di Chiara Santomiero
ROMA, mercoledì, 20 agosto 2008 (ZENIT.org).- Continua lo sforzo della rete internazionale della Caritas per soccorrere e alleviare le sofferenze delle migliaia di profughi provocati dal conflitto nell’Ossezia del sud.
“Ieri – riferisce Laura Stopponi, responsabile dell’Ufficio progetti di cooperazione in Europa di Caritas italiana – padre Witold Szulczynski, direttore di Caritas Georgia, è riuscito non senza difficoltà ad arrivare a Gori, dove occorre uno speciale permesso per entrare che non viene rilasciato nemmeno ai giornalisti”.
Tra palazzi distrutti ed edifici senza vetri, il sacerdote ha potuto constatare che in città c’è elettricità ed acqua, ma manca il gas, il che costituisce un problema per le cucine da campo e la distribuzione di pasti caldi.
“A Gori – prosegue Laura Stopponi – erano rimaste circa 5 mila persone durante gli scontri dei giorni scorsi, ma adesso molti sono tornati e la popolazione si aggira intorno alle 15 mila persone. Le autorità municipali cercano di dare da mangiare a tutti, ma non ci sono viveri sufficienti perché la Russia non lascia aprire un corridoio umanitario”.
Riescono a passare solo i camion di viveri che arrivano dal Patriarcato perché sono portati dai monaci ortodossi; questi ultimi, ha raccontato padre Szulczynski, sono rimasti tutti in città nonostante il conflitto e adesso organizzano gli aiuti.
“C’è grande collaborazione – afferma la responsabile dell’Ufficio cooperazione in Europa – tra Chiesa ortodossa e Caritas, che risale alle vicende drammatiche di Beslan”.
Intanto a Tblisi e Kutaisi, le due città in cui è confluito il maggior numero di profughi: “Si cerca di offrire pasti caldi e tutto ciò che può servire – considerando che i profughi sono fuggiti senza portare nulla con sé – in tutte le strutture che possono accogliere persone. Scuole, università, asili accolgono ognuna dalle 200 alle 500 persone”.
“In queste città – spiega Laura Stopponi – erano già in funzione due mense della Caritas, per venire incontro ai bisogni delle fasce più deboli di popolazione di un paese già gravemente provato dalla crisi economica: anziani e ragazzi di strada, in particolare”.
“Alle mense – aggiunge – sono collegati due panifici che sfornavano il pane sia per i pasti che per essere venduto e raccogliere fondi. Adesso tutte le strutture funzionano a un ritmo potenziato”.
In più, ci si giova degli aiuti della Croce rossa italiana e del Programma alimentare mondiale.
Ad Alaguir e Tamisk, città alla frontiera con l’Ossezia del sud, sono stati allestiti dei veri campi profughi dove le forze militari russe provvedono alla distribuzione di viveri e materiale sanitario.
“La Caritas Russia – riferisce Laura Stopponi – contribuisce con la distribuzione di materiale scolastico affinché i bambini possano ricominciare la scuola. Il problema principale è il trauma per il conflitto e per la perdita delle case: si cerca di offrire ai profughi assistenza psicologica e di accudirli mentre la politica decide del loro destino”.
“La situazione è particolarmente grave – afferma la responsabile dell’Ufficio cooperazione in Europa – perché in Georgia erano già presenti 100 mila profughi dell’ultimo conflitto con l’Abkhazia”.
“Come sarà possibile farli rientrare nelle proprie case? In che modo altrimenti assicurare loro un alloggio mentre si sta approssimando l’inverno? Sarà necessario impostare un programma di ricostruzione e riabilitazione”, sostiene.
La rete Caritas ha scelto di tamponare l’emergenza in Caucaso con soli aiuti finanziari perché i generi di necessità vengano acquistati sul posto sostenendo l’economia locale.
A questo proposito, Caritas italiana, su mandato della Conferenza episcopale italiana, ha indetto una colletta nazionale per le popolazioni vittime del conflitto nei territori dell’Ossezia (Nord e Sud) e della Georgia, invitando le diocesi a promuovere, domenica 24 agosto o domenica 31 agosto 2008, una giornata di preghiera e di solidarietà in tutta Italia.
La colletta segue all’appello del Papa nell’Angelus di domenica 17 agosto affinché siano “alleviati con generosità i gravi disagi dei profughi, soprattutto delle donne e dei bambini, che mancano perfino del necessario per sopravvivere”.