La vera crisi è spirituale

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di Salvatore Martinez*

ROMA, giovedì, 15 gennaio 2009 (ZENIT.org).- Questo nuovo anno porta con sé due significative ricorrenze legate alla figura di don Luigi Sturzo: i novanta anni dall’Appello ai liberi e forti (18 gennaio 1919), codice fondativo del Partito Popolare Italiano, e i cinquanta anni dalla sua morte (8 agosto 1959).

Ripensare il destino della nostra Europa, a partire dai grandi ideali sturziani, può rappresentare il miglior tributo d’onore a questo incompreso e geniale interprete delle più autentiche passioni civili di un popolo. E al contempo può favorire il tracciato di un nuovo e condiviso progetto di sviluppo sociale, legato ad un deciso impegno di svolta morale.

Negli ultimi mesi la parola “crisi” è corsa tra le pieghe della carta stampata e tra le labbra di giovani e anziani di ogni latitudine e nazionalità. Niente di nuovo sotto il sole! Ogni epoca storica vive e vivrà il tempo della crisi: potrebbe forse disertare la nostra? C’è un antico adagio che mi pare ritornare con sempre maggiore frequenza: “Mala tempora currunt”, i tempi sono difficili. Ma non sono mai stati facili, né mai lo saranno! In un suo Discorso (n. 311), sant’Agostino così commentava: “Vivete bene il tempo e lo cambierete; e se lo cambierete non avrete più da lamentarvi”.

In un’epoca di grandi travagli, che avrebbe dato corso a quel teatro di contraddizioni dello spirito umano che è stato il secolo Novecento, don Luigi Sturzo non esitava ad affermare che “la madre di tutte le crisi è spirituale” (in “La vera vita”). Darsene conto, oggi, è decisivo se si vuole introdurre un vero fattore di cambiamento capace d’incidere nella coscienza del nostro Paese, sempre più erronea, decadente, arresa al male e a tutte le sue canonizzazioni etiche, giuridiche e scientifiche.

Don Luigi Sturzo, basandosi sulla singolare convergenza fra i principi ispiratori del Cristianesimo e ciò che di autenticamente umano caratterizza la storia, metteva in guardia dal perpetrarsi del grande errore della modernità: “L’errore moderno è consistito nel separare e contrapporre Umanesimo e Cristianesimo: dell’Umanesimo si è fatto un’entità divina; della religione cristiana un affare privato, un affare di coscienza o anche una setta, una chiesuola di cui si occupano solo i preti e i bigotti. Bisogna ristabilire l’unione e la sintesi dell’umano e del cristiano; il cristiano è nel mondo secondo i valori religiosi; l’umano deve essere penetrato di Cristianesimo” (in “Miscellanea londinese”, vol. III»).

Un giudizio lucido e laicissimo al contempo. La politica, l’economia, la scuola, la famiglia non sono mai aliene dai valori dello Spirito. L’esperienza del vivere e del

morire, entro cui sono segnati i confini del nostro essere uomini, non possono mancare di un principio interiore, soprannaturale, che tenda ad unificare le diversità e a rimuovere i conflitti derivanti dalla nostra fragile e contraddittoria natura umana, bisognosa di un ordine spirituale.

Il cardinale Joseph Ratzinger, invitato a parlare al Senato della Repubblica Italiana, nel maggio 2004, profetizzava questo incedere della crisi: “L’Europa, proprio nell’ora del suo massimo successo, sembra svuotata dall’interno, come paralizzata da una crisi circolatoria, una crisi che mette a rischio la sua vita affidandola a trapianti che ne cancellano l’identità. Al cedimento delle forze spirituali portanti si aggiunge un crescente declino etnico. C’è una strana mancanza di voglia di futuro”.

La coscienza sociale di un popolo può essere risvegliata e promuovere il bene comune – di tutti, a vantaggio di ciascuno, e mai di pochi a svantaggio di molti – a partire dai valori dello Spirito. Ben lo intese don Luigi Sturzo dal suo esilio londinese, nel 1938 (in “The preservation of the faith”): “La vera rivoluzione è spirituale ed è combattere il prevalere dell’egoismo e dell’ingiustizia. Questi sono la causa prima dei nostri errori nella nostra vita personale e nella vita sociale. La vera rivoluzione comincia con una negazione spirituale del male e una spirituale affermazione del bene. Ciò procede lentamente, ma è una costruzione sicura, un edificio con profonde fondamenta di carità e di giustizia”.

Questo primato dell’ordine spirituale su quello sociale non deve essere inteso come libertà dal mondo – una sorta di resa, di fuga da una realtà sempre più generatrice di disagi e di sofferenze – ma piuttosto come libertà per il mondo, forza di liberazione delle nostre parole e azioni sempre più ammalate di esteriorità e di vacuità. Nessun uomo può immaginarsi senza il mondo, né al di là di questo nostro mondo! Chi si apre ai valori dello Spirito e ne coltiva la forza performativa si apre alla solidarietà con il mondo.

In fondo, l’inquietudine del nostro tempo è già avvento di una nuova speranza. La degenerazione morale è già parto di un nuovo stile di vita. Il male imperante è già vittoria della misericordia e della verità. Un destino umano sempre si dispiega allorché una libertà si realizza, così che l’umanità intera progredisce o regredisce se il valore della vita spirituale di un popolo registra un’evoluzione o un’involuzione, se vengono coltivati o trascurati buon senso e buone prassi.

Le nuove forme di democrazia individualiste e disumane che la nostra società europea sta supinamente partorendo, in nome dell’uguaglianza di tutti gli uomini, impongono una seria riflessione. Non ci sarà vera coscienza sociale se le regole del gioco democratico si baseranno su una somma di “io” autonomi, supremi, retti sempre più palesemente da interessi lobbistici. Si finirebbe, in tal modo, con il rendere l’uomo prigioniero di sé, incapace di alterità; una sorta di uomo incompiuto o decaduto, estraneo ad ogni coinvolgimento civile nella solida costruzione del bene comune.

“La principale risorsa dell’uomo è l’uomo stesso”, andava ripetendo Giovanni Paolo II, in modo sempre più marcato dalla redazione dell’Enciclica sociale “Centesimus annus”, nel 1991.

Don Luigi Sturzo, nel 1925, parlando del bisogno di una nuova “crociata d’amore nella politica”, affermava: “La vita umana viene percepita come valore, ricca di senso, quando ci si sente amati e quando si impara ad amare”. Ogni persona è bisognosa d’amore, prima che di divieti o di concessioni, perché l’uomo non può vivere senza amore. Senza amore, l’uomo rimarrà un essere incomprensibile per se stesso. E “nessun ordinamento statale – ha ricordato Benedetto XVI nella sua prima enciclica “Deus Caritas Est” (n. 28) – per quanto giusto, potrà rendere superfluo il servizio dell’amore”.

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Presidente nazionale del Rinnovamento nello Spirito e del Polo di Eccellenza “Mario e Luigi Sturzo”

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ZENIT Staff

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