Ripubblicata dopo 400 anni la “Sidereus Nuncius” di Galileo

Intervista alla prof.ssa Flavia Marcacci, curatrice della nuova edizione

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di Antonio Gaspari

ROMA, lunedì, 23 febbraio 2008 (ZENIT.org).- Il 26 febbraio, nell’aula Paolo VI della Pontificia Università Lateranense (PUL), verrà presentato il volume di Galileo Galilei “Sidereus Nuncius”.

Nell’anno dedicato all’astronomia e a 400 anni dalla prima pubblicazione avvenuta nel 1609, il volume, tradotto e commentato dal prof. Pietro A. Giustizi, verrà presentato nella nuova edizione a cura della prof.ssa Flavia Marcacci, docente di Storia del pensiero scientifico presso la Pontificia Università Lateranense.

Il volume, edito dalla Lateran University Press, è nato anche grazie alla collaborazione del Centro Italiano di Lullismo competente per la determinazione dell’importanza del contesto in cui l’opera di Galileo si è sviluppata.

Per cercare di capire come e quanto il pensiero di Galilei e quello della Chiesa cattolica siano stati vicini o lontani, ZENIT ha intervistato la prof.ssa Marcacci.

Che senso ha ripubblicare dopo 400 anni un libro di Galileo?

Marcacci: Ha molto senso. Non solo perché ricorre l’anno internazionale dell’astronomia e perché si ricorda che 400 anni fa il telescopio fu puntato al cielo da Galileo. Ma perché è proprio nel Sidereus Nuncius che Galileo descrive le sue prime osservazioni, e può per questo essere considerato il primo documento scritto di storia dell’astronomia “moderna”, volendo il suo atto di nascita ufficiale.

Non solo: si è parlato moltissimo di Galileo negli ultimi 20-30 anni, e soprattutto dopo l’istituzione della Commissione Galileo voluta da Giovanni Paolo II se ne è parlato molto in relazione al problema del rapporto scienza-fede.

Concentrarsi, stavolta, su di un’opera in cui ancora Galileo non entra in discussioni di questo genere è senz’altro un modo per recuperarne la figura e lasciarsene interrogare al di là di ogni pregiudizio.

Siamo nell’era dei telescopi, e quanto mai quest’opera ci ricorda la necessità per la scienza di guardare la realtà, di lavorare sui dati recepiti dalle nuove osservazioni per confermare ipotesi o, magari, costruirne di nuove.

Quali sono le peculiarità di questa edizione?

Marcacci: Si ripropone la traduzione che fece il prof. Pietro A. Giustini (morto nel 2007), e che noi alla Pontificia Università Lateranense (PUL) abbiamo voluto offrire ai lettori per ricordare quest’uomo che, gravato da problemi di salute, ha dovuto prima del tempo rallentare il suo lavoro ma senza rinunciare ad una intensa e preziosissima attività didattica proprio qui alla PUL.

Il commento ha un taglio marcatamente scientifico, attento a rilevare aspetti più tecnici che filologici e a mettere in dialogo costantemente queste pagine galileiane con altri testi dello scienziato, ed in primis con la sua corrispondenza. Mi consenta di aggiungere che il volume è arricchito dalla premessa del Decano della Facoltà di Filosofia, Gianfranco Basti, e dalla prefazione di un insigne studioso quale Michele Camerota; c’è inoltre un’ampia bibliografia tematica da me redatta e relativa specificatamente al Sidereus Nuncius e alla questione galileiana.

Quest’ultima mostra quanto Galileo sia una figura estremamente attuale. Debbo aggiungere che degno di nota è lo stesso contesto in cui questo lavoro va a collocarsi: il volume è pubblicato dall’Università Lateranense in collaborazione con il progetto STOQ (Science, Theology and Ontological Quest) dedicato per quest’anno alla cosmologia osservativa. C’è stata inoltre la collaborazione con il Centro italiano di Lullismo E. Platzek, i cui interessi sono volti allo studio del contesto storico in cui il Sidereus Nuncius si va ad inserire.

Viene rimesso in discussione il rapporto con la fede?

Marcacci: Come già dicevo non sarebbe propriamente questa l’opera più indicata. Sebbene Galileo faccia allusione diretta all’Artefice delle stelle nella lettera dedicatoria a Cosimo II de’ Medici, il Sidereus Nuncius ha le caratteristiche di un trattato scientifico: anche il latino utilizzato è asciutto, descrittivo, privo di ornamenti.

Quali reazioni suscitò l’annuncio delle nuove scoperte astronomiche?

Marcacci: Con quest’opera Galileo mandava in crisi l’immagine aristotelica del cosmo: è ben cosciente di farlo e di farlo finalmente in maniera ufficiale. Insomma, intendiamoci: si pensava che la luna fosse liscia e levigata, ed invece Galileo dimostra che è piena di monti e valli; si pensava che le nebulose fossero parti dense di cielo ed invece Galileo mostra che si tratta di un insieme numerosissimo di stelle; e così descrive Orione, le Pleiadi fino ad annunciare che attorno a Giove ci sarebbero dei satelliti, proprio come attorno alla Terra c’è la Luna!

In altre parole, la Terra è come ogni altro pianeta, e la Luna pure. Non c’è differenza tra terra e cielo: ecco distrutto in poche pagine uno dei dogmi aristotelici più solidi. Circa le reazioni sul lungo raggio la nuova fisica costrinse filosofi e teologi a riflettere su come interpretare le Scritture (il celebre problema dell’immobilità del Sole); in termini più moderni, su come coniugare ragione e fede.

È questo un problema di estrema attualità, come ben sappiamo, sul quale il Concilio Vaticano II ha ampiamente riflettuto, promulgando tra l’altro la Dei verbum nel 1965, e che con la Fides et ratio di Giovanni Paolo II è tornato ancora più al centro di discussioni molto feconde.

Come si fa a distinguere il contributo scientifico di Galileo dalla strumentalizzazione ideologica che lo indica come vittima dell’oscurantismo ecclesiastico?

Marcacci: Semplicemente riflettendo su quanti atti ufficiali sono stati posti dalla Chiesa per riabilitare Galileo. A partire da quando nel 1734 fu eretto un mausoleo in onore di Galileo sotto Clemente XII, fino a quando fu riscattata pubblicamente l’immagine del “grande penitenziato” da Pio VII per arrivare ai nostri giorni, ai lavori della Commissione Galileo voluta da Giovanni Paolo II e alle tante occasioni in cui ormai nella Chiesa si fa riferimento a Galileo.

Chi fu veramente Galileo Galilei?

Marcacci: Un grande scienziato, del quale l’Italia non può che andare davvero fiera.

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ZENIT Staff

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