ROMA, lunedì, 9 febbraio 2009 (ZENIT.org).- “Se una sentenza può decidere di togliere acqua e cibo a qualcuno per farlo morire, stabilendo che questo è legale, mi sembra che una voragine si apra davanti a noi, un buco nero nella nostra convivenza civile”, ha scritto mons. Bruno Forte, Arcivescovo di Chieti-Vasto, in un articolo pubblicato il 4 febbraio su Il Messaggero.
“Chi vincerà se Eluana morirà così?”, si domandava il presule alcuni giorni fa, quando Eluana Englaro era ancora in vita. “Non certo la dignità della persona umana, di qualunque persona umana, quale che sia la sua condizione fisica o mentale, economica o sociale, la nazionalità, il colore, la storia”.
“La dignità di tante persone diversamente abili, con gradi a volte altissimi di disabilità, come di tanti pazienti in stato vegetativo, il valore della vita personale, di ogni vita personale, è qui fortemente messo in questione, è anzi perfino minacciato”, affermava mons. Forte.
Dicendosi cosciente della profonda sofferenza patita da Beppino Englaro, l’Arcivescovo affermava tuttavia: “Non comprenderò mai una Legge che consenta a un medico di porre fine alla vita di Eluana”.
“Per chi crede, quella vita viene da Dio e spetta a Lui solo chiamarla a sé – proseguiva –. Per chi non crede, quella persona viva e vitale, anche se priva di ogni apparente coscienza, è un fratello, una sorella in umanità”.
“E questo dovrebbe bastare per riconoscere che la sua vita è un assoluto davanti a cui è necessario arrestarsi con rispetto, cura e attenzione d’amore”, sottolineava con forza.
“L’amore comunica dove altrimenti non c’è che solitudine e rinuncia – scriveva –: l’amore intesse dialoghi non verbali, fatti anche soltanto del contatto di una mano sull’altra, di una prossimità attenta e discreta, di un essere accanto con la tenerezza infinita che si ha verso la creatura amata, anche quando questa vive in uno stato solo vegetativo”.
“L’amore ti fa sentire la musica che le orecchie non odono, e dire le parole che le labbra non sanno pronunciare. ‘Forte come la morte è l’amore’, dice Shir ha-Shirim, il Cantico dei Cantici (8,7)”, continuava il presule.
“E la via del dialogo attraverso cui far vincere la vita sulla morte – osservava poi –, non sono le parole, ma la prossimità: ‘Mettimi come sigillo sul tuo cuore, come sigillo sul tuo braccio’”.