di Inmaculada Álvarez

VALENCIA, giovedì, 28 febbraio 2008 (ZENIT.org).- Cresce l’interesse dei cattolici per il mondo ebraico, per i nostri “fratelli maggiori nella fede”, ha affermato il presidente e fondatore dell’associazione Amicizia ebraico-cristiana di Valencia.

Francisco Fontana Tormo, cattolico e neurochirurgo, ha ricevuto a novembre, dal Parlamento israeliano, il Premio Samuel Toledano, per il suo contributo al dialogo fra ebrei e cristiani.

In questa intervista rilasciata a ZENIT, Fontana parla del suo lavoro e della sua Associazione, e dello stato delle relazioni ebraico-cristiane.

In cosa consiste il riconoscimento che ha ricevuto e che significato ha per lei?

Fontana: Il Premio Samuel Toledano è stato istituito dalla famiglia Toledano in memoria di Samuel Toledano, capo della comunità ebraica di Madrid, morto nel 1996. Il Premio è assegnato annualmente a due ricercatori, uno israeliano e l’altro spagnolo, per opere in favore della ricerca sul passato ebraico in Spagna, dei rapporti fra Spagna e Israele e delle relazioni fra ebrei, cristiani e musulmani.

Talvolta viene assegnato un diploma per il riconoscimento di un lavoro - non di ricerca ma concreto - nell’ambito di queste aree. Nel mio caso ho ricevuto un diploma per le mie attività di promozione in favore della reciproca conoscenza fra ebraismo e cristianesimo e del mantenimento di buoni rapporti fra le due religioni, come presidente e fondatore dell’Amicizia ebraico-cristiana di Valencia.

Per me è stata una grande gioia ricevere questo premio, per quanto riguarda il riconoscimento da parte degli ebrei delle relazioni ebraico-cristiane e, d’altra parte, è stata una forte emozione poiché mi è stato consegnato da Isaac Navon, il quinto Presidente di Israele, nella Knesset, il Parlamento israeliano. E' stata anche un’occasione per tornare a visitare Israele.

Qual è il fondamento su cui poggia il dialogo ebraico-cristiano?

Fontana: Abbiamo una concezione molto simile delle questioni fondamentali della morale e della dottrina. Abbiamo molti punti in comune: l’importanza della religione per la vita personale e comunitaria; la dignità fondamentale dell’essere umano, creato a immagine e somiglianza di Dio; Dio come datore dei Dieci Comandamenti; una storia della salvezza che inizia da Abramo, padre della fede.

Abbiamo la Bibbia in comune: l’Antico Testamento - o Talmud ebraico - fa parte della Bibbia cristiana. La Chiesa è stata sempre considerata come innestata nell’antico Israele. “Se è santa la radice, lo saranno anche i rami. Tu [...] sei stato innestato al loro posto, diventando così partecipe della radice e della linfa dell’olivo” (Romani 11,16-17).

In che modo l’Olocausto ha influito su questo dialogo?

Fontana: L’Olocausto è stato determinante per la riapertura del cristianesimo ai rapporti con il popolo ebraico. Lo sterminio di sei milioni di ebrei durante la Seconda Guerra Mondiale ha indotto le Chiese cristiane a porsi delle domande sulle proprie responsabilità in tale immane catastrofe e se e in che misura un cristianesimo antiebraico abbia costituito un terreno fertile per la persecuzione nazista.

La Chiesa ha pubblicato il documento “Noi ricordiamo: una riflessione sulla Shoah”, che è stato come un velo che si è tolto. La Chiesa cattolica ha preso atto che Dio non rompe l’Alleanza con il suo popolo - l’Alleanza non è mai venuta meno, e questo viene detto chiaramente. Inoltre, la creazione del moderno Stato di Israele, riportando in vita lo Stato ebraico dopo quasi 1.900 anni dalla diaspora fra le nazioni è un fatto eccezionale e senza paragoni nella storia dell’umanità.

La visione del mondo ebraico su Gesù Cristo e sulla Chiesa è cambiata?

Fontana: Molto lentamente ma inesorabilmente, il mondo ebraico sta cambiando la sua percezione della Chiesa cattolica. La visita del Papa Giovanni Paolo II in Israele e i suoi gesti come la preghiera presso il Muro del piano sono stati fondamentali. In quell’occasione lasciò una preghiera bellissima: “Dio dei nostri padri, tu hai scelto Abramo e la sua discendenza perché il tuo Nome fosse portato alle genti: noi siamo profondamente addolorati per il comportamento di quanti nel corso della storia hanno fatto soffrire questi tuoi figli, e chiedendoti perdono vogliamo impegnarci in un’autentica fraternità con il popolo dell’alleanza”. Questo è stato un segnale molto importante agli occhi degli ebrei.

Da parte ebraica, non essendoci un’autorità centrale come la figura del Papa per la Chiesa cattolica, esistono molte voci talvolta anche discordanti. Ma nel 2002 è stato pubblicato un manifesto, firmato da più di 150 rabbini, intitolato “Dabru Emet” (Dire la verità), in cui si riconosce il cambiamento avvenuto nella Chiesa cattolica e si fa appello a proseguire su questo cammino di riconciliazione e di collaborazione fra ebrei e cristiani.

È cambiata anche la visione dei cattolici sul mondo ebraico?

Fontana: Anche la Chiesa cattolica sta cambiando, sebbene molto lentamente perché le sue dimensioni non le consentono cambiamenti bruschi. La gerarchia ecclesiastica ha pubblicato molti documenti ufficiali in cui vengono illustrate le posizioni dottrinali della Chiesa.

Il documento principale è la dichiarazione “Nostra Aetate” del Concilio Vaticano II e i documenti complementari quali gli “Orientamenti e Suggerimenti per l’Applicazione della Dichiarazione Conciliare Nostra Aetate” e “Circa una corretta presentazione degli Ebrei e dell’Ebraismo nella Predicazione e nella Catechesi della Chiesa cattolica”. Con questi documenti la Chiesa cattolica fissa la propria posizione rispetto al popolo ebraico. Esiste peraltro proprio una Commissione della Santa Sede per i rapporti religiosi con l’ebraismo.

Ma una cosa sono i documenti ufficiali e un’altra è la realtà vissuta dai fedeli. Il cambiamento è molto lento, ma è già in atto. È in aumento l’interesse dei cattolici a conoscere la realtà degli ebrei e ad andare bene d’accordo con loro. I cattolici stanno prendendo atto del fatto che gli ebrei sono un popolo che prega, che mantiene ferma la propria fede, che mantiene le proprie tradizioni - un esempio per tutti in questi tempi di forte secolarizzazione. “I nostri fratelli maggiori nella fede”, come disse Giovanni Paolo II.

A che punto è il dialogo e quali sono le prospettive?

Fontana: Attualmente si è arrivati a rompere il ghiaccio. L’ambiente non è di ostilità, ma anzi vi è il desiderio di incontrarsi e persino di collaborare su specifici temi. Esistono progetti di assistenza internazionale ai bisognosi, fra Caritas e analoghe istituzioni ebraiche, nei Paesi africani, per esempio.

Ma gli obiettivi sono ancora da raggiungere. Nell’ambito del dialogo ebraico-cristiano, i temi teologici non sono ancora stati affrontati in modo approfondito. Diciamo che siamo nella fase dei convenevoli e degli argomenti che non generano contrasti. La figura di Gesù Cristo, nel significato che ha per i cristiani, è difficile da affrontare per gli ebrei, così come lo è per i cristiani il tema dei precetti della Legge di Mosè.

D’altra parte esistono temi su cui dialogare: la creazione, la caduta, la redenzione, la figura del Messia e le interpretazioni di ogni religione, gli aspetti che sono condivisi e quelli che non lo sono.

Tutto il resto rimane un compito per il futuro.