CAROUGE (Svizzera), giovedì, 22 novembre 2007 (ZENIT.org).- Perché il giovane Georges Cottier, che è stato in stretto contatto con i grandi pensatori del XX secolo, è diventato Teologo della Casa pontificia e non un marxista o un seguace di Sartre o Nietzsche?
Come può la Chiesa, nel XX secolo, continuare ad affermare che Dio esiste? E che il Cristianesimo è la via della felicità?
Sono queste le domande a cui Patrice Favre ha risposto nel conversare con l’uomo che Papa Giovanni Paolo II ha scelto come Teologo della Casa pontificia.
Il frutto dell’intervista è ora racchiuso nel libro intitolato “Georges Cottier. Itinéraire d’un Croyant” che, come spiega Favre, ripercorre i grandi eventi del XX secolo attraverso gli occhi di un cristiano.
Dopo aver presentato il suo libro, il mese scorso, alla parrocchia di appartenenza della famiglia Cottier, a Carouge (Svizzera), l’autore ha parlato con ZENIT del suo lavoro.
Cosa l’ha spinta a scrivere questo libro sul Cardinale Georges-Marie Cottier, domenicano e Teologo della Casa pontificia, dai giorni di Giovanni Paolo II fino allo scorso anno?
Favre: Questo libro nasce dall’esperienza e dall’emozione derivanti dalla morte di Giovanni Paolo II, questo Papa colossale che ci ha lasciato una testimonianza sconvolgente con la sua malattia e la sua morte. Rientrando a Roma, un mio amico, che mi aveva spronato a scrivere i miei libri precedenti sui monasteri della Svizzera romanda [francofona], mi ha detto: “devi scrivere un libro su Giovanni Paolo II”.
Rispondendo ho sottolineato che su Giovanni Paolo II erano già state scritte centinaia di pagine e che non vedevo quale contributo originale avrei potuto dare. Qualche mese dopo, in seguito a non so che tipo di eventi provvidenziali, mi ha detto: “devi scrivere un libro sul Cardinale Cottier!”. Ed io ho accettato la proposta.
Lei conosceva già il Cardinale Cottier, suo connazionale, prima di pensare al libro?
Favre: Certo. Ho accettato anche perché conoscevo padre Cottier da più di 20 anni. Avevo avuto a che fare con lui durante il mio lavoro di giornalista ed avevo sempre apprezzato la chiarezza del suo pensiero.
E’ un uomo che va all’essenziale, è originale, come afferma nel libro: “Non seguo la moda dei tempi e spero di non farlo mai!”. Egli attribuisce il suo rifiuto delle mode teologiche o mediatiche alla sua infanzia ginevrina: essere una minoranza cattolica, dove un tempo esisteva un cantone fortemente protestante, forgia il carattere.
L’altro motivo che mi ha indotto a scrivere il libro è che padre Cottier mi aveva sempre accolto quando ero giornalista, tanto che era già nata un’amicizia fra noi.
Lei ha iniziato con l’idea di un libro su Giovanni Paolo II, ma la biografia del Cardinale Cottier l’ha portata oltre, nel pieno delle grandi sfide del XX secolo.
Favre: Sicuramente non avevo idea, a quel tempo, che questo libro sarebbe andato ben oltre gli “anni di Giovanni Paolo II”.
Quando padre Cottier è stato convocato a Roma, nel 1989, aveva 67 anni: l’età della pensione. E questi 67 anni si erano dimostrati incredibilmente fecondi. Basti ricordare che nel 1943 dava già voce alle sue opinioni contrarie alla Germania nazista, in lezioni affollate presso l’Università di Ginevra.
Poi è diventato amico e consigliere teologico di padre Jacques Loew, il primo prete-lavoratore in Francia, sui moli di Marsiglia. Un intero capitolo della storia preconciliare si stava aprendo dinanzi a me; un capitolo glorioso, come nel famoso romanzo di Gilbert Cesbron, “Les Saints Vont en Enfer” (I santi vanno all’inferno), ma anche doloroso, perché i preti-lavoratori furono banditi per ordine di Roma.
Poi ho scoperto che padre Cottier aveva preso parte al Concilio Vaticano Secondo in qualità di esperto, con un grande Vescovo francese, monsignor de Provenchères, e successivamente, sempre come esperto, con il Cardinale Journet. Ha quindi vissuto in prima linea questo grande evento della vita della Chiesa del XX secolo, che ha reso il suo giudizio sulle grandi crisi successive al Concilio ancora più interessante.
Se posso esprimermi in questo modo, il suo libro può essere considerato una sorta di “romanzo poliziesco” teologico, se si tiene conto per esempio dell’impegno del Cardinale Cottier nella promozione della libertà oltre la Cortina di Ferro, attraverso il dialogo con coloro che non condividono la fede cristiana. Come vorrebbe riassumere questo itinerario dalla Resistenza – “Sous les Géraniums” [Sotto i gerani] – del capitolo 4, a “Frigo Vide à Moscou” [Frigorifero vuoto a Mosca] del capitolo 7?
Favre: “L’athéisme du Jeune Marx” [L’ateismo del giovane Marx], era il titolo della tesi di padre Cottier su Karl Marx già nel 1959. Il braccio di ferro tra Cristianesimo e Marxismo è stato uno dei principali assi del secolo scorso, e padre Cottier si è trovato spesso in prima fila in questa ferrea lotta.
Vi era la tentazione, all’interno del Cattolicesimo, di andare verso il Marxismo, soprattutto tra gli intellettuali. Poiché padre Cottier era molto ben preparato, egli ha potuto svolgere un ruolo importante nella resistenza cattolica, come si vede nel libro.
Durante gli anni ’80 e ’90, troviamo padre Cottier in un castello a Lubiana, o in un albergo zeppo di insetti a Budapest, o negli edifici staliniani di Mosca. Spesso coinvolto in conversazioni di alto livello, in cui i delegati del Vaticano e i rappresentanti sovietici tentavano di instaurare un dialogo, sotto gli occhi del KGB.
Inoltre, in diverse occasioni si è recato in Sud America per partecipare alle discussioni sulla Teologia della liberazione. Esistono anche diversi libri e dozzine di articoli pubblicati su “Nova et Vetera”, la rivista che padre Cottier ha diretto dopo la morte del Cardinale Journet nel 1975.
Lei evidenzia anche un altro aspetto del “dialogo” nella vita del Cardinale Cottier: l’incontro con l’ebraismo – “L’ami des Juifs” [L’amico degli ebrei], nel capitolo 10 – e la lotta all’antisemitismo.
Favre: Sì, potremmo citare le sue amicizie con ebrei e la sua lotta all’antisemitismo, ma anche il maggio del ’68 che lui ha vissuto come professore e che l’ha portato a pubblicare alcune riflessioni illuminanti. Non voglio però raccontare l’intero libro.
Ciò che è interessante è che questa biografia del Cardinale Cottier ci consente di ripercorrere gli eventi decisivi del secolo scorso, sotto la luce e la valutazione di un cristiano. Questo è un libro che “mi ha rinfrescato la memoria” e che, a mio parere, ci consente di comprendere meglio i nostri tempi.
Lei termina il libro parlando del tema dell’amicizia. Che ruolo occupa l’amicizia nell’itinerario del Cardinale Cottier?
Favre: Nel corso di questo lavoro ho potuto scoprire i suoi amici, soprattutto quelli che egli definisce suoi “maestri”. Padre Cottier non sarebbe ciò che egli è se non avesse incontrato e seguito persone che hanno avuto un ruolo decisivo nella sua vita. Anzitutto Abbot Journet, un altro ginevrino il cui ruolo non è stato riconosciuto a sufficienza nella Svizzera romanda; Jacques Maritain; padre de Menasce; il già citato Jacques Loew; Cardinali come Lustiger, Etchegaray, Ratzinger, e, certamente, Giovanni Paolo II, di cui si parla molto nel libro. Come contraltari a queste grandi figure si trovano nel libro i maestri della cultura moderna come Rousseau, Marx, Sartre, Nietzsche, ed altri che padre Cottier ha molto frequentato – almeno a livello intellettuale – e che hanno reso la vita difficile alla Chiesa e alla fede cristiana.
Lei nega di aver scritto un “libro di storia” e in effetti il libro contiene molte riflessioni filosofiche. Qual è l’obiettivo fo
ndamentale che si era prefissato?
Favre: Questo libro parla di storia, ma non è un libro di storia, perché invariabilmente ritorna su una questione attuale: come è possibile credere al giorno d’oggi? Come si può, ragionevolmente, essere cattolici nel XXI secolo?
Le interviste che trova nel libro, le discussioni sulla felicità, sulla sessualità, sull’ecologia, sulla sofferenza e persino sul diavolo – perché a suo avviso se ne dovrebbe parlare di più – sono basate su una questione essenziale: come può la Chiesa, quella di Giovanni Paolo II, di Benedetto XVI e del Cardinale Cottier, affermare ai giorni nostri e nella nostra epoca che Dio esiste e che la fede cristiana costituisce la felicità dell’umanità?
Perché padre Cottier, che sin dalla sua giovinezza è stato in stretto contatto con grandi pensatori della modernità, non è mai diventato marxista, seguace di Sartre, Nietzsche, o semplicemente indifferente come tante persone?
Tuttavia, non essendo io un filosofo, non ho scritto un trattato filosofico; ne sarei del tutto incapace. Nelle mie parole, come giornalista, ho trascritto le risposte di padre Cottier. Fortunatamente egli ha accettato di ritornare sulle nostre conversazioni e di correggerle. Avendo lui, per 15 anni, rivisto gli scritti di Giovanni Paolo II, non potevo sperare in un miglior correttore!
Questi scambi mi hanno insegnato molto e, in un certo senso, mi hanno anche insegnato a pensare e a vivere. C’è una bellezza nella fede, una bellezza nella Chiesa, una bellezza in Cristo. Io l’ho percepita in più di un’occasione, durante i miei contatti con padre Cottier nell’arco dei due anni in cui abbiamo lavorato insieme. È stata per me una gioia, che spero di non aver tradito troppo nel cercare di condividerla in queste pagine.