di Marine Soreau
PARIGI, venerdì, 27 febbraio 2009 (ZENIT.org).- “Si prova sempre grande angoscia di fronte all’idea di privarsi del cibo”, constata Jean-Christophe Normand, animatore di ritiri, parlando del digiuno.
In questa pratica, riconosce, “è in gioco un’autentica conversione a livello spirituale”, anche se “i frutti dipendono da ciascuno”. “Ciò che è chiaro è che il digiuno offre risposte”.
Jean-Christophe Normand è un laico, padre di famiglia, consultore in risorse umane e assistente di direzione di imprese, e anima ritiri di iniziazione al digiuno dal 2007.
Ha ripreso il progetto lanciato dal teologo svizzero Harri Wettstein, che presentava nel monastero benedettino francese di Pierre-qui-Vire l’esperienza di un digiuno di sei giorni, secondo un metodo adattato ai nostri giorni. Normand offre questa esperienza anche nell’abbazia di San Guénolé de Landévennec, in Bretagna.
ZENIT lo ha interpellato all’inizio di questa Quaresima in cui Benedetto XVI ha proposto di riscoprire il valore del digiuno, che “può aiutarci a mortificare il nostro egoismo e ad aprire il cuore all’amore di Dio e del prossimo, primo e sommo comandamento della nuova Legge e compendio di tutto il Vangelo” (cfr. Messaggio per la Quaresima 2009).
Benefici spirituali
In primo luogo, spiega che il digiuno è un terreno adatto a permettere un’“autentica conversione a livello spirituale”.
“Le persone che accorrono ai nostri ritiri, a volte non credenti, sono alla ricerca. Una ricerca che prenderà corpo durante la settimana e alla quale non sempre sono capaci di dare un nome. Di fronte alla proposta del cambiamento, il digiuno offre risorse per affrontare questo passo”.
“Per aiutarle, si propongono momenti di accompagnamento individuale con un monaco, anche se non si impone nulla. Le persone che vengono hanno bisogno di essere guidate. Durante il ritiro, si realizza un lavoro considerevole in ogni persona e, in generale, si ha la necessità di esprimere ciò che si prova”.
“Questo ritiro offre anche l’opportunità di seguire gli uffici liturgici dei monaci benedettini e la vita della loro comunità. Proponiamo di cercare di vivere la liturgia e di entrare in essa, di vedere come si svolge”.
“Il giorno in cui ci congediamo facciamo un bilancio. Le persone allora riescono a dare un nome a ciò che erano venute a cercare. I frutti dipendono da ciascuno, ma ciò che è chiaro è che il digiuno offre risposte”.
Superare la paura della privazione
A livello psicologico, spiega Normand, il digiuno permette di affrontare “la paura della privazione”. “E’ molto incoraggiante rendersi conto che è possibile riuscirci. In ultima istanza, ciò dà una fiducia personale molto forte: il mio corpo ha risorse per vivere periodi di ristrettezze!”.
Attraverso il digiuno, percepiamo anche le disfunzioni della nostra alimentazione. Ci sono persone che commettono eccessi: questo permette di prendere le distanze, di ritrovare una forma di igiene di vita, di benessere. Normand riconosce che il digiuno non è una cosa naturale, perché “si prova sempre grande angoscia di fronte all’idea di privarsi del cibo”.
“Mettendoci in una posizione di umiltà, rinunciamo alla nostra fame di potere. Comprendiamo ciò che è davvero necessario nella nostra vita e ciò che non lo è. In questo lavoro di introspezione e di presa di distanze, si comprende ciò che è eccessivo nella nostra vita”.
Dimensione caritativa
Secondo Normand, il digiuno non è una cosa egoista. “Non si digiuna per se stessi – avverte –. Il digiuno apre agli altri e alla vita di carità. Per questo motivo, proponiamo sistematicamente, al termine del ritiro, di fare un dono, di sostenere un’opera”.
“In questo modo viviamo pienamente i carismi associati alla vita di Cristo – conclude –. Oltre alla gioia di un benessere fisico, sperimentiamo quella di essere in comunione con i nostri fratelli e le nostre sorelle”.