Esiste un diritto all’ambiente?

ROMA, giovedì, 18 settembre 2008 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito per la rubrica di Dottrina Sociale e Bene Comune l’intervento del professor Ercole Amato, esperto di Economia e docente al Master di Scienze Ambientali dell’Università Europea di Roma.

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Uomo e ambiente, un binomio indissolubile. Finchè esisteranno gli esseri umani su questo pianeta, non è concepibile interessarsi dell’uno tralasciando l’altro, e viceversa. Ciò è tanto più evidente quanto più si concentra la propria attenzione sulla situazione ambientale delle zone del mondo dove la tutela della condizione umana non si è potuta sviluppare in modo adeguato a quelli che devono essere considerati i livelli minimi di vivibilità umana, dal punto di vista sanitario e sociale, e di salvaguardia delle doti che differenziano l’uomo dagli altri esseri viventi, quali l’attitudine al linguaggio, al pensiero, alla socializzazione evoluta, all’arte, alla cultura.

Lo sviluppo della difesa dell’ambiente non può, pertanto, che passare attraverso lo sviluppo delle condizioni di vita dell’uomo, sia curando i suoi bisogni primari sia garantendo a quest’ultimo le migliori condizioni per poter dare espressione a quella inesauribile fonte di ricchezza e di energia che da sempre è alla base di ogni sviluppo: l’intelligenza umana. Se, quindi, il livello di attenzione nei confronti dell’ambiente è maggiormente elevato laddove si è maggiormente evoluta la qualità della vita, questo è stato possibile esclusivamente attraverso un lungo ma costante processo durante il quale si è avuto cura innanzitutto di intervenire a risolvere i problemi legati ai fabbisogni primari dell’uomo, a cominciare dall’approvvigionamento alimentare, per procedere, successivamente, a considerare quelle esigenze connesse non più alle necessità della sopravvivenza ma allo sviluppo della sfera sociale, condizione indispensabile per poter riconoscere in un essere vivente lo spirito umano. E’ stata curata la difesa del diritto alla vita, del diritto alla famiglia, del diritto al lavoro, del diritto alla libertà di espressione, del diritto all’uguaglianza, del diritto alla libertà religiosa, ecc.

L’ultimo livello da considerare nella scala dei valori tesa alla realizzazione del benessere dell’uomo è, alla fine, proprio quello al quale la stessa umanità nel corso dei secoli ha attribuito il valore più basso, il significato più strumentale ad ogni sua necessità, ma che con il passare degli anni, con il miglioramento delle condizioni di vita, appare oggi sempre più indispensabile per consentire uno sviluppo equilibrato e duraturo della condizione umana, economica, spirituale e sociale: la difesa del diritto all’ambiente. Ma che cosa esattamente deve intendersi con tale espressione? Forse il diritto per ogni uomo di sfruttare le risorse naturali per il proprio benessere? Che l’ambiente sia una risorsa economica è fuori di dubbio. Ma di chi è l’ambiente? Chi può arrogarsi il diritto di poter utilizzare tale risorsa, ognuno di noi o pochi tra tutti? Innanzitutto, deve precisarsi che per diritto all’ambiente bisogna intendere il diritto riconoscibile ad ogni uomo di poter vivere in un ambiente idoneo alla propria esistenza. E’ certo che l’ambiente debba rientrare tra quei beni di proprietà comune che, in quanto tali, sono disponibili da tutti ma da nessuno in via esclusiva. Un po’ come le parti comuni di un condominio. Il proprio diritto su una parte del bene diviene esso stesso limite al diritto dell’altro. Ogni essere umano ha diritto all’ambiente in quanto spazio indispensabile alla propria esistenza e, quindi, come tale, sottoposto agli stessi principi di cautela che gli ordinamenti moderni riconoscono alla tutela della proprietà privata. Tuttavia, l’ambiente non può essere trattato come un bene privato individuale proprio per il fatto che di esso ha diritto l’umanità intera per la propria sopravvivenza. Si può considerare, pertanto, un bene di proprietà collettiva, relativamente al quale tutti hanno un diritto di utilizzo ma, al contempo, ognuno può rivendicare la pretesa che esso non venga depauperato, impoverendone il valore economico.

Quale può essere allora il modo per far sì che tale bene possa essere sfruttato senza ledere il diritto altrui? La metodologia di cui trattasi è quella che poggia su principi di cui solo negli ultimi anni si è avuta una compiuta e approfondita valutazione e che ha avuto ampia diffusione a livello sociale con la terminologia di “sostenibilità ambientale”. Rendere sostenibile lo sviluppo significa assicurare la conservazione delle condizioni che hanno reso possibile in un dato momento l’attivazione dei processi evolutivi economici, rendendo quantomeno possibile garantire a ciascuno di giovare delle medesime condizioni ambientali nel momento in cui analoghe attività saranno successivamente poste in essere. Per usare una espressione tecnica, lo sviluppo è sostenibile quando la crescita complessiva del reddito, del patrimonio infrastrutturale e tecnologico, del capitale umano e sociale, mantiene gli input-output di materia ed energia da e verso l’ambiente entro i limiti della capacità portante del pianeta, senza erodere il capitale naturale e deteriorare quelli che chiamiamo servizi ambientali. Fra le iniziative da assumere per il raggiungimento di tale obiettivo, il ruolo principale deve essere assegnato alla lotta all’inquinamento. E’ certo che l’inquinamento dell’ambiente provocato dallo svolgimento di attività umane pregiudica il mantenimento delle condizioni che hanno reso possibile la realizzazione delle stesse attività.

In tale ottica appare inaccettabile che in taluni casi possa essere consentito il depauperamento del valore economico del bene ambiente a seguito di iniziative individuali autorizzate a fronte dell’assolvimento di un corrispettivo versato (ad es. dalle aziende particolarmente inquinanti sotto forma di tasse sulle emissioni). In questi casi ci si pone di fronte a due ipotesi: i comportamenti umani sono oggettivamente rischiosi per l’ambiente e quindi per la salute dell’uomo oppure tale dimostrazione non sussiste. Nella prima eventualità, è impensabile il proseguimento delle attività a rischio anche in presenza di tasse, sanzioni o altri oneri di varia natura, i cui proventi finanziari non sono, oltretutto, quasi mai destinati a compensare i danni prodotti. Esiste in tali casi una vera e propria contraddizione non solo dal punto di vista sanitario o economico, ma, soprattutto, sotto il profilo etico.

Al pari di come viene garantita la proprietà, l’ambiente dovrebbe essere oggetto di una tutela basata esclusivamente su divieti o autorizzazioni a seconda dell’incidenza che una determinazione azione può avere sull’interesse del soggetto titolare del diritto ad usufruire del bene tutelato, in questo caso l’ambiente stesso. In tale contesto, non si può prescindere dall’attuare nel settore una disciplina chiara e rigorosa, in cui siano ben definiti i limiti oltre i quali un certo comportamento è vietato e, quindi, sanzionato, avendo cura di garantire a spese del contravventore il ripristino dello status quo. Viceversa, la stessa disciplina deve assicurare condizioni di operatività certe e ben definite alle attività con impatto ambientale nel caso in cui le stesse possano garantire il rispetto dei limiti fissati dalla legge. Solo in questo modo l’ambiente potrà diventare autentica risorsa per l’uomo, in quanto tale sistema oltre a garantire la crescita economica e la competitività è in grado di assicurare l’accrescimento del capitale umano e sociale garantendo la conservazione di quello naturale.

A questo proposito, il Pontefice Giovanni Paolo II sosteneva che l’ambiente è “casa e risorsa” dell’umanità, e il compendio della Dottrina Sociale della Chiesa nei punti 466, 467, 468, ha scritto che “La tutela dell’ambiente costituisce una sfida per l’umanità intera; si tratta del dovere, comune e universale, di rispettare un bene collettivo”. Il Compendio precisa che la responsabilità verso l’ambiente inteso come patrimonio del genere umano è una responsabilità che le generazioni presenti hanno nei confronti di quelle future, e per questo la respon
sabilità verso l’ambiente deve “trovare una traduzione adeguata a livello giuridico”.

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ZENIT Staff

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