di Mirko Testa
ROMA, giovedì, 21 agosto 2008 (ZENIT.org).- L’ascolto della Parola di Dio deve avere come luogo privilegiato la liturgia, per questo lo scopo della lectio divina non può essere che una iniziazione appropriata alla grande celebrazione. Ma allo stesso tempo non può esaurirsi in essa e deve tradursi in una prassi di vita.
Ne è certo padre Bruno Secondin, carmelitano, che svolte la sua attività pastorale a Roma ed è impegnato nella rielaborazione della spiritualità nei nuovi contesti ecclesiali e culturali.
La prima parte dell’intervista è stata pubblicata il 20 agosto.
Nell’Instrumentum Laboris per il prossimo Sinodo dei Vescovi, la lectio divina viene indicata come un “elemento pastoralmente significativo e da valorizzare” per l’educazione e la formazione spirituale dei presbiteri, delle persone di vita consacrata e dei laici, che richiede però “una opportuna pedagogia di iniziazione”. Cosa ne pensa?
Padre Secondin: L’appello è alla teologia della lectio, a una catechesi, a una passione ecclesiale per la Parola di Dio. Ma c’è anche una problematica: la sfida è quella di formare animatori per la lectio. La novità rispetto alla grande tradizione è che ora si fa in gruppo, si fa in massa, e quindi è necessario reinventare l’elemento comunitario come tecnica, ritmo e animazione. Molti monaci si oppongono a questo, sostenendo che la lectio è individuale e tale deve rimanere altrimenti diventa celebrazione della Parola, festoso ascolto collettivo.
Ma non si avrebbe così una frattura nell’aspetto comunitario che dovrebbe essere ben presente nella lectio divina, così come nel suo culmine rappresentato dalla celebrazione eucaristica? Infatti nell’Antico Testamento vediamo che il popolo si raduna spesso davanti a Dio che lo chiama, e gli dona la sua Parola prima di celebrare l’alleanza; o anche nel Nuovo Testamento dove Gesù convoca una comunità intorno a sè, i discepoli, fa loro dono della sua Parola e celebra la nuova alleanza.
Padre Secondin: Certo questo è un aspetto importante e una osservazione molto giusta che stiamo cercando di affrontare perché la lectio del monaco, specie nella sua celebrazione quotidiana dell’opus Dei, è come una risonanza a posteriori e allo stesso tempo un anticipo. Ma per il popolo comune che non ha questo, come si fa a fare una lectio “sotto vetro”? Cosa ne viene fuori? Maggiore conoscenza e passione. Sicuramente. Una maggiore coscienza di identità, di appartenenza a un popolo che ascolta la Parola. Certamente. Ma la Parola deve condurre al culmine che è la Parola celebrata, dove si verifica ciò che dice, proclama, promette al vertice liturgico, pasquale, durante la Messa.
Per questa ragione c’è qualche dissenso tra me e i monaci i quali sostengono che c’è bisogno di “pregare” la Parola, perché è la nostra vita successivamente a dargli la forma orante; e che non c’è bisogno di indicare l’actio, perché il nostro vivere è messa in praxis della Parola. Ma ai laici con la loro vita “scorticata”, che non vivono in un chiostro monastico e non hanno la loro stessa liturgia, cosa diamo? Semplicemente delle annotazioni tecniche o delle belle omelie sulla Parola?
I laici si domandano come devono pregare un certo testo, una parabola, come possono fare di questa parabola un percorso di vita, un giudizio sulla propria vita, un proposito di vita. Perciò abbiamo riflettuto su questa esperienza e abbiamo cercato intanto di ambientare la lectio in una Chiesa, in un contesto dove la Parola poi risuonerà celebrata, ed in genere scegliamo una delle letture che poi si ascolteranno durante la Messa, laddove ha il suo primato, di modo che ci sia un legame visuale con la liturgia, con il contesto dove la sentirai proclamare.
Poi si introducono delle forme di applicazione alla vita, in grado di tracciare una prassi. Inoltre, abbiamo anche introdotto delle formule di risposta orante che i monaci hanno nel breviario. I laici, in genere, hanno bisogno di sentire che questa parabola, questo testo hanno delle risonanze colloquiali con il Signore, dove io gli parlo a partire da ciò che mi ha detto. La difficoltà è reale: come si può fare di una tradizione che è individuale e che è completata nella vita monastica da tutti quegli elementi che fanno la risposta orante, una prassi per la gente che si accosta alla Parola di Dio a pizzichi e bocconi?
Abbiamo introdotto anche un altro aspetto: in ogni lectio, prendiamo una frase a partire dai testi, componiamo una sintesi breve e ne traiamo un ritornello a cui affianchiamo una musica da noi composta in modo che ripetuta più volte possa risuonare in modo avvolgente. Portando la lectio su un livello più intimo, profondo, autentico. E’ un modo per arrivare per così dire alla contemplatio. E nell’osservare le persone che vengono ho spesso l’impressione che molti di loro si trovino come in uno stato di sospensione, come se si stessero affacciando alla soglia o sull’abisso del Mistero.
Insieme al testo commentato che mettiamo a disposizione su internet, ci sono anche le icone per elaborare dentro di sé un incontro personale. In qualche modo tentiamo di susciare una lectio personale, individuale, il cui frutto è una vita fedele a ciò che la luce della Parola ha mostrato. Il nostro intento è legato alla spiritualità carmelitana di formare una Chiesa che ascolta, una Chiesa che risponde, una Chiesa fedele che si conforma con Colui che ama, il Signore di cui ho sentito la Parola.
L’altra difficoltà oggi è legata al lettore che non è più quello medievale. Adesso il lettore è distratto e incapace di concentrarsi e di maturare una riflessione. Come abituare allora la gente a prendere sul serio questa Parola? Come scavare all’interno del testo per vedere le trasformazioni di coscienza della persona che si libera, che si sente guarire, che si sente chiamata lentamente alla verità?
Quando si leggono l’Antico e il Nuovo Testamento si è colpiti dall’insistenza sull’importanza dell’ascolto, come nello Shemà Israel, “Ascolta, Israele” (Dt 6,4) o nel consiglio degli stessi profeti a circoncidersi l’orecchio, perché la fede nasce dall’ascolto ci ricorda Paolo. Ora, come è possibile conciliare questa esigenza fondamentale nella lectio divina che è l’esercizio all’ascolto in una società che privilegia l’occhio, la visione, l’immagine?
Padre Secondin: Quelle che abbiamo di fronte sono delle difficoltà oggettive: a quale lettore o a quale fruitore stiamo offrendo la lectio e quali percorsi di linguistica stiamo seguendo? Nella lectio guidata, guardando ad esempio ai vari maestri di riferimento, si vede uno sfondo, una matrice su cui ci si muove; una ricerca di senso e di orizzonti; il desiderio di condividere l’ascolto della Parola, della passione per quella misteriosa luce che dietro i testi biblici si nasconde e insieme si svela; l’intenzione di portare verso una bellezza simbolica, mistagogica della Parola. Si deve offrire a chi va a casa, dopo aver seguito un’ora di lectio divina, la possibilità di trovare una sapienza di vita, un aggancio, una scintilla per un percorso da correggere.
Ad ogni modo, per ascoltare davvero non basta prestare l’orecchio, ma si esige un’adesione più intima, per riuscire a interpretare il codice dell’anima di chi parla, e lasciare che la luce penetri fin dentro i paesaggi nascosti nella faccia oscura della propria anima. Ci vuole un cuore in fiamme e non solo un orecchio attento.
Sul sito www.lectiodivina.it è possibile trovare il nuovo programma 2008-2009 degli incontri di lettura orante della Parola che si tengono presso la Chiesa di Santa
Maria in Traspontina a Roma con date, ospiti e iniziative “ad extra”, oltre a una rubrica sul prossimo Sinodo dei Vescovi. La prima lectio, il 17 ottobre, sarà guidata da fr. Enzo Bianchi, Priore della Comunità di Bose.