Il figliol prodigo, parabola dell'uomo (II)

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ROMA, martedì, 10 febbraio 2009 (ZENIT.org).- Per la rubrica sull’Amore misericordioso pubblichiamo la seconda parte dell’intervento di Carlo Casini, Presidente del Movimento per la Vita italiano, alla tavola rotonda dal titolo “Il figliol prodigo, parabola dell’uomo”, tenutasi nel 1982 presso il Santuario dell’Amore misericordioso di Collevalenza (PG).

La prima parte è stata pubblicata il 3 febbraio.

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Quando parlo di figlio prodigo, penso sì a ciascuno di noi, ma penso soprattutto – in tema di diritto alla vita – ad una sorte di soggetto collettivo.

Io ho sempre raccomandato una grande misericordia delicatezza nei confronti di quanti abortiscono. Ho detto “quanti” e non “della donna che abortisce”, per contrastare anche su questo punto la cultura dominante. In effetti anche l’uomo abortisce e più della donna, perché prevalentemente la decisione, la prima decisione, è presa da lui. Ci sono poi gli esecutori, tra cui la madre del concepito. Non è sempre così, ma molto spesso è così. Dal diritto penale sappiamo che la responsabilità del “mandante” non è minore, anzi è più grave di quella dell'”esecutore”.

Si tratta di esemplificare, anche in questi terribili casi, l’Amore Misericordioso di Dio. Ci deve essere di illuminazione, anche a questo riguardo la parola del Papa. Parlando a Bologna il 19 aprile di quest’anno, Egli, dopo una nuova dura condanna dell’aborto, disse in sostanza: “dico queste cose non per condannare nessuno, ma per testimoniare la mia personale sofferenza.

Ma c’è però un soggetto collettivo che va condannato. Per ciascun uomo e ciascuna donna delle centinaia di migliaia che uccidono i loro figli appena concepiti ogni anno potremmo ripetere le parole misericordiose di Gesù sulla Croce: “Padre, perdona loro perché non sanno ciò che fanno!”. Ma c’è una cultura, un distacco dal Padre, collettivo e generalizzato, una presunzione collettiva di autonomia, menzognera, violenta che è il vero tiranno omicida, che spiega e schiavizza le singole coscienze. E’ il segno che il figliolo ha dimenticato la dignità delle sue origini, La parabola su cui stiamo riflettendo è consolante perché si chiude con il ritorno e con la festa, ma ha un circuito, nel quale il punto più basso della linea si verifica quando il figliol prodigo è sazio, si diverte con gli amici e dilapida il patrimonio, non quando mangia le ghiande insieme ai porci. Ecco: in questo “esperimento” – tale il paragone che facevo all’inizio – che è la vicenda dell’uomo – che – comincia nella società moderna, noi abbiamo il punto più basso proprio nel tempo che viviamo, in cui il vero obiettivo non è la depenalizzazione o la legalizzazione, ma la decolpevolizzazione dell’aborto, l’eliminazione del turbamento.

5) Come allora potrà che avvenire che questa vicenda dell’aborto divenga esemplare anche nell’ottica della speranza, diventi provvidenzialmente capace di suggerire un ritorno?

Imparavamo studiando il catechismo che Dio sa trarre il bene anche dal male: il Padre sa quello che fa e resta sulla torre ad attendere. Si possono allora intravedere segni positivi nella vicenda, pur nell’amarezza di una realtà drammatica e perversa? Intuire questi segni significa veder baluginare la speranza pur nel fondo della notte. Sento il sarcasmo tronfio e soddisfatto: “L’aborto c’è stato sempre, non l’ha inventato la nostra epoca!”. Si, ma non in questa misura e soprattutto l’uomo moderno non aveva mai scritto nelle sue leggi che è lecito uccidere l’innocente. In ogni caso questa affermazione non era il risultato di una cultura largamente condivisa. E ancor più caratteristico: mai si erano verificate come oggi le condizioni ottimali per proclamare con più forza di sempre esattamente il contrario, con l’autorità della scienza, della ragione, delle istanze fondamentali che avevano guidato il cammino culturale dell’uomo moderno. Perciò vi è un contrasto “ultimo”, posto sullo “spartiacque apocalittico della storia”, decisivo per il futuro. Il passato si poteva essere contro l’aborto con motivazioni attinenti ad aspetti secondari superati o superabili: i pericoli per la salute della madre, il bisogno di molti figli in una economia basata sul numero delle braccia, un senso oscuro di paura per ogni soppressione di processi vitali, peraltro non ben conosciuti, che veniva alimentato da una religiosità scontata. Oggi tutti questi argomenti hanno perduto forza o la perderanno. La questione è posta sull’unico punto che conta: la dignità dell’uomo. Perciò la questione è di tale densità da non poter rimanere isolata. Essa investe tutte le grandi tematiche dell’epoca moderna.

Quali allora i segni positivi? Seguo lo schema del prof. Pieretti: vi è un rientrare in sé stessi? Vi è un vizio di inquietudine? Io credo di sì. Guardiamo ai cattolici, in primo luogo. Essi sono sempre stati sensibili al valore della vita, ma mai come oggi con la lucidità che sta maturando, con la consapevolezza della radicalità e globalità del tema e quindi con un senso di responsabilità che li spinge ad abbandonare antiche tranquillità. Perché, certo, non si può parlare della vita che comincia senza subito sentire applicabili le stesse categorie di giudizio e gli stessi stimoli all’azione quando si parla di ogni altra vita in pericolo o sofferente, dai malati agli anziani, dai senza casa, ai disoccupati, fino ai grandi temi della pace e della fraternità tra tutti i popoli della terra. E’ in corso, tra i cattolici, un “rientrare” in dolore ed umiltà dentro sé stessi. L’impegno che ha visto sconfitti in Italia e nel mondo i cattolici sta determinando un ripensamento salutare. “Ricominciare dagli ultimi”, secondo l’esortazione ufficiale dei vescovi italiani, significa delineare un programma che scaturisce dalla riflessione, dalla fatica e dalla amarezza in quell’impegno.

Ma il segnale positivo baluginante può essere intuito anche all’esterno dell’area cattolica. A me pare che molti i quali irridono a sentire queste cose sono invece dominati da una inquietudine che prima o poi esploderà. Quando io riscontro le difficoltà a parlare in favore della vita, perché i mezzi di comunicazione sociale esercitano una rigida censura, oppure perché i così detti “avversari” tacciono, ti rifiutano o mentono spudoratamente (potremmo fare relazioni documentate sulla menzogna come strumento necessario per sopprimere la vita) da un lato mi rattristo, ma dall’altro gioisco, perché questi atteggiamenti sono il segno di una profonda inquietudine, di una incapacità dell’uomo, anche quando ti è avversario e vuole negare la vita, di poterlo comunque dire esplicitamente, L’uomo, alla fine, non può dire che l’uomo non è uomo o che l’uomo non ha diritto alla vita. Allora è costretto a ricorrere al silenzio o alla censura, o alla menzogna o comunque alle vie tortuose, ma questo è propriamente il segno di una inquietudine. Allora con questo uomo inquieto potremo fare gradualmente dei passi insieme per tornare al Padre.

Mi pare che la parabola del figliol prodigo, quindi, sia illuminante e consolante. Bisogna certo “drammatizzare” il fenomeno-aborto oggi, non considerarlo una tra le molte questioni, ma, essenzialmente, la questione del nostro tempo. Rimuovo il dubbio di usare una espressione troppo forte appoggiandomi, ancora una volta, alle parole di Giovanni Paolo II a Bologna nell’aprile scorso: la risposta che diamo alla questione-aborto, egli ha detto, è la cartina di tornasole, il criterio discretivo per distinguere il vero dal falso umanesimo.

E’ facile dire che nel nome dell’uomo ci possiamo trovare tutti d’accordo. Sì ma di quale uomo? “Chi è l’uomo?” E’ alla fine la domanda fondamentale. Qual’è il senso del suo vivere? La “questione del senso” è stata indicata come tipica della nostra epoca. Ancora prima della catastrofe dell’ultima guerra, Huizinga, scriveva in “La crisi della civiltà”: “vediamo d’improvviso come tutti i concetti che un tempo ci sembravano saldi e sacri, si
sono messi a vacillare: verità ed umanità, ragione e diritto. D’improvviso la rimbombante macchina del nostro tempo si è inceppata”. Questa è la condizione dell’uomo moderno. Mentre da un lato sembra aver raggiunto il massimo della potenza tecnologica, egli vacilla, brancola. Ricordo una splendida lezione tenuta anni fa da Prof. Pieretti allo studio teologico fiorentino sulle forme dell’umanesimo contemporaneo. Egli indicava nel protagonista del romanza di Kafka, “il castello” il “tipo” dell’uomo moderno: colui che cerca il senso e non lo trova. Se non sappiamo trovare il senso della vita che comincia è impossibile trovarlo per ogni altro aspetto della vita stessa: nell’inizio è concentrato in modo purissimo ogni possibile sviluppo.

Ma la parabola del figliol prodigo si compirà, anche sotto il profilo che ho illustrato. Per questo lavoriamo con fiducia. Abbiamo fiducia perché ce lo hanno detto i nostri vescovi, voglio dire perché sentiamo l’aspirazione e la forza di una intera comunità in cammino. Nel marzo 1979 in un comunicato la Conferenza Episcopale italiana scrisse una frase che ripeto spesso a me stesso, nei momenti di difficoltà: “per ritrovare speranza bisogna avere il coraggio di dire la verità: la vita di ogni uomo è sacra”. Mi domandavo poco fa, ascoltando il prof. Pieretti: quale sarà l’atto di umiltà che questo soggetto collettivo, questa umanità che pretende di essere autonoma da Dio, dal Padre, potrà compiere…parlo nella visuale in cui mi si è chiesto di parlare… Ecco: noi siamo vacillanti, ma anche tormentati da tanti problemi così enormi che sembrano superare la misura dell’esperienza di ogni singolo uomo. Tutto è diventato ultimo e formidabile: pace e guerra, pericolo atomico, disarmo unilaterale o bilaterale, ambivalenza delle mosse economiche per combattere la povertà e la fame. I problemi umani sono diventati di una complessità enorme e richiedono intelligenze e volontà inesistenti. Da dove cominceremo per ricostruire i nostri corrotti concetti di libertà, di laicità, di diritto, di civiltà? Io penso che l’atto di umiltà potrebbe essere questo: la preghiera del figliol prodigo – questo soggetto collettivo, questa cultura – che è nel dubbio. Padre! Vedi in che condizione sono: non vedo più neppure il senso della storia, non so cosa si debba fare per costruire la città dell’uomo, ha smarrito il sentiero, non so neppure se Tu esisti o no… Però, tieni conto almeno di questa decisione, di questa certezza: rispetterò ogni figlio dell’Immenso. Questo lo posso fare a casa mia, accanto a me, e a misura della mia esperienza e della mia intelligenza: non ho bisogno di trovare geniali soluzioni. Comincerò da questo. Io credo che se i popoli, se la cultura moderna, fossero capaci di questo gesto di umiltà, probabilmente il Padre darebbe al suo abbraccio tanta forza da fare rapidamente recuperare alla umanità la forza morale ed intellettuale per risolvere i grandi problemi del tempo presente, riassuntivo dei quali è quello della pace e dell’unità tra i popoli della terra.

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ZENIT Staff

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