesi.

Mi sono soffermato fin qui a porre in rilievo l’azione politica di questo Pontefice. Ma non va dimenticato che la sua azione pastorale fu veramente sorprendente, perché riuscì ad abbracciare vari fronti. L’internazionalizzazione della Chiesa di Roma fece in quegli anni passi avanti fondamentali, segnati da scelte che si rivelarono poi decisive: come, ad esempio, il trasferimento a Roma dell’Opera per la Propagazione della Fede; la promulgazione dell’enciclica Rerum Ecclesiae, nel 1926, volta a promuovere clero ed episcopato indigeni, i cui frutti saranno la creazione dei primi sei vescovi cinesi; l’attenzione alla Russia e all’oriente cristiano, di cui sarà prova la creazione a Roma di un Collegio russo, il Russicum, affidato ai Gesuiti, come pure la grande opera caritativa svolta dalla «Pro Russia», la cui documentazione è abbondante e in parte ancora inesplorata. Sul piano strettamente religioso e dottrinale vanno ricordate, oltre la celebrazione di grandi santi come san Francesco di Sales, san Tommaso d’Aquino, san Francesco d’Assisi e sant’Agostino, le quattro encicliche definite dal futuro beato Giovanni XXIII «magnifiche colonne»: la Divini illius Magistri del 31 dicembre 1929 sull’educazione della gioventù, la Casti connubii del 31 dicembre dell’anno seguente 1930 sulla famiglia saldata da Dio nell’unità matrimoniale, la Quadragesimo anno del 15 maggio 1931 che celebra, spiega e integra la Rerum novarum di Leone XIII e la Ad catholici sacerdotii del 20 dicembre 1935 che esalta la sublimità del sacerdozio cattolico e la sua missione nel mondo.

Questo Pontefice — lo riconoscono concordi gli storici — seppe governare la Chiesa con vigore, guardando con occhi nuovi alle missioni e al radicamento cattolico al di fuori dell’Europa; fu sensibile alle questioni emergenti nella cultura e spinse i cattolici a un impegno nel sociale. La cronaca dei 17 anni del suo pontificato è ricca di celebrazioni memorabili in occasione dei giubilei e di altre significative circostanze. Fu inoltre il primo Pontefice a usare il mezzo radiofonico, grazie all’invenzione di Guglielmo Marconi, facendo così udire la sua voce in tutto il mondo.

 

(©L’Osservatore Romano – 27 febbraio 2009)

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ZENIT Staff

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