Discorso del Papa ai partecipanti a un congresso promosso dalla PAV

CITTA’ DEL VATICANO, domenica, 22 febbraio 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il testo del discorso pronunciato questo sabato da Benedetto XVI ricevendo in udienza i partecipanti al Congresso Scientifico Internazionale “Le nuove frontiere della genetica e il rischio dell’eugenetica”, promosso dalla Pontificia Accademia per la Vita (PAV) in occasione della sua XV Assemblea Generale.

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Signori Cardinali,

Venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,

Illustri Accademici,

Gentili Signori e Signore!

Mi è particolarmente gradito potervi ricevere in occasione della XV Assemblea ordinaria della Pontificia Accademia per la Vita. Nel 1994 il mio Venerato Predecessore Papa Giovanni Paolo II la istituiva sotto la presidenza di uno scienziato, il professor Jerôme Lejeune, interpretando con lungimiranza il delicato compito che avrebbe dovuto svolgere nel corso degli anni. Ringrazio il Presidente, Mons. Rino Fisichella, per le parole con le quali ha voluto introdurre questo incontro, confermando il grande impegno dell’Accademia a favore della promozione e difesa della vita umana.

Da quando, nella metà dell’Ottocento, l’abate agostiniano Gregorio Mendel, scopri le leggi dell’ereditarietà dei caratteri, tanto da essere considerato il fondatore della genetica, questa scienza ha compiuto realmente passi da gigante nella comprensione di quel linguaggio che sta alla base dell’informazione biologica e che determina lo sviluppo di un essere vivente. È per questo motivo che la genetica moderna occupa un posto di particolare rilievo all’interno delle discipline biologiche che hanno contribuito al prodigioso sviluppo delle conoscenze sull’architettura invisibile del corpo umano e i processi cellulari e molecolari che presiedono alle sue molteplici attività. La scienza è giunta oggi a svelare sia differenti meccanismi reconditi della fisiologia umana sia processi che sono legati alla comparsa di alcuni difetti ereditabili dai genitori come pure processi che rendono talune persone maggiormente esposte al rischio di contrarre una malattia. Queste conoscenze, frutto dell’ingegno e della fatica di innumerevoli studiosi, consentono di giungere più facilmente non solo a una più efficace e precoce diagnosi delle malattie genetiche, ma anche a produrre terapie destinate ad alleviare le sofferenze dei malati e, in alcuni casi, perfino a restituire loro la speranza di riacquistare la salute. Da quando, inoltre, è disponibile la sequenza dell’intero genoma umano anche le differenze tra un soggetto ed un altro e tra le diverse popolazioni umane sono diventate oggetto di indagini genetiche che lasciano intravedere la possibilità di nuove conquiste.

L’ambito della ricerca rimane anche oggi molto aperto e ogni giorno vengono dischiusi nuovi orizzonti ancora in larga parte inesplorati. La fatica del ricercatore in questi ambiti così enigmatici e preziosi richiede un particolare sostegno; per questo la collaborazione tra le differenti scienze è un supporto che non può mai mancare per approdare a risultati che siano efficaci e nello stesso tempo produttori di autentico progresso per l’umanità intera. Questa complementarità permette di evitare il rischio di un diffuso riduzionismo genetico, incline a identificare la persona esclusivamente con il riferimento all’informazione genetica e alle sue interazioni con l’ambiente. È necessario ribadire che l’uomo sarà sempre più grande di tutto ciò che forma il suo corpo; egli, infatti, porta con sé la forza del pensiero, che è sempre tesa alla verità su di sé e sul mondo. Ritornano, cariche di significato, le parole di un grande pensatore che fu anche valente scienziato, Blaise Pascal: “L’uomo non è che un giunco, il più debole nella natura, ma è un giunco pensante. Non occorre che l’universo intero si armi per schiacciarlo; un vapore, una goccia d’acqua è sufficiente per ucciderlo. Ma quand’anche l’universo intero lo schiacciasse, l’uomo sarebbe pur sempre più nobile di ciò che lo uccide, perché egli sa di morire e conosce la superiorità che l’universo ha su di lui; l’universo invece non ne sa nulla” (Pensieri, 347).

Ogni essere umano, dunque, è molto di più di una singolare combinazione di informazioni genetiche che gli vengono trasmesse dai genitori. La generazione di uomo non potrà mai essere ridotta a una mera riproduzione di un nuovo individuo della specie umana, così come avviene con un qualunque animale. Ogni apparire nel mondo di una persona è sempre una nuova creazione. Lo ricorda con profonda sapienza la parola del Salmo: “Sei tu che hai creato le mie viscere e mi hai tessuto nel seno di mia madre… Non ti erano nascoste le mie ossa quando venivo formato nel segreto” (139,13.15). Se si vuole entrare nel mistero della vita umana, quindi, è necessario che nessuna scienza si isoli, pretendendo di possedere l’ultima parola. Si deve condividere, invece, la comune vocazione per giungere alla verità pur nella differenza delle metodologie e dei contenuti propri a ogni scienza.

Il vostro convegno, comunque, non analizza solamente le grandi sfide che la genetica è tenuta ad affrontare; ma si estende pure ai rischi dell’eugenetica, pratica non certamente nuova e che ha visto nel passato porre in essere forme inaudite di autentica discriminazione e violenza. La disapprovazione per l’eugenetica utilizzata con la violenza da un regime di stato, oppure frutto dell’odio verso una stirpe o una popolazione, è talmente radicata nelle coscienze che ha trovato espressione formale nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. Nonostante questo, appaiono ancora ai giorni nostri manifestazioni preoccupanti di questa pratica odiosa, che si presenta con tratti diversi. Certo, non vengono riproposte ideologie eugenetiche e razziali che in passato hanno umiliato l’uomo e provocato sofferenze immani, ma si insinua una nuova mentalità che tende a giustificare una diversa considerazione della vita e della dignità personale fondata sul proprio desiderio e sul diritto individuale. Si tende, quindi, a privilegiare le capacità operative, l’efficienza, la perfezione e la bellezza fisica a detrimento di altre dimensioni dell’esistenza non ritenute degne. Viene così indebolito il rispetto che è dovuto a ogni essere umano, anche in presenza di un difetto nel suo sviluppo o di una malattia genetica che potrà manifestarsi nel corso della sua vita, e sono penalizzati fin dal concepimento quei figli la cui vita è giudicata come non degna di essere vissuta.

È necessario ribadire che ogni discriminazione esercitata da qualsiasi potere nei confronti di persone, popoli o etnie sulla base di differenze riconducibili a reali o presunti fattori genetici è un attentato contro l’intera umanità. Ciò che si deve ribadire con forza è l’uguale dignità di ogni essere umano per il fatto stesso di essere venuto alla vita. Lo sviluppo biologico, psichico, culturale o lo stato di salute non possono mai diventare un elemento discriminante. È necessario, al contrario, consolidare la cultura dell’accoglienza e dell’amore che testimoniano concretamente la solidarietà verso chi soffre, abbattendo le barriere che spesso la società erige discriminando chi è disabile e affetto da patologie, o peggio giungendo alla selezione ed al rifiuto della vita in nome di un ideale astratto di salute e di perfezione fisica. Se l’uomo viene ridotto ad oggetto di manipolazione sperimentale fin dai primi stadi del suo sviluppo, ciò significa che le biotecnologie mediche si arrendono all’arbitrio del più forte. La fiducia nella scienza non può far dimenticare il primato dell’etica quando in gioco vi è la vita umana.

Confido che le vostre ricerche in questo settore, cari amici, possano continuare con il dovuto impegno scientifico e l’attenzione che l’istanza etica richiede su problematiche così importanti e determinanti per il coerente sviluppo dell’esistenza personale. È questo l’auspicio con cui desidero concludere questo incontro. Nell’invocare sul vostro lavoro copiosi lumi celesti, imparto a voi tutti con affetto una speciale Benedizione Apostolica.

[© Copyright 2008 – Libreria Editrice Vaticana]

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ZENIT Staff

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