CITTA’ DEL VATICANO, domenica, 15 febbraio 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito la prefazione del Cardinale Tarcisio Bertone, Segretario di Stato vaticano, al libro “Ti credevo un altro” (Siena, Cantagalli, 2008, pagine 149, euro 13,50) scritto da Carlo Di Cicco, Vicedirettore de “L’Osservatore Romano”.
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di Tarcisio Bertone
La vita di ciascuno si muove e trova le ragioni del proprio esistere nella Parola di Dio, che nei libri delle Sacre Scritture si è aperta davanti agli uomini. La Parola di Dio trasforma ed è efficace perché in essa è Dio stesso che parla di sé e ci permette di percepirlo come Egli vorrebbe essere compreso. Il centro della fede cristiana scaturisce proprio dalla rivelazione che Dio fa di sé: Egli è amore. Gesù Cristo incarna il volto umano di Dio e i suoi seguaci non possono fare a meno di seguirlo nell’imitazione con una vita caratterizzata dall’amore per il prossimo. Alla luce di questa Parola e di questa definizione si coglie anche l’imponente azione riformatrice additata da Benedetto XVI alla Chiesa in questo tempo, che non si basa sul «fare» ma sull’«essere». Non è senza significato che egli abbia intitolato la sua prima Enciclica Deus caritas est, invitando con essa la Chiesa a ripartire da Dio amore. Lo stesso richiamo alla grande tradizione della Chiesa, quella della sequela del Vangelo anziché quella che si identifica con le forme culturali del passato, va colta come sollecitazione a non perdere le radici feconde che in ogni epoca hanno prodotto santità nella Chiesa.
Il tema dell’amore di Dio si intreccia con il dramma della vita reale di ogni uomo, il quale, senza questo amore, resta come accecato, alla deriva in un mondo carico di inquietanti presagi, per l’assurda pretesa di costruire la propria esistenza senza Dio. L’amore cristiano è davvero la buona novella perché aiuta a rinnovare la faccia della terra, apre la speranza di un efficace mutamento grazie alla costante rigenerazione del mondo a opera dello Spirito Santo. Accettando la rilevanza della questione di Dio amore, si accetta di introdurre nella vita personale di ognuno e nelle istituzioni religiose il principio della conversione del cuore e del dialogo coraggioso e sereno, aperto alla critica e all’autocritica. Quando in particolare la Chiesa cattolica e le altre Chiese o comunità cristiane, ponendosi in ascolto della Parola di Dio, decidono di fondarsi su Dio amore, la pratica riformatrice si fa necessariamente esigente ma allo stesso tempo non intransigente e largamente dialogica. Le stesse istituzioni civili, governate dal principio di laicità e democrazia, possono sentirne beneficio. Sono riflessioni queste che percorrono il libro di Carlo Di Cicco e lo rendono attraente perché presenta una lettura cristiana della storia attraverso una forma letteraria che intreccia nel racconto, la memoria personale (a tratti autobiografica) e collettiva della Chiesa percepita dalla prospettiva aperta dal concilio Vaticano II. Egli spera nel progresso del dialogo con le diverse istanze culturali del presente e nel colloquio aperto tra credenti e non credenti basato non tanto sulle reciproche recriminazioni del passato, ma ispirato alla mutua fiducia, in cui i cristiani possano offrire le ragioni della propria fede in maniera costruttiva. Carlo Di Cicco, giornalista cattolico sensibile a questo confronto, si è interessato al pensiero di intellettuali laici e di teologi moderni, a volte anche controversi, che hanno spinto la ricerca teologica a tentare nuove prospettive nel dialogo ecumenico, interreligioso, interculturale.
Una caratteristica del libro sta anche nel proporre una lettura articolata di una stagione tanto discussa come quella del Sessantotto. La penna del giornalista-scrittore descrive le attese giovanili che si sono andate dipanando mentre già era in atto la graduale realizzazione del concilio Vaticano II. A questo proposito conviene ricordare la grande spinta feconda che visse il volontariato cattolico proprio a partire dal Sessantotto, quando si cominciò a pensare più concretamente a un mondo più ampio dei confini nazionali e in marcia verso una reale solidarietà universale fondata sulla giustizia. L’autore sottolinea che questi orizzonti di impegno cristiano, trovarono spinta efficace e originante nella scoperta della Parola di Dio che il concilio aveva rimesso in mano al popolo credente.
Ora che Benedetto XVI ha richiamato la Chiesa e le istituzioni formative sull’emergenza educativa, vorrei ricordare il Sessantotto con le parole di un grande maestro dell’educazione cattolica centrata sul sistema preventivo. Don Juan Vecchi, ottavo successore di don Bosco, amava ripetere che il Sessantotto va interpretato con una serie di chiavi di lettura. Negli anni che lo precedettero, si accumularono elementi di disagio, esigenze di nuove sintesi culturali. Forse — ricordava don Vecchi — non furono dovutamente presi in considerazione uno a uno e, una volta accumulati, esplosero. Tutto il disagio è confluito in un movimento orientato con leader caratterizzati politicamente. Si è trasformato in una forte contestazione di massa organizzata che non ha maturato un progetto educativo. «Come di ogni fenomeno educativo — osservava don Vecchi — parlo volentieri anche del Sessantotto. Non bisogna attribuire a quel periodo di contestazione studentesca un significato quasi messianico, ma occorre riconoscere che allora le istituzioni non colsero l’urgenza di dover rispondere al disagio giovanile avviando cambiamenti strutturali o grandi».
Nell’ottica di Benedetto XVI, nessuna delle energie cattoliche, e dunque anche quelle nate sotto la spinta degli anni postconciliari, che nel tempo hanno incontrato difficoltà di ascolto riducendosi in tanti casi a vivere al margine, deve sentirsi di troppo nella Chiesa. La missione di annunciare l’amore di Dio in maniera credibile al mondo che fatica sempre di più a percepirlo, chiede uno sguardo nuovo perché il mondo creda.