ROMA, venerdì, 22 agosto 2008 (ZENIT.org).- Pubblichiamo il commento di padre Raniero Cantalamessa, OFM Cap. – predicatore della Casa Pontificia -, alla liturgia di domenica prossima, XXI del tempo ordinario.
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XXI Domenica del tempo ordinario
Isaia 22, 19-23; Romani 11, 33-36; Matteo 16, 13-20
“Voi, chi dite che io sia?”
C’è, nella cultura e nella società di oggi, un fatto che ci può introdurre alla comprensione del Vangelo di questa domenica, ed è il sondaggio di opinioni. Lo si pratica un po’ dappertutto, ma soprattutto in ambito politico e commerciale. Anche Gesù un giorno volle fare un sondaggio di opinioni, ma per fini, vedremo, diversi: non politici, ma educativi. Giunto nella regione di Cesarea di Filippo, cioè nella regione più a nord d’Israele, in una pausa di tranquillità, in cui era solo con gli apostoli, Gesù rivolse loro a bruciapelo la domanda: “La gente chi dice che sia il figlio dell’uomo?”
Sembra che gli apostoli non aspettassero altro per poter finalmente dare la stura a tutte le voci che circolavano sul suo conto. Rispondono: “Alcuni Giovanni il Battista, altri Elia, altri Geremia o qualcuno dei profeti”. Ma a Gesù non interessava misurare il livello della sua popolarità o il suo indice di gradimento presso la gente. Il suo scopo era ben altro. Incalza perciò chiedendo: “Voi chi dite che io sia?”
Questa seconda domanda, inattesa, li spiazza completamente. Silenzio e sguardi che si incrociano. Se alla prima domanda si legge che gli apostoli “risposero”, tutti insieme, in coro, questa volta il verbo è al singolare; uno solo “rispose”, Simon Pietro: “Tu sei il Cristo, il figlio del Dio vivente!”
Tra le due risposte c’è un salto abissale, una “conversione”. Se prima, per rispondere, era bastato guardarsi intorno, aver ascoltato le opinioni della gente, ora devono guardarsi dentro, ascoltare una voce ben diversa, che non viene dalla carne e dal sangue, ma dal Padre che sta nei cieli. Pietro è stato oggetto di una illuminazione “dall’alto”.
È il primo chiaro riconoscimento, stando ai vangeli, della vera identità di Gesù di Nazareth. Il primo atto pubblico di fede in Cristo della storia! Pensiamo alla scia prodotta in mare da un bel vascello. Essa va allargandosi a misura che il vascello avanza, fino a perdersi all’orizzonte. Ma comincia con una punta che è la punta stessa del vascello. Così è della fede in Gesù Cristo. Essa è una scia che è andata allargandosi nella storia, fino a raggiungere “gli estremi confini della terra”. Ma comincia con una punta. E questa punta è l’atto di fede di Pietro: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”. Gesù usa un’altra immagine, che, più che il movimento, fa risaltare la stabilità; un’immagine in verticale, anziché in orizzontale: roccia, pietra: “Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa”.
Gesù cambia il nome a Simone, come si fa nella Bibbia quando uno riceve una nuova importante missione: lo chiama Kefa, Roccia. La vera roccia, la “pietra angolare” è, e resta, lui stesso, Gesù. Ma, una volta risorto e asceso al cielo, questa “pietra angolare”, pur se presente e operante, è invisibile. Occorre un segno che la rappresenti, che renda visibile ed efficace nella storia questo “fondamento inconcusso” che è Cristo. E questo sarà appunto Pietro e, dopo di lui, colui che ne farà le veci, il papa, successore di Pietro, come capo del collegio degli apostoli.
Ma torniamo all’idea del sondaggio. Il sondaggio di Gesù, abbiamo visto, si svolge in due tempi, comporta due quesiti fondamentali: primo: “Chi dice la gente che io sia?”; secondo, “Voi chi dite che io sia?”. Gesù non sembra dare molta importanza a quello che pensa la gente di lui; gli interessa sapere cosa pensano i suoi discepoli. Li incalza con quel “ma voi chi dite che io sia?”. Non permette che si trincerino dietro le opinioni altrui, vuole che dicano la loro opinione.
La situazione si ripete, quasi identica, al giorno d’oggi. Anche oggi “la gente”, l’opinione pubblica, ha le sue idee su Gesù. Gesù è di moda. Guardiamo a quello che avviene nel mondo della letteratura e dello spettacolo. Non passa anno che non esca un romanzo o un film con una propria visione distorta e dissacratoria di Cristo. Il caso del Codice da Vinci di Dan Brown è stato il più clamoroso e sta avendo tanti imitatori.
Poi ci sono quelli che sono a metà strada. Come la gente del suo tempo, ritiene Gesù “uno dei profeti”. Una persona affascinante, lo si colloca accanto a Socrate, Gandhi, Tolstoj. Sono sicuro che Gesù non disprezza queste risposte, perché di lui si dice che “non spegne il lucignolo fumigante e non spezza la canna incrinata”, cioè sa apprezzare ogni sforzo onesto da parte dell’uomo. Ma è una risposta che non regge, neppure alla logica umana. Gandhi o Tolstoj non hanno mai detto: “Io sono la via, la verità e la vita”, oppure “Chi ama il padre e la madre più di me non è degno di me”.
Con Gesù non ci si può fermare a metà strada: o è quello che dice di essere, o non è un grande uomo, ma il più grande pazzo esaltato della storia. Non ci sono vie di mezzo. Esistono edifici e strutture metalliche (una credo sia la torre Eiffel di Parigi) così fatti che se si tocca un certo punto, o si asporta un certo elemento, crolla tutto. Tale è l’edificio della fede cristiana, e questo punto nevralgico è la divinità di Gesù Cristo.
Ma lasciamo le risposte della gente e veniamo a noi credenti. Non basta credere nella divinità di Cristo, bisogna anche testimoniarla. Chi lo conosce e non da testimonianza di questa fede, anzi la nasconde, è più responsabile davanti a Dio di chi non ha la stessa fede. In una scena del dramma “Il padre umiliato” di Claudel, una fanciulla ebrea, bellissima ma cieca, alludendo al duplice significato di luce, chiede al suo amico cristiano: “Voi che ci vedete, che uso avete fatto della luce?”. È una domanda rivolta a tutti noi che ci professiamo credenti.