CITTA' DEL VATICANO, mercoledì, 20 febbraio 2008 (ZENIT.org).- La “vera laicità” è un concetto antico definito da Sant'Agostino, ha spiegato Benedetto XVI questo mercoledì nel corso dell'udienza generale, dedicata alla presentazione degli scritti del Vescovo di Ippona.

Dopo la pausa rappresentata dagli esercizi spirituali della settimana scorsa, il Pontefice è tornato a parlare della figura di Agostino, “il Padre della Chiesa che ha lasciato il maggior numero di opere”, alcune delle quali “sono d’importanza capitale, e non solo per la storia del cristianesimo ma per la formazione di tutta la cultura occidentale”.

Il Pontefice si è soffermato sul De civitate Dei, scritto in seguito al sacco di Roma compiuto dai Goti nel 410. “Tanti pagani ancora viventi, ma anche molti cristiani, avevano detto: Roma è caduta, adesso il Dio cristiano e gli apostoli non possono proteggere la città”.

“Durante la presenza delle divinità pagane Roma era caput mundi, la grande capitale, e nessuno poteva pensare che sarebbe caduta nelle mani dei nemici. Adesso, con il Dio cristiano, questa grande città non appariva più sicura. Quindi il Dio dei cristiani non proteggeva, non poteva essere il Dio al quale affidarsi”, ha spiegato.

Sant'Agostino rispose all'obiezione con questa “grandiosa opera”, “chiarendo che cosa dobbiamo aspettarci da Dio e che cosa no, qual è la relazione tra la sfera politica e la sfera della fede, della Chiesa”.

“Anche oggi questo libro è una fonte per definire bene la vera laicità e la competenza della Chiesa, la grande vera speranza che ci dona la fede”, ha osservato il Vescovo di Roma.

Fu Agostino stesso, ha ricordato il Papa, a passare in rassegna le sue opere qualche anno prima di morire nelle Retractationes. Poco dopo la sua morte, gli scritti vennero “registrati nell’Indiculus ('elenco') aggiunto dal fedele amico Possidio alla biografia di sant'Agostino, Vita Augustini”.

Oggi, ha ricordato, “sono oltre trecento le lettere sopravvissute del Vescovo di Ippona e quasi seicento le omelie, ma queste in origine erano moltissime di più, forse addirittura tra le tremila e le quattromila, frutto di un quarantennio di predicazione dell’antico retore che aveva deciso di seguire Gesù e di parlare non più ai grandi della corte imperiale, ma alla semplice popolazione di Ippona”.

La produzione letteraria di Agostino riunisce quindi “più di mille pubblicazioni suddivise in scritti filosofici, apologetici, dottrinali, morali, monastici, esegetici, antieretici, oltre appunto le lettere e le omelie”.

Tra le altre opere del santo, il Papa ha citato le Confessioni, “una specie di autobiografia nella forma di un dialogo con Dio” che “riflette proprio la vita di Sant'Agostino, che era un vita non chiusa in sé, dispersa in tante cose, ma vissuta sostanzialmente come dialogo con Dio e così una vita con gli altri”.

Il termine latino del titolo, Confessiones, nel latino cristiano sviluppato dalla tradizione dei Salmi ha due significati, “che tuttavia si intrecciano”: “la confessione delle proprie debolezze, della miseria dei peccati” e allo stesso tempo “lode di Dio, riconoscimento a Dio”.

“Vedere la propria miseria nella luce di Dio diventa lode a Dio e ringraziamento perché Dio ci ama e ci accetta, ci trasforma e ci eleva verso se stesso”, ha osservato il Papa.

Nel De Trinitate, ha proseguito, Sant'Agostino “riflette sul volto di Dio e cerca di capire questo mistero del Dio che è unico, l'unico creatore del mondo, di noi tutti, e tuttavia, proprio questo unico Dio è trinitario, un cerchio di amore”.

“Cerca di capire il mistero insondabile: proprio l'essere trinitario, in tre Persone, è la più reale e più profonda unità dell'unico Dio”.

Anche se Agostino era certamente consapevole della propria statura intellettuale, ha proseguito il Pontefice, “per lui, più importante del fare grandi opere di respiro alto, teologico, era portare il messaggio cristiano ai semplici”, “comunicare la fede in modo comprensibile a tutti”.

Benedetto XVI ha quindi ricordato che “la tradizione iconografica, già in un affresco lateranense risalente al VI secolo, rappresenta sant’Agostino con un libro in mano, certo per esprimere la sua produzione letteraria, che tanto influenzò la mentalità e il pensiero cristiani, ma per esprimere anche il suo amore per i libri, per la lettura e la conoscenza della grande cultura precedente”.

“Sarebbe stato bello poterlo sentire vivo – ha concluso il Papa –. Ma è realmente vivo nei suoi scritti, è presente in noi e così vediamo anche la permanente vitalità della fede alla quale ha dato tutta la sua vita”.