ROMA, venerdì, 21 dicembre 2007 (ZENIT.org).- Rimanere fedeli implica un cambiamento. Quello che sembra un paradosso è quanto sostiene il Cardinale Jorge Mario Bergoglio, Arcivescovo di Buenos Aires e Primate d'Argentina, sottolineando che per restare con Dio bisogna uscire da se stessi.

Il porporato lo spiega in una intervista a “30 Giorni”, in cui, commentando la V Conferenza generale dell’Episcopato dell’America Latina e dei Caraibi, svoltasi ad Aparecida (Brasile) nel maggio scorso, afferma che “per rimanere fedeli bisogna uscire”.

“Non si rimane fedeli, come i tradizionalisti o i fondamentalisti, alla lettera. La fedeltà è sempre un cambiamento, un fiorire, una crescita – ha affermato il porporato –. Il Signore opera un cambiamento in colui che gli è fedele”.

“Uscire da se stessi è uscire anche dal recinto dell’orto dei propri convincimenti considerati inamovibili se questi rischiano di diventare un ostacolo, se chiudono l’orizzonte che è di Dio”.

Secondo il Cardinale, le nostre certezze possono diventare “un muro, un carcere che imprigiona lo Spirito Santo”.

“Colui che isola la sua coscienza dal cammino del popolo di Dio non conosce l’allegria dello Spirito Santo che sostiene la speranza. È il rischio che corre la coscienza isolata”.

Per il Primate d'Argentina, bisogna “permettere al Signore di parlare”. “In un mondo che non riusciamo a interessare con le parole che noi diciamo, solo la Sua presenza che ci ama e che ci salva può interessare”.

In questo modo si potrà evitare “il pericolo più grande per la Chiesa, per noi, che siamo nella Chiesa”: la “mondanità spirituale”, che vuol dire mettere al centro se stessi.

Commentando la Conferenza di Aparecida, l'Arcivescovo di Buenos Aires l'ha definita “un momento di grazia per la Chiesa latinoamericana”, aggiungendo che il documento conclusivo non ha subito alcuna manipolazione, “né da parte nostra né da parte della Santa Sede”.

“Ci sono stati alcuni piccoli ritocchi di stile, di forma, e alcune cose che sono state tolte da una parte sono state rimesse dall’altra; la sostanza, quindi, è rimasta identica, non è assolutamente cambiata”, ha osservato.

Questo, ha spiegato, “perché il clima che ha portato alla redazione del documento è stato un clima di autentica e fraterna collaborazione, di rispetto reciproco, che ne ha caratterizzato il lavoro, un lavoro che si è mosso dal basso verso l’alto, non viceversa”.

Per capire questo, secondo il Cardinale, bisogna guardare a quelli che ritiene “i tre punti-chiave, i tre 'pilastri' di Aparecida”.

“Il primo dei quali è proprio questo: dal basso verso l’alto. È forse la prima volta che una nostra Conferenza generale non parte da un testo base preconfezionato ma da un dialogo aperto, che era già iniziato prima tra il Celam [Consiglio Episcopale Latinoamericano, ndr.] e le Conferenze episcopali, e che è continuato poi”.

“Il Papa ha dato indicazioni generali sui problemi dell’America Latina, e ha poi lasciato aperto: fate voi, voi fate!”, ha aggiunto.

La Conferenza, ha ricordato, è cominciata con le esposizioni dei 23 Presidenti delle diverse Conferenze Episcopali e da lì si è aperta la discussione sui temi nei vari gruppi.

Anche le fasi della redazione del documento sono rimaste “aperte al contributo di tutti”, tanto che al momento di raccogliere i “modi”, per la seconda e terza redazione, ne sono pervenuti ben 2.240.

“La nostra disposizione – ha osservato il Cardinale – è stata quella di ricevere tutto ciò che veniva dal basso, dal popolo di Dio, e di fare non tanto una sintesi, quanto piuttosto un’armonia”.

Nella Chiesa, ha proseguito, “l’armonia la fa lo Spirito Santo”.

Quando invece “siamo noi a voler fare la diversità facciamo gli scismi e quando siamo noi a voler fare l’unità facciamo l’uniformità, l’omologazione”.

“Ad Aparecida abbiamo collaborato a questo lavoro dello Spirito Santo”.

Il secondo punto-chiave è l'aver scelto un satuario mariano come luogo di riunione. Questo, ha spiegato, ha dato ai convenuti “il senso dell’appartenenza alla nostra gente, della Chiesa che cammina come popolo di Dio, di noi Vescovi come suoi servitori”.

Per quanto riguarda il terzo punto, il Cardinal Bergoglio ha sottolineato che il documento di Aparecida “non si esaurisce in se stesso, non chiude, non è l’ultimo passo, perché l’apertura finale è sulla missione. L’annuncio e la testimonianza dei discepoli”.

In questo compito, due sono gli elementi di cui si ha ora più bisogno: “misericordia e coraggio apostolico”.

“Il coraggio apostolico è seminare. Seminare la Parola. Renderla a quel lui e a quella lei per i quali è data”.

“Dare loro la bellezza del Vangelo, lo stupore dell’incontro con Gesù… e lasciare che sia lo Spirito Santo a fare il resto”, ha concluso.