Suor Chiara, voce del silenzio

ROMA, mercoledì, 17 settembre 2008 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito l’intervista di Antonella Gaetani apparsa sul numero di settembre della rivista “Paulus” .

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L’Anno Paolino arriva «come un raggio di sole mattutino che illumina e scalda il sentiero». A parlare è suor Chiara Beatrice Riggio, vicaria del Monastero delle Clarisse di Santa Chiara di Roma. Di origine siciliana, divide il suo tempo tra preghiera, lavoro, fraternità e… internet! «Lo sviluppo tecnologico – aggiunge – è il migliore apporto della scienza alla diffusione del messaggio evangelico». L’amore per la comunione e la comunicazione ha portato le clarisse a dare il benvenuto all’Anno Paolino con un seminario su “Comunicazione e clausura”, che ha ospitato in monastero confessioni ideologiche e spirituali diverse «per aprirsi gli uni agli altri in un sostegno reciproco, che supera le diversità di orientamento sociopolitico, per favorire il reciproco completamento facendo leva sui valori comuni». Perché «anche per l’uomo di oggi, che sia credente o agnostico, l’incontro con la realtà trascendente è una sorta di Damasco che lumeggia aspetti inesplorati di sé e fa rileggere tutta la vita e la storia».

Suor Chiara, come si conciliano silenzio e comunicazione?

«La nostra vita, protesa alla ricerca di Dio nella comunione fraterna, riverbera quanto il Signore ci comunica nel convito della contemplazione. Noi scegliamo Dio e ci rapportiamo a Lui e agli altri con il silenzio, con la parola, con la nostra gioia, con il dialogo. La nostra comunicazione scaturisce dalla vitalità della nostra interiorità vissuta in un rapporto amicale-sponsale con Cristo, e la comunicazione del messaggio che condividiamo con quanti cercano Dio sulle strade del mondo ci riporta in fraternità allargata alla quiete dell’interiorità».

Oggi qual è il ruolo della clausura nel comunicare il Vangelo?

«Quello di sempre. In edizione inedita, con le modalità moderne velocizzate: il chicco di frumento che marcisce e dal quale nasce nuova vita si sviluppa per forza intrinseca e si comunica per l’erompente bellezza e la forza trasformante da cui è originata. Questo processo di morte-risurrezione, per il fatto che è vissuto in clausura – cioè nel solco oscuro e luminoso, nascosto e trasparente dell’esistenza – ha la forza radiale dell’immersione dell’umano nel divino e della fraternità».

San Paolo e santa Chiara: dove s’incontrano queste due figure?

«Direi nella consapevolezza di essere eletti da Dio, cioè scelti come suoi intimi collaboratori. Chiara desume dalla meditazione delle sue lettere una ricchissima definizione della vita contemplativa nella Chiesa: “E per avvalermi delle parole dell’Apostolo – scrive ad Agnese – ti stimo collaboratrice di Dio stesso e sostegno delle membra deboli e vacillanti del suo ineffabile Corpo”. La meditazione dei testi paolini ha fatto scaturire in Chiara quest’altissima convinzione della missione della donna nella Chiesa: collaboratrice di Dio stesso, cioè allo stesso livello degli apostoli impegnati nell’annuncio e nella testimonianza diretta, ma, in forma prettamente femminile: sostegno delle membra deboli e vacillanti del suo ineffabile Corpo, con le prerogative proprie della donna, della madre che si dona, si dedica, non si stanca di spendersi nell’amore, perché questa è la sua forza costitutiva e quindi inesauribile. Come Maria ai piedi della croce del Figlio, in orazione e contemplazione, in umile atteggiamento consenziente alla volontà d’amore del Padre».

Il Papa ha detto: «La visione universalistica tipica della personalità di san Paolo, almeno del Paolo successivo all’evento della strada di Damasco, deve il suo impulso alla fede in Gesù Cristo, in quanto la figura del Risorto si pone di là di ogni ristrettezza particolaristica». Nel silenzio della clausura, queste parole quali riflessioni aprono e quali propositi suscitano?

«La visione universalistica del Paolo dopo Damasco è tipica di chi è stato a contatto col Risorto. Mi riferisco all’esperienza di Paolo nel deserto d’Arabia. L’evento della strada di Damasco è fondamentale e determinate, oltre che sconvolgente, nella sua esperienza di fede monoteistica. È a partire dall’incontro con il Risorto che il messaggio cristiano prende consistenza, attraverso la poliedricità della sua personalità. Direi che le affermazioni del Papa aprono a riflessioni che suscitano propositi certamente di preghiera, di comunione e di comunicazione con gli uomini di ogni fede».

Nella lettera ai Galati si legge: «Non c’è più Giudeo né Greco né schiavo né libero, ma tutti siete uno solo in Gesù Cristo». Parole di grande attualità. Dove possono condurre?

«Indubbiamente su strade che s’incrociano e si diramano per piazze e creano ponti e abitazioni conviviali. L’altro, colui che è diverso da me per cultura e formazione etica e religiosa, è un riverbero della vita di Dio, in quanto da Lui chiamato all’esistenza e merita rispetto, spazio e amore».

…e in Filippesi si legge: «Tutto quello che è vero, nobile, giusto, puro, onorato, amabile, quello che è virtù e merita lode, tutto questo sia oggetto dei vostri pensieri». Come intenderle alla luce del vostro carisma?

«Sono espressioni stupende che indubbiamente hanno nutrito la mente e il cuore di Francesco e di Chiara d’Assisi e hanno contribuito alla loro formazione spirituale, se sono giunte a noi nei loro scritti espressioni come questa: “Siano invece sollecite di conservare sempre reciprocamente l’unità della scambievole carità, che è il vincolo della perfezione”. L’unità della scambievole carità la conservano coloro che custodiscono il cuore nella comunione con Dio e, quindi, protetto da infiltrazioni di elementi di divisione interiore rispetto a se stessi e agli altri».

Come vivete il vangelo?

«Il nostro rapporto con il vangelo è sostanziale perché la vita di Gesù Cristo, specialmente la sua povertà e umiltà, sono la nostra Regola di vita nella Chiesa. Nella Regola il nostro carisma è definito in questi termini: “La forma di vita delle Sorelle Povere, istituita dal beato Francesco, è questa: osservare il santo Vangelo del Signore nostro Gesù Cristo”. E, nel Testamento, Chiara ribadisce con abbondanza di particolari lo scopo per cui l’Ordine delle Sorelle ha avuto origine: “Imitare la povertà e l’umiltà del Figlio di Dio che si è fatto nostra via”. Condividendo la sua interiorità, ne veniamo inevitabilmente trasformate. La conformità a Lui, cammino mai esaurito, è il risultato del nostro itinerario di fede, di sequela. Il nostro rapporto con il vangelo è assolutamente privo da imitazioni settorializzanti. Noi non scegliamo la povertà, o qualche altro aspetto della vita di Cristo. Scegliamo Lui. Lo troviamo povero, crocifisso, morente tra i più struggenti dolori sulla croce e, contemplandolo, desiderando di condividere la sua esperienza, realizziamo la nostra sequela che in termini concreti si esprime in atteggiamenti di misericordia, di accoglienza, di perdono, di ascolto dell’altro».

Paolo è apostolo, certo, ma è anche un mistico. Una strada a voi familiare…

«Qui entriamo nel mistero della persona, nel rapporto d’intimità con Dio. La mistica è un argomento complesso da spiegare, perché riguarda l’agire di Dio nell’anima. Noi ne cogliamo le emozioni e, dai frutti di carità, riconosciamo che Egli passa misericordiosamente nella nostra vita. Viviamo, infatti, un’esperienza sublime di libertà e di limite, di grazia e di peccato. Ma avanziamo liete, pur nella fatica della conquista del cuore puro, perché abbiamo la speranza che il desiderio dell’incontro definitivo con il Signore segni l’inizio di una comunione che non avrà mai termine. Nel godimento di Dio si naufraga nella pace del silenzio. E le parole umane si spengono perché non possono esprimere l’esperienza di Dio. Le immani fatiche che l’Apostolo ha sostenuto per l’annuncio del vangelo e la vitalità travolgente della sua
testimonianza si comprendono e si spiegano alla luce dell’esperienza mistica che il Signore largamente gli accordava per renderlo idoneo alla sua missione».

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ZENIT Staff

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