di Jesús Colina
ROMA, venerdì, 5 settembre 2008 (ZENIT.org).- Forse è giunto il momento perché la società vada al di là dei valori per puntare direttamente a Cristo, secondo quanto sostiene la direttrice di un think-tank sulla globalizzazione.
Marguerite Peeters, direttrice dell’Institute for Intercultural Dialogue Dynamics di Bruxelles, è l’autrice di “The Globalization of the Western Cultural Revolution: Key-Concepts, Operational Mechanisms”.
Il 13 giugno scorso Peeters ha svolto una relazione dal titolo “The Political Consequences of the Western Cultural Revolution”, nell’ambito di una conferenza organizzata dal Pontificio Consiglio della giustizia e della pace sul tema “Politics, a Demanding Form of Charity”.
In tale occasione, Peeters ha rilasciato a ZENIT questa intervista, nella quale tratta del postmodernismo occidentale e delinea il ruolo del Cristianesimo nel dare ispirazione ad un nuovo movimento culturale.
Nell’ambito del seminario sulla politica e la carità lei ha parlato delle conseguenze politiche della rivoluzione culturale occidentale. Qual è il suo pensiero al riguardo?
Peeters: Esiste un nesso diretto fra il processo culturale che nel corso dei secoli ha portato l’Occidente a rinnegare e decostruire le fondamenta della propria civiltà e la situazione attuale caratterizzata da un deficit democratico, dalla rottura del contratto sociale, da una carenza di fiducia nelle istituzioni, da uno scollamento tra la classe dirigente e i cittadini, da un malessere generale e da una sensazione di deriva – la sensazione che il “demos”, il popolo, non è più sovrano e che, in altre parole, la nostra non sia più una democrazia.
La nota dottrinale del 2002 della Congregazione per la dottrina della fede su “alcune questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica” ci ricorda che la democrazia “ha bisogno di fondamenti veri e solidi, vale a dire, di principi etici che per la loro natura e per il loro ruolo di fondamento della vita sociale non sono negoziabili” e che la democrazia “si rende possibile solo nella misura in cui trova alla sua base una retta concezione della persona”.
Quando la democrazia non è basata su queste solide fondamenta, crolla. Anche se oggi la facciata delle istituzioni democratiche è formalmente ancora in piedi, la democrazia in realtà si poggia su un terreno sabbioso, tanto che regna l’incertezza su chi realmente tiri le fila del governo e sull’effettiva possibilità di governare le società.
Come si è arrivati a questo punto?
Peeters: La rivoluzione culturale dell’Occidente è iniziata con l’Illuminismo e ha avuto una forte accelerazione nel corso dell’ultimo secolo. Quando Nietzsche proclamava la morte di Dio nel 1882 era consapevole che ne sarebbe derivato il nichilismo. Egli promuoveva la “volontà di potenza” come rimedio alla disperazione. Ma il carattere utopistico della sua teoria del superuomo trova oggi piena conferma. L’uomo che aveva ucciso Dio si è poi affrettato ad uccidere anche il padre, la madre e la moglie.
La rivoluzione femminista puntava a liberare la donna dalla “schiavitù della riproduzione” (Margaret Sanger). La rivoluzione sessuale ha sostituito la sposa o lo sposo con una molteplicità di partner.
Freud ha fatto diventare l’uccisione del padre, che si ritrova nel mito greco di Edipo, uno dei temi fondamentali di una cultura occidentale già alle soglie dell’apostasia. Da allora, la cultura ha associato la paternità alla repressione. L’apostasia e la decostruzione antropologica, che iniziano con il rifiuto della figura paterna, hanno avuto conseguenze politiche drammatiche.
Marcuse, l’ideologo del ’68, che come Freud riteneva che l’attuale civiltà fosse repressiva, parlava dell’avvento di una civiltà non repressiva, in cui i nostri impulsi istintuali sarebbero diventati valori politici. Quando poi questo si è effettivamente verificato, quando la cultura occidentale ha avallato il libero esercizio della libido, allora le istituzioni, il diritto, l’ordine e la democrazia hanno perso la loro autorevolezza e la loro legittimazione.
Ciò che oggi rimane è una mera fraternità orizzontale. Ma i fratelli, senza di un padre comune, non sono capaci di governarsi da soli e le società disfunzionali diventano anarchiche e spesso precedono le dittature: è facile prendere il potere in una situazione di disordine sociale e politico generale.
La situazione attuale può essere definita postdemocratica?
Peeters: La rivoluzione culturale occidentale ci porta oggi verso una terra di nessuno definita – per mancanza di un termine migliore – postmodernismo.
Postmodernità, come dice la parola stessa, è ciò che viene dopo la modernità: dopo lo Stato-nazione, la democrazia liberale, la democrazia rappresentativa, il consenso dei governati, il governo, l’autorità, la gerarchia, l’identità politica netta – sinistra e destra, marxismo e capitalismo – il contratto sociale e il contratto di governo, i diritti umani, la dignità umana, i “valori universali”, il potere istituzionale, il primato della ragione, la fiducia nella scienza, e così via.
Tutti questi concetti, che noi riconosciamo immediatamente, si trovano in profonda crisi. La rivoluzione culturale non ha abolito formalmente le istituzioni e i valori moderni, ma li ha destabilizzati e surrettiziamente reinterpretati nella loro sostanza fondamentale, rendendoli radicalmente ambivalenti, tanto da non poterli più dare per scontati.
In un sistema postmoderno il nemico si trova all’interno. L’ambivalenza non è sostenibile; la situazione in cui ci troviamo è malsana. Occorre poi ricordare che il postmodernismo viaggia sulle potenti onde della globalizzazione, portando i frutti amari della rivoluzione culturale occidentale e la crisi della democrazia fino alle sponde del mondo non occidentale, minacciando di rendere globale sia la decostruzione sociale sia la perdita della fede teologica.
Il postmodernismo ha una sua piattaforma politica oltre alla decostruzione?
Peeters: La “libertà di scelta” dell’individuo – di scegliere anche contro il disegno del Creatore – è oggi diventato il fondamento di una nuova etica globale. La decostruzione paradossalmente diventa sistemica e normativa a livello globale. È evidente che una simile prospettiva è intrinsecamente asociale e incoerente, e che contribuisce alla ulteriore decostruzione del contratto sociale che tiene unite le persone.
Il nuovo sistema politico sarebbe quindi un processo “flessibile” a seconda delle mutevoli scelte della gente. Sarebbe la celebrazione della “diversità” delle nostre scelte, qualunque esse siano. Il “diritto di scelta” pone in dubbio persino la necessità di essere governati. La mentalità “fai-da-te” è dilagante, ma la realtà ci ricorda che la gente e le società hanno bisogno di essere governate.
Dobbiamo quindi tornare indietro al modernismo e ai suoi valori?
Peeters: Le democrazie moderne dell’Occidente si fondavano su un sistema di “valori”, che poi è stato proclamato “universale” nel 1948. Tuttavia il fatto storico è che questi valori moderni non si sono dimostrati capaci di contenere la spinta rivoluzionaria che poi ha portato alla loro distruzione.
Il motivo – nella mia analisi – è che ciò che sembrava consono alla dottrina sociale della Chiesa era invece interiormente infestato dal deismo, dal naturalismo, dal razionalismo e dall’individualismo dell’Illuminismo. Fintanto che i “valori” sono una costruzione artificiosa e astratta, che aggravano il divorzio tra fede e ragione e tra fede e vita, il loro crollo rappresenta un’opportunità provvidenziale per una nuova evangelizzazione. È un segno dei tempi.
Cosa intende esattamente?
Peeters: La gente è stanca di astrazioni e di grandi teorie. È giunt
o il momento di svincolare la ragione cristiana dal razionalismo massonico, il nostro approccio teologico alla natura dal naturalismo moderno, la nostra fede trinitaria dal deismo del passato.
La grazia del nostro tempo potrebbe essere quella di una chiamata ad andare oltre i “valori”, verso una carità concreta e operativa, verso una fede, speranza e carità più concrete, verso una vita teologica, verso il disegno trintario di Dio.
La sfida culturale e politica che ci troviamo di fronte è quella della “morte di Dio” e della morte dell’uomo, dell’apostasia e della decostruzione della nostra verità antropologica trinitaria. Tornare ai “valori” moderni non ci riporterebbe a Dio e all’uomo. Ma Cristo sì: “Duc in Altum” – siamo chiamati a prendere il largo. È al Padre che dobbiamo tornare.
Chi è che detiene il potere politico in un regime postmoderno?
Peeters: Alla fine della Guerra fredda i governi occidentali mancavano di leadership e non sono stati in grado di dare quella visione necessaria alla nuova epoca. Vi è stato un vuoto. Ed è avvenuta una rivoluzione politica.
Coloro che avevano una visione – ovvero la generazione del ’68 che si trovava al timone della governance globale, motivata da interessi minoritari – hanno colmato questo vuoto. Le aspirazioni universali dell’umanità sono state dirottate e le rimanenze della rivoluzione culturale occidentale sono assurte a norme globali.
Il potere è stato devoluto ad attori non governativi e le “partnership” con le organizzazioni non governative, gli esperti, il “settore privato”, le minoranze e le lobby hanno assunto valore politico. La rivoluzione ci ha condotto su un terreno inesplorato, in cui le minoranze “partecipative” hanno di fatto acquisito legittimità politica.
La generale confusione su chi ci governa è tanto pericolosa quanto la decostruzione delle coscienze che ha trasformato la maggioranza dei cittadini in zombi facilmente seducibili e manipolabili.
Cosa ha ottenuto la rivoluzione politica?
Peeters: Una serie di cambiamenti radicali nel modo di prendere le decisioni e di fare politica. Mi limito a citarne alcuni: dal governo alla governance; dalla gerarchia alle partnership egualitarie; dalla rappresentanza alla partecipazione; dal voto a maggioranza al consensus; dal potere istituzionale al potere popolare; dall’autorità all’empowerment [autonomia]; dall’identità alla diversità; dal formale all’informale; dal potere della maggioranza al potere delle minoranze; dal duro al morbido; dal contenuto al procedimento; dall’intergovernativo al multistakeholder; dalla sovranità nazionale alla governance globale, e così via.
Ciascuno dei cambiamenti ha grandi implicazioni che richiedono un’attenta analisi. I nuovi paradigmi esercitano un’influenza politica importante e sono stati veicolati attraverso la cultura ovunque. Persino nei più remoti villaggi africani sentiamo parlare di “good governance”.
Ci troviamo quindi in un regime in cui coesistono due sistemi politici paralleli – uno legittimo e formale ma moribondo, l’altro informale ma che di fatto governa il mondo? I nuovi concetti sono molto attraenti e spesso appaiono vicini alla dottrina sociale della Chiesa, ma essi sono stati strumentalizzati.
È tutto bianco e nero nei cambiamenti che ha elencato?
Peeters: Ad oggi i rapporti tra il vecchio e il nuovo, il moderno e il postmoderno, non sono stati chiariti. Ma è evidente che l’avvento della governance, secondo la sua accezione oggi prevalente, ha contribuito a indebolire ulteriormente l’autorità di governo; che le partnership hanno contribuito a decostruire le legittime gerarchie; che la diversità assunta a norma tende a destabilizzare il contenuto dell’identità; che la partecipazione spesso si sostituisce alla nozione di rappresentanza democratica; che il decentramento, legato di fatto all’attuazione di un programma globale elaborato non dai cittadini locali e dalla gente, ma da “esperti globali”, ha dirottato la sussidiarietà.
Il discernimento è tanto più necessario, in quanto le conseguenze della rivoluzione politica sono importanti. Una nuova e globale etica secolarista cerca di eliminare la realtà, la verità, il bene e l’amore dalla cultura e, di fatto, di imporre se stessa, sfruttando la debolezze delle nostre moribonde istituzioni democratiche.
Questa etica globale si pone al di sopra del Vangelo per sostituirsi ad esso. Essa rappresenta una violazione inedita del principio di sussidiarietà.
In questa rivoluzione culturale e politica esiste anche qualche elemento positivo?
Peeters: Cosa avverrebbe se venisse meno il dirottamento della nuova cultura; se essa venisse evangelizzata? Non ci porterebbe verso una civiltà dell’amore?
Certamente lo Spirito Santo sta operando nella cultura postmoderna. I suoi paradigmi principali – consensus, scelta, centralità della persona, partecipazione, coinvolgimento della base, eguaglianza, empowerment, enablement, inclusione, diversità, flessibilità, dinamismo, complessità, olismo, accesso, partnership, decentramento – sono chiaramente più vicini all’amore e al cuore rispetto ai paradigmi dell’età della ragione.
Nella modernità il razionalismo aveva sovvertito l’amore. Pensavamo di poter costruire un ordine globale con il solo potere della nostra ragione e della scienza.
Non sono i cristiani chiamati a servire l’umanità dando ispirazione ad un nuovo movimento in cui la carità abbia il primato che merita e in cui nella nuova cultura sia reintrodotta la ricerca comune di ciò che è vero, reale e buono?
Nell’attuale contesto politico, in cui i nostri progetti istituzionali e di civiltà mostrano la loro vanità, il Papa Benedetto XVI sottolinea profeticamente il primato della carità e ci invita – come ha fatto di recente a Brindisi – alla “speranza, non come utopia, ma come fiducia tenace nella forza del bene”. L’ha definita una speranza non temporale ma teologica, “che si fonda sulla venuta di Cristo, e che in ultima analisi coincide con la sua Persona e col suo mistero di salvezza”. L’intrinseca autorità della verità, del bene, dell’amore, della speranza, la luce della venuta di Cristo, la luce che “splende nelle tenebre” (Gv 1,5), risplende anche nelle tenebre dei nostri tempi.