di Chiara Santomiero
ROMA, lunedì, 9 febbraio 2009 (ZENIT).- “Se questo disegno di legge venisse approvato, si ripeterebbe ciò che è accaduto nel 1948 quando Stalin privò la Chiesa Romena unita con Roma, Greco-cattolica, del diritto di esistere, sottraendone i beni e incarcerando preti e Vescovi”, afferma mons. Virgil Bercea, Vescovo dell’eparchia greco-cattolica di Oradea.
E’ con profondo rammarico che mons. Bercea, che è anche incaricato per i laici nella Conferenza dei Vescovi cattolici della Romania, ha espresso a ZENIT preoccupazione circa il disegno di legge 368/2007, discusso nei giorni 27-29 del gennaio scorso nella Commissione giuridica della Camera dei deputati romena, in merito al regime giuridico dei beni immobili appartenenti ai culti religiosi ortodosso e greco-cattolico in Romania.
Il progetto di legge dispone, tra l’altro, che “nelle località rurali dove esistono comunità parrocchiali di entrambe le confessioni, e anche complessi monasteriali, costituite in forma di persona giuridica, i beni sacri – i luoghi di culto, la casa parrocchiale, il cimitero e i terreni afferenti – sono di proprietà del culto maggioritario” (art. 2).
“Inevitabilmente – sottolinea mons. Bercea – verremmo pregiudicati da questa norma, poiché la Chiesa greco-cattolica è sempre stata una minoranza, sebbene molto vitale e partecipe della vita del Paese”.
L’Arcivescovo maggiore della Chiesa romena unita con Roma, mons. Lucian Muresan, ha indirizzato una lettera al Presidente della Romania e al Primo ministro del Governo, per esprimere “costernazione” e sollecitare il ritiro di un progetto di legge che “reca pregiudizio morale e materiale alla nostra Chiesa e infrange i diritti costituzionali dei fedeli greco-cattolici”.
“Lo Stato romeno – si legge ancora nella lettera –, il successore dello stato comunista del 1948, ha l’obbligo morale di restituire alla Chiesa tutto ciò che le ha confiscato. Chiediamo soltanto ciò che di diritto ci appartiene in conformità alle previsioni della Costituzione della Romania e alle leggi internazionali”.
“Ad Oradea – racconta mons. Bercea – avevamo 220 chiese, ce ne sono state restituite 19. Spesso noi chiediamo semplicemente di poter celebrare nello stesso edificio di culto in orari diversi dagli ortodossi”.
Capita, invece, che in varie località dove esistono due chiese – originariamente una ortodossa e una greco-cattolica –, “gli ortodossi celebrino una domenica in una chiesa e una domenica nell’altra, lasciandone alternativamente una chiusa, mentre noi siano costretti a celebrare nelle case, nelle scuole o anche all’aperto”.
“E’ un vero peccato – afferma mons. Bercea – questa chiusura di parte della gerarchia della chiesa ortodossa che non è condivisa da tutti i vescovi: ci sono località, infatti, dove si convive in buona armonia e dove sono stati restituiti dalla chiesa ortodossa alla chiesa greco-cattolica, se non tutti i beni che le appartenevano, almeno tutti quelli di cui aveva bisogno”.
Si tratta, inoltre, di un atteggiamento che “non è diffuso tra la gente: qui le famiglie sono costituite frequentemente da ortodossi e greco-cattolici così come da romeni, tedeschi, ungheresi”.
Un appello ai Vescovi della Chiesa cattolica italiana è stato lanciato dai sacerdoti e fedeli della Chiesa greco-cattolica romena presente in Italia per chiedere “vicinanza e comunione”.
Intanto in Romania ci si prepara a vivere, il prossimo 11 febbraio, una giornata di preghiera e digiuno: “Siamo consapevoli – conclude mons. Bercea – di essere troppo piccoli per avere il potere di impedire che la legge venga approvata. La nostra forza è tutta nella preghiera, la nostra e di quanti vorranno sostenerci”.