di Roberta Sciamplicotti
ROMA, venerdì, 13 febbraio 2009 (ZENIT.org).- La dignità umana è l’elemento che deve risaltare maggiormente nel dibattito sulle migrazioni, ha affermato l’Arcivescovo Agostino Marchetto intervenendo questo venerdì a Roma a un simposio su “La dignità dell’uomo e i diritti umani ai tempi della globalizzazione”, organizzato dalla Fondazione Konrad Adenauer in cooperazione con la Comunità di Sant’Egidio.
Il presule, segretario del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, ha pronunciato una conferenza sul tema “Diritti umani e dignità del migrante nell’epoca della globalizzazione”, iniziando con l’osservare che le migrazioni “costituiscono oggi una delle sfide più complesse in questo nostro mondo globalizzato”.
Per questo, “è naturale” che “balzi in primo piano pure il tema del rispetto dei diritti fondamentali della persona umana – e quindi anche di coloro che sono coinvolti nella mobilità umana”.
Da questo punto di vista, ha constatato, la Chiesa “è continuamente impegnata a vari livelli, attenta, com’è, soprattutto a promuovere un cammino che rispetti e valorizzi la dignità della persona migrante”.
“In considerazione della caratteristica globale e strutturale delle migrazioni, essa incoraggia e auspica lo sviluppo di una politica esplicita e concertata, dove i migranti non siano un capro espiatorio per altri problemi sociali, né una minaccia alla sicurezza e alla stabilità”.
“Punto di partenza umano ed ecclesiale”, ha aggiunto, sono infatti “l’affermazione dell’uguaglianza tra le persone, ben oltre le determinazioni di etnia, di lingua e di origine, e altresì l’unità della famiglia umana”.
Per questo motivo, la Chiesa è “estremamente attenta” all’accoglienza e all’accompagnamento pastorale dei migranti, non dimenticando di sottolineare che il fenomeno della migrazione comporta anche “un complesso di doveri e di diritti, primo tra i quali il diritto allo spostamento migratorio”.
Il diritto degli Stati alla gestione dell’immigrazione, dal canto suo, deve “prevedere misure chiare e fattibili di ingressi regolari nel Paese, vegliare sul mercato del lavoro per ostacolare coloro che sfruttano i lavoratori migranti, mettere in atto misure di integrazione quotidiana, contrastare comportamenti di xenofobia, promuovere quelle forme di convivenza sociale, culturale e religiosa che ogni società plurale pur identica esige”.
Lo Stato, inoltre, “deve esercitare il suo dovere-diritto di garantire la legalità, reprimendo la criminalità e la delinquenza e gestendo le persone in situazione irregolare”, ma operando sempre “nel rispetto della dignità umana, dei diritti umani e delle convenzioni internazionali”.
Necessità di un approccio globale
La tutela della dignità della persona umana, ha spiegato l’Arcivescovo, “mette ancora più in rilievo la necessità di una cura pastorale specifica nell’ambito migratorio per la prima e seconda generazione”, che deve contemplare “il rispetto per l’uso della lingua materna nella catechesi, nella predicazione e nell’amministrazione dei Sacramenti, l’attenzione per le esigenze particolari della religiosità popolare, l’invio di missionari appositamente designati”.
Le strutture pastorali, ha aggiunto, devono “garantire un progressivo processo di integrazione attiva nella Chiesa locale, che superi la tentazione della ‘colonizzazione religiosa’ e dell’assimilazione tout court, evitandosi d’altra parte pure una forma di ghetto".
Accanto al tratto prettamente pastorale, ha proseguito monsignor Marchetto, “non devono mancare adeguati interventi pure nel campo sociale, civile e politico”.
Le migrazioni, infatti, “quasi ci obbligano a porre al centro la persona umana per un proficuo sviluppo dell’intera famiglia dei popoli e delle Nazioni, sollecitando priorità e precisi criteri di intervento”.
L’importanza del dialogo
Il segretario del dicastero vaticano ha sottolineato che in primo luogo “è necessario assicurare un progresso sostenibile effettivo, promuovendo e orientando la produzione, con l’ordinato concorso di tutti”.
Allo stesso modo, si è chiamati a “migliorare il livello di ‘umanesimo’ della società, rinnovando anche la cultura e la scuola nelle sue molte ramificazioni”. In questa prospettiva, la conoscenza dei vari gruppi etnici e delle loro culture è “un passo obbligato che va inserito nei programmi educativi scolastici e in quelli della catechesi”.
Anche le strutture della pastorale migratoria, ha osservato, “devono valorizzare i momenti di incontro e di dialogo, che possono aiutare a migliorare le relazioni interpersonali e altresì favorire una testimonianza più capillare e convinta del messaggio evangelico”.
Per questo, bisogna insistere “sulla formazione, soprattutto dei giovani, ma anche dei leader dei gruppi e delle collettività”.
“L’urgenza di oggi e il segreto del futuro stanno nel dialogo tra persone, comunità, popoli, culture, religioni ed etnie perché la chiusura o l’intolleranza nascono dall’idolatria di se stessi e del proprio gruppo”.
In considerazione di questo, per l’Arcivescovo è quindi indispensabile “riaffermare che, per avere effetti veramente positivi e duraturi, la globalizzazione deve essere fondata su una visione della persona umana che risponda ai criteri cristiani profondamente umani, ben oltre le ideologie materialiste e laiciste, che sposano la causa del relativismo, relativizzando, in fondo, appunto la fondamentale dignità di ogni persona umana”.