Vescovi dell’Iraq: il mondo non dimentichi i profughi iracheni

E’ in corso in questi giorno a Roma la visita “ad limina Apostolorum” dei presuli

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CITTA’ DEL VATICANO, venerdì, 23 gennaio 2009 (ZENIT.org).- Il mondo non dimentichi la situazione drammatica dei profughi iracheni: è il grido disperato lanciato dai Vescovi dell’Iraq che in questi giorni si trovano a Roma per la visita “ad limina Apostolorum”.

Per raccontare le sofferenze di questa piccola comunità ecclesiale duramente provata dalle conseguenze della guerra, alcuni presuli iracheni hanno preso parte, il 21 gennaio, presso la Radio Vaticana alla presentazione del documentario di Elisabetta Valgiusti, dal titolo: “Iraq – Sos rifugiati”, prodotto da “Salvaimonasteri” (www.salvaimonasteri.org) con il contributo del Ministero degli Affari Esteri.

Intervenendo al dibattito l’Arcivescovo di Kirkuk dei Caldei, monsignor Louis Sako, e il Vescovo ausiliare di Babilonia dei Caldei, monsignor Shlemon Warduni, hanno parlato del “silenzio assordante sulla drammatica situazione dei cristiani iracheni”.

“Abbiamo assistito inermi a una fuga di massa nell’indifferenza generale – hanno detto secondo quanto riferito da ‘L’Osservatore Romano’ –. Le nostre grida di dolore e di disperazione hanno trovato spazio sui media solo da qualche mese”.

Per questo, hanno aggiunto, “è ora che l’opinione pubblica e la comunità internazionale si faccia carico di questa situazione e consenta a milioni di profughi iracheni di tornare nel loro Paese”.

Si calcola che i profughi interni e i rifugiati all’estero siano un quinto della popolazione irachena.

Prima del 2003, anno dell’invasione anglo-americana, i cristiani erano 800 mila su una popolazione di 25 milioni di abitanti, per il 95% musulmani.

Negli ultimi cinque anni, tuttavia, le difficili condizioni di vita, le violenze anticristiane, con uccisioni, rapimenti, intimidazioni e attacchi alle chiese – più di 200 i cristiani iracheni uccisi dal 2003 -, hanno costretto più del cinquanta per cento della comunità a lasciare le proprie case, soprattutto gente istruita, professionisti, appartenenti a una classe media.

Queste persone, in molti casi, sono costrette a vivere nella miseria nei Paesi ospitanti come Siria (circa 1.600.000), Giordania (700.000) ed Egitto, Libano, Turchia e l’area del Golfo (circa 500.000), in attesa di poter tornare nelle proprie abitazioni. Mentre sono più di 2,5 milioni i profughi dentro i confini iracheni.

Oltre alle intere famiglie sradicate, diversi sono stati anche i rapimenti e gli omicidi di sacerdoti e Vescovi, in particolare nell’area di Mossul, da parte di gruppi fondamentalisti locali. Uno dei momenti più drammatici è stato il caso di monsignor Paulos Rahho, Arcivescovo caldeo di Mossul, rapito il 29 febbraio 2008 e ritrovato senza vita il 12 marzo dello stesso anno.

“Dobbiamo impedire – hanno poi sottolineato i Vescovi – che altri cristiani iracheni abbandonino la loro terra. È evidente che la situazione in cui è costretta a vivere la piccola comunità cristiana è costellata da minacce, soprusi, violenze e perfino uccisioni, ma tutto questo deve finire”.

“La comunità internazionale e gli Stati Uniti in particolare devono garantire la pace nel nostro Paese – ha aggiunto –. I cristiani devono avere la garanzia di vivere la loro vita senza pericolo di minacce e violenze, come è accaduto fino a oggi. Portare la pace e la sicurezza in Iraq è prioritario”.

Monsignor Matti S. Matoka, Arcivescovo siro-cattolico di Baghdad, ha detto che la situazione è “tale da fare immaginare un disegno affinché i cristiani lascino il Medio Oriente”.

L’Arcivescovo Sako ha poi dichiarato di voler chiedere al Santo Padre di preparare un Sinodo speciale per la Chiesa in Iraq: “Abbiamo tanto bisogno dell’aiuto del Papa – ha affermato –, grazie ai suoi continui appelli, i media internazionali hanno iniziato a parlare della causa irachena”.

“Noi – ha proseguito l’Arcivescovo – non siamo in grado di pianificare e progettare il futuro dell’Iraq. La Santa Sede ci potrà sicuramente dare una mano e un appoggio”.

“I cristiani iracheni sono molto fiduciosi e a loro dobbiamo dare risposte per impedire che la paura abbia il sopravvento. Abbiamo bisogno degli altri – ha concluso monsignor Sako – in Iraq occorre una democrazia adatta a un Paese che non l’ha mai avuta. L’aspettiamo da trentacinque anni”.

“La democrazia deve essere educata non imposta”, ha commentato ancora monsignor Warduni.

Per monsignor Georges Casmoussa, Arcivescovo siro-cattolico di Mosul, le difficoltà nel Paese, dopo l’arrivo degli americani sono “centuplicate, ma gli americani non sono il problema, prima o poi lasceranno il Paese. Il vero problema delle diverse comunità in Iraq è la negazione dell’altro”.

In una intervista alla “Radio Vaticana”, monsignor Luis Sako ha detto: “Ci sentiamo un po’ isolati, dimenticati, purtroppo. I cristiani che hanno lasciato il Paese e gli altri, che sono rimasti, aspettano, senza molta speranza nell’avvenire. Vivono nella preoccupazione per i loro bambini, per il loro futuro, per le loro case, per il loro lavoro”.

Riguardo alla nuova svolta che potrebbe imprimere il neo Presidente statunitense Barack Obama il presule ha osservato che “la politica non dipende da una persona. Se lui decide di ritirare i soldati, allora sarà un guaio. Forse ci sarà una guerra civile. Non abbiamo abbastanza soldati e poliziotti per controllare un Paese di 25 milioni di persone”.

La comunità di gran lunga più numerosa nella Chiesa cattolica irachena è quella assiro-caldea distribuita in 10 diocesi facenti capo al Patriarca di Babilonia dei Caldei, il Cardinale Emmanuel III Delly. Ci sono poi i fedeli della Chiesa siro-cattolica (distribuiti in due Arcieparchie); la comunità armeno-cattolica con una arcieparchia; i cattolici di rito latino con una arcidiocesi e i fedeli greco-melkiti cattolici.

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ZENIT Staff

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