Le possibilità della telemedicina

ROMA, sabato, 23 agosto 2008 (ZENIT.org).- Riportiamo di seguito una intervista al dottor Agostino Faravelli, Direttore del Servizio di Anatomia Patologica dell’Ospedale di Desio (Milano) e Vice-Presidente di “Patologi Oltre Frontiera”, pubblicata dall’agenzia “Fides”.

 

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L’Associazione “Patologi Oltre Frontiera” (www.patologioltrefrontiera.it), che opera dal 2000 – formata attualmente da 200 patologi italiani, ha iniziato nella primavera 2007 ad effettuare diagnosi istologiche e citologiche on line a favore di strutture sanitarie collocate in paesi in via di sviluppo mediante l’impiego del vetrino virtuale.

Nel laboratorio di Anatomia Patologica dell’ospedale di Chirundu in Zambia operano due citotecnici locali formati dai “Patologi Oltre Frontiera” nel biennio 2005-2006 (entrambi hanno recentemente superato l’esame QUATE di competenza europea a Torino). Sono in grado di effettuare lo screening dei pap-test, separando i casi ritenuti negativi dai casi dubbi o positivi.

Quando trovano un caso per loro positivo o dubbio, con una fotocamera digitale in Zambia, scattano alcune foto dei campi diagnostici. I dati clinici ed alcune foto da loro effettuate sul vetrino virtuale vengono inserite nel sito www.zambiaproject.it, al quale ha accesso un numero in progressivo aumento di volontari che possono inserire la loro ipotesi diagnostica.

Nel momento in cui il volontario chiede di essere inserito nella mailing list: gli vengono inviati id e pw che gli consentono di entrare nella sezione del sito dedicata all’attività diagnostica on line; può vedere le immagini fisse dei casi in attesa di conclusione e inserire la propria; può vedere le diagnosi degli altri volontari che hanno visto le immagini in precedenza; può vedere tutti i casi precedenti già chiusi dai vari responsabili del mese.

Il “responsabile del mese” è colui che si fa carico della diagnosi on line su immagini fisse relative a preparati di citologia cervico-vaginale, inserite all’ospedale Mtendere di Chirundu-Zambia.

Questa figura deve essere un medico specialista in Anatomia Patologica, un biologo o un citotecnico, affiancato da un medico e viene selezionata sulla base del curriculum allegato alla domanda di ammissione nella lista. Il responsabile del mese si impegna entro 3 gg lavorativi dal ricevimento della comunicazione della presenza di un caso a: confermare o modificare la diagnosi proposta dai due citotecnici inserendola nell’apposita sezione del sito; a chiudere il caso sapendo che questa operazione significa inviare la propria diagnosi come diagnosi definitiva riportante la sua firma e il nome dell’ospedale in cui lavora. Sul referto comparira anche il nomi del citotecnico zambiano e la dicitura che la diagnosi è stata validata mediante valutazione di immagini digitali fisse; nel caso non sia in grado di formulare la diagnosi per qualsiasi motivo lo deve comunicare via e-mail o telefonicamente a due medici di “Patologi Oltre Frontiera”, che si faranno carico di far scannerizzare il vetrino o di recuperarlo via DHL.

Lo Zambia è uno dei paesi coinvolti dall’attività dell’associazione, come il Madagascar. In tutto lo stato – 18 milioni di abitanti – sono presenti 9 anatomo-patologi, otto dei quali nella capitale Antananarive e uno al nord del paese. In tutto il territorio del sud che ha come centro di riferimento la città di Fianarantsoa non ci sono anatomo patologi e non c’è alcuna possibilità di effettuare prevenzione della malattia neoplastica più diffusa, prima causa di morte per tumore nelle donne: il carcinoma della cervice uterina.

“Patologi Oltre Frontiera” cura anche progetti in Kosovo (servizio di diagnostica cito-istologica); in Palestina (mettere l’ospedale di Beit Jala nella condizione di realizzare autonomamente in sede preparati istologici, immunoistochimici e citologici); in Tanzania (ripristino del laboratorio di anatomia patologica esistente ma in disuso dopo l’indipendenza presso il BMC, ospedale di riferimento nazionale della Tanzania), a Cuba (Dal 1968 è in atto a Cuba un programma di screening del carcinoma della cervice uterina ma, nonostante l’adesione altissima alla campagna di prevenzione (90% circa) e l’elevato numero di pap test eseguiti, non si assiste ad una costante riduzione della mortalità in particolare nella provincia di Granma. Il carcinoma della mammella rappresenta la seconda causa di morte delle donne cubane. Nella provincia di Gramma la prevenzione secondaria di tale neoplasia è particolarmente difficile data l’esistenza di un solo mammografo nell’ospedale di Bajamo. Lo scopo del progetto è quello di migliorare la qualità del prelievo cervicovaginale e dei preparati citologici, di affinare la diagnostica citologica attraverso correlazioni cito-istologiche, di aumentare le diagnosi di neoplasie mammarie in stadio T!N0M0 e di migliorare la qualità della diagnostica agoaspirativa mammaria); a Il Cairo, che ha un bacino di 20 milioni di persone e solo due laboratori di Anatomia Patologica Universitari, dove è stato richiesto all’Associazione di attivare un laboratorio di cito-istopatologia.

Al Dottor Agostino Faravelli abbiamo posto innanzitutto questa domanda: qual è, a suo avviso, l’efficacia della telemedicina?

La sua efficacia è data dalle applicazioni, soprattutto per quel che riguarda i paesi in via di sviluppo. In particolare, la tele-patologia ha una validità molto elevata ed è fondamentale. I medici patologi, come lei sa, sono quegli specialisti che hanno la funzione di dare la diagnosi di una malattia, per poter poi effettuare la terapia adeguata, medica piuttosto che chirurgica. Senza la diagnosi non si può fare una terapia adeguata. Ebbene, mentre nei paesi occidentali di medici patologi ve ne sono a migliaia (in Italia siamo tremila, per esempio), nei paesi dell’Africa subsahariana sono totalmente insufficienti al fabbisogno della popolazione: in Zambia ce n’è uno, in Tanzania dieci, in Burundi nessuno…

Questa situazione che cosa determina per i malati africani?

Comporta che quando un africano va in ospedale – dove ci sono ospedali – con un nodulo del collo, il medico africano, senza la diagnosi fatta dal patologo, dirà che si tratta di una tubercolosi; prescriverà la terapia e si affiderà al “tempo” per verificare se ci sarà guarigione o meno.

Che cosa avete pensato di fare per ovviare a questo terribile problema?

La tecnologia che usiamo è quella che viene usata in molti paesi ricchi per attività diagnostica per la gente che ha fretta e non vuole muoversi. Tenendo presente che per preparare un medico anatomo-patologo occorrono undici anni e che uno dei problemi più impegnativi che vive la sanità africana è quello dell’emigrazione verso altre aree del mondo dei suoi medici, al Mtendere Mission Hospital di Chirundu, posto al confine tra Zambia e Zimbawe, che fa parte della “Alleanza degli ospedali italiani nel mondo” – sede di attività chirurgica di buon livello – è stato prima attrezzato un piccolo laboratorio autosufficiente di Anatomia Patologica e sono stati selezionati tra il personale dell’ospedale due giovani entusiasti e volenterosi di cultura media.

E’ stato organizzato un corso della durata di 15 mesi che ha visto impegnati a Chirundu diversi docenti italiani tra medici, biologi e tecnici per preparare i ragazzi a fare il lavoro di tecnico di laboratorio in anatomia patologica e la lettura citologica dei pap test. I due ragazzi a Torino hanno ulteriormente approfondito la loro preparazione citologica e hanno sostenuto il Quate che è un’ esame di competenza europea per la citologia vaginale di screening. Uno ha superato l’esame nel 2006, l’altro nel 2007. Nella primavera 2007 è stato installato in laboratorio uno scanner di vetrini in grado di crare vetrini virtuali che, utilizzando una trasmissione satellitare, possono essere visualizzati da volontari in Italia. Qui un gruppo di patologi che si occupa della lettura e della refertazione dei casi istologici. Per i casi di citologia vaginale ( pap test) i tecnici zambiani sono in grado di gestire e refertare i casi negativi, mentre i casi sospetti o positivi vengono selezio
nati e inviati in Italia tramite un sito web dedicato. Un esperto italiano, a rotazione mensile, è responsabile della gestione del caso e della diagnosi finale.

Quali sono i risultati ad oggi di quest’attività?

E’ attiva la diagnostica istologica e citologica che serve per il Mtendere Mission Hospital, ma anche per altri ospedali del Southern Zambia che inviano i campioni al laboratorio. Il nuovo progetto Zambia che stiamo curando prevede il potenziamento del laboratorio di Anatomia Patologica dell’ospedale universitario di Lusaka (UTH), l’avvio di un master di citologia a Lusaka e il finanziamento di borse di studio per favorire la formazione di giovani patologi in Zambia.

Il master, organizzato con il supporto del ministero della salute italiano, consiste in un corso residenziale di 10 mesi di lezioni sulla prevenzione e la diagnostica del cervico carcinoma con la formazione di 24 operatori sanitari dedicati alla gestione ed alla valutazione di interventi sanitari , destinato agli Environmental Health Tecnicians (EHT) prevedendo formazione teorico pratica sull’anatomia,fisiologia, epidemiologia, clinica, diagnosi precoce, trattamento del cancro della cervice uterina ed anche sulle tecniche di educazione, sensibilizzazione, organizzazione della popolazione e tecniche di screening in vista di programmi di prevenzione e studio di eventuali campagne di vaccinazione. I diplomati una volta formati dovrebbero essere in grado di gestire una campagna di prevenzione del cancro della cervice nella loro provincia, organizzare i prelievi e l’invio ai centri di lettura (Lusaka-Chirundu). E prevista la formazione di 8 citotecnici da dedicare alla lettura dei test. Le sedi sarebbero l’University Teaching Hospital Lusaka e il Mtendere Mission Hospital di Chirundu. La finalità di questo corso è l’attivazione di un programma di proposizione di pap test ad un alto numero di donne in Zambia, con diagnosi, follow up colposcopico, bioptico e terapia chirurgica, come già attivo al Mtendere Mission Hospital di Chirundu.

In quali altri paesi si svolge la vostra attività?

Oltre che in Zambia, collaboriamo con la Tanzania, il Madagascar, stiamo partendo con i progetti per il Congo, l’Egitto, Cuba, il Kosovo. Abbiamo tantissime richieste; siamo 200 iscritti tra patologi, anatomo-patologi, biologi, tecnici di laboratorio, tutti che operano nell’ambito dell’autonomia patologica.

La telemedicina rappresenta per lei il futuro?

Di certo sì per quella parte del mondo che vive ancora oggi l’assenza totale di diagnosi medica. Basti pensare che nell’Africa sub-sahariana c’è la più alta concentrazione del cancro dell’utero causata dall’incidenza dall’HIV; l’insorgenza del papilloma virus – come accade in occidente – può essere prevenuta con il paptest, che le donne africane non possono fare sia per i costi proibitivi sia per le mancanza di personale medico in grado di effettuare una diagnosi. Per questa ragione le donne africane, in molti paesi muoiono come mosche. La telemedicina e la diagnosi a distanza sono decisive da questo punto di vista. Finora in Zambia sono stati effettuati almeno 4000 pat-test ed il 14% risultano essere positivi. Queste donne – che fanno parte delle circa cinquecentomila donne del paese, si stima, a rischio cancro – potranno fare una terapia.

Come venite accolti dalle popolazioni?

Con entusiasmo. Le popolazioni appaiono consapevoli che il nostro obiettivo è curare e creare dei professionisti della scienza medica.

Il contrario dell’assistenzialismo che è stato praticato per decenni nei confronti dell’Africa…

Esattamente.

Com’è nato il suo impegno personale in questa attività?

Anni fa, mi sono recato in Tanzania come volontario e la cosa che mi ha stupii è che nonostante vi fosse tanta povertà, nei villaggi, insieme alle capanne, erano ben visibili gli “internet cafè” (capanne, naturalmente, ma con con su questa scritta). Se lei prende la guida telefonica della Tanzania, vedrà che essa rappresenta un ottavo della guida telefonica di milano; ciò nonostante, tantissimi giovani africani hanno la posta elettronica. Facemmo degli esperimenti sulla trasmissione dei dati e la cosa funzionò; nel 2004 avvenne il primo contatto con lo Zambia. Ritengo che il lavoro che fatto dall’Associazione fino ad oggi sia stato molto importante. Il problema è quello della sua conoscenza, dell’informazione su questo lavoro. Per renderlo ancora più positivo come “Patologi Oltre Frontiera” stiamo tentando in questo momento di coinvolgere nelle nostre attività gli anatomo-patologi europei.

[Fonte: www.fides.org]

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ZENIT Staff

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