BAGHDAD, giovedì, 5 febbraio 2009 (ZENIT.org).- Anche se sono stati assegnati loro solo tre seggi, per l’Arcivescovo Louis Sako di Kirkuk le elezioni provinciali del 31 gennaio in Iraq sono state “un passo avanti” per i cristiani.
La consultazione elettorale, il più grande test per lo Stato post-Saddam Hussein, è stata una pietra miliare nel processo di costruzione di un vero sistema democratico.
In un’intervista all’organizzazione caritativa cattolica Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACS), il presule ha affermato che la priorità per i nuovi Governi provinciali dovrebbe essere non solo la sicurezza, ma anche la coesione sociale e lo sviluppo del sistema sanitario e dell’istruzione.
A differenza delle elezioni provinciali del 2005, questa volta hanno potuto votare anche i sunniti. Questo aspetto, secondo monsignor Sako, porterà i cittadini iracheni ad “assumere piena responsabilità” per lo sviluppo del loro Paese.
In questo contesto, l’Arcivescovo sottolinea tuttavia che quando i risultati verranno resi noti – probabilmente alla fine di febbraio – sarà difficile per i cristiani far sentire la propria voce al Governo e nel più ampio dibattito pubblico. La loro posizione, ha spiegato, è stata anche indebolita dalle divisioni tra i politici cristiani.
Avendo a disposizione solo tre seggi, inoltre, rischiano di essere praticamente ignorati. A novembre il Parlamento iracheno ha infatti approvato l’articolo 50 della legge elettorale provinciale, che ha concesso solo sei seggi alle minoranze nei consigli provinciali, di cui tre ai cristiani a Baghdad, Basra e Mosul.
Nonostante tutto, il presule esprime speranza: “Queste elezioni sono positive, sono un netto passo avanti – ha affermato –. E’ un’esperienza del tutto nuova per noi”.
Parlando alla “Radio Vaticana”, ha affermato che “è importante il fatto che gli iracheni adesso possono scegliere liberamente. Prima le scelte erano condizionate al 100 per cento in un modo, adesso non più”.
I tre seggi per i cristiani, confessa, sono “meglio di niente. Poi potremo chiedere di più”, anche se riconosce che “non sono stati rispettati tutti i diritti” delle minoranze.
“C’è stato spiegato che se avessimo avuto, per esempio, dieci seggi, allora avremmo potuto condizionare gli equilibri politici tra i vari gruppi e questo preoccupava. C’è stato detto: ‘Allora adesso è meglio darvene uno e poi potrete chiedere’. Ci hanno fatto delle promesse, ma non c’è nessuna sicurezza”.
Secondo il presule, “bisogna aiutare tutti a distinguere tra la religione e la politica. Finora hanno pensato che cristiano volesse dire avversario. Invece, qui, non ci sono regimi cristiani. La politica è una cosa, la religione è un’altra cosa. Se si arriva a capire che la religione non è un cosa politica, allora non ci saranno problemi”.
“Ci vuole molto tempo per cambiare la mentalità e il gioco politico – ha riconosciuto –. La maggioranza vuole avere tutto, senza pensare agli altri”.
Visto che molti cristiani stanno ritornando dai Paesi nei quali erano emigrati, per l’Arcivescovo ora sarà forse possibile “chiedere al nuovo Governo di avere un Ministro per proteggere e difendere le minoranze religiose ed etniche”.
Secondo fonti delle Nazioni Unite, alle elezioni del 31 gennaio ha partecipato più della metà dei 15 milioni di elettori iracheni, che hanno dovuto scegliere tra oltre 14.400 candidati per 440 seggi dei consigli provinciali di 14 delle 18 province del Paese.
Le quattro province in cui non si è votato sono le tre autonome curde e la provincia di Kirkuk, quella dell’Arcivescovo, dove il voto è altamente controverso per il conflitto arabo-curdo per il controllo delle risorse petrolifere della zona.