Budapest, faro della nuova evangelizzazione

Intervista al Cardinale Péter Erdő, Arcivescovo di Budapest

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BUDAPEST, giovedì, 18 ottobre 2007 (ZENIT.org).- Dal 16 al 22 settembre scorso, numerosi Cardinali delle varie città europee sono giunti a Budapest (Ungheria), capitale della nuova evangelizzazione nel 2007, per studiare un modo nuovo di comunicare la ricchezza della fede al mondo.

Dopo Vienna, Parigi, Lisbona e Bruxelles, si è svolta in terra ungherese la missione cittadina che ha riunito i partecipanti al Congresso Internazionale sul tema “Vi darò un futuro e una speranza” (Ger 29,11).

All’evento ha partecipato l’inviato speciale di Benedetto XVI, il Cardinale Vicario Camillo Ruini, che ha trasmesso il messaggio del Papa.

Il Congresso Internazionale per la Nuova Evangelizzazione viene celebrato dalle diocesi delle cinque capitali europee in Missioni successive tra il 2003 e il 2007, seguendo programmi adeguati ad ognuna delle città.

L’incontro ungherese ha così concluso il progetto di evangelizzazione cittadina scaturito dal Giubileo del 2000 per volontà di Giovanni Paolo II.

Per tracciare un bilancio dell’evento, ZENIT ha intervistato il Cardinale Péter Erdő, Arcivescovo di Budapest e Presidente del Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa (CCEE).

Quali sono i risultati di questa settimana di evangelizzazione e testimonianza di fede?

Card. Erdő: Questa settimana ha avuto diversi nomi. C’è stato un evento centrale che si chiama Congresso Internazionale per la Nuova Evangelizzazione. Ci sono stati eventi paralleli come la presenza di tutte le altre città che hanno partecipato a questo circolo missionario a Vienna, a Parigi, a Lisbona, a Bruxelles. A Budapest, in 120 diversi luoghi, abbiamo avuto 1500 programmi ed è stata un’offerta davvero affascinante.

Abbiamo sperimentato l’intero organo della fede: ogni possibile via della comunicazione umana dal teatro alla musica, ai mass media, ai concerti, alle mostre d’arte. Ad esempio, 14 Musei statali hanno organizzato contemporaneamente mostre sull’arte sacra. Si sono poi svolti congressi scientifici, come il Congresso per gli architetti sull’architettura ecclesiastica moderna, così come incontri con i poveri, con persone che potevano offrire anche una testimonianza personale. Un’intera giornata è stata dedicata alla memoria della testimonianza dei martiri e confessori.

A Esztergom si è svolto un evento al quale hanno partecipato diverse migliaia di persone. Nella Basilica della città c’è stata una concelebrazione presieduta dall’inviato speciale del Santo Padre, il Cardinale Camillo Ruini, che ha trasmesso il messaggio del Papa. Abbiamo anche visto dei filmati, e ascoltato persone che hanno scontato 10, 15, 20 anni nei Gulag; testimoni veri, diretti. Ho avuto l’impressione che tutti i nostri ospiti abbiano portato a casa una commozione e una nuova esperienza.

Nel quadro generale delle missioni cittadine d’Europa, che ruolo speciale o particolare ha avuto Budapest?

Card. Erdő: Noi eravamo gli unici del gruppo ad aver avuto l’esperienza del socialismo reale. Un altro aspetto importante è stato quello ecumenico. Mezza giornata è stata dedicata ai programmi ecumenici. E’ stata interessante soprattutto la presenza dei rappresentanti ortodossi; a Budapest gli ortodossi non sono molti, ma 5 patriarcati diversi hanno la propria gerarchia parallela nella nostra città. E’ stato quindi un incontro tra le culture, tra le religioni e anche tra le diverse confessioni cristiane.

Il motto della missione cittadina è “Vi do futuro e speranza”. In che modo ritiene che questo messaggio possa essere esteso all’intero contesto dell’Europa dell’est?

Card. Erdő: Prima di tutto, abbiamo un grande problema con la speranza a vari livelli. Al momento del cambio di sistema, molti di noi hanno creduto che con il capitalismo sarebbe arrivato il paradiso su questa terra. E tutti quelli che lo pensavano sono rimasti delusi. In alcuni Paesi il tenore di vita è addirittura più basso rispetto alla fine dell’epoca comunista, per esempio in Ungheria. Ci sono delle tensioni di tipo nuovo tra ricchi e poveri, impoverimenti di vasti gruppi della società, crisi o soppressione di interi settori di produzione. Ad esempio, nell’epoca precedente la ricerca scientifica in questi Paesi è stata considerata molto importante, perché per i Paesi COMECON eravamo noi la base della ricerca. Quando i nostri istituti e le nostre fabbriche sono stati privatizzati, venduti generalmente alle società occidentali, il nuovo proprietario occidentale ha detto che sarebbe terminata la ricerca perché c’erano già centri di ricerca in Occidente. In certi Paesi, quindi, c’è stato un declassamento dell’intera attività nel mondo del lavoro.

In alcuni Paesi ex-comunisti non è stata neppure restituita la terra ai piccoli contadini. Come principio generale non c’era una restituzione completa dei beni di produzione. Questi beni sono stati privatizzati, cioè venduti agli stranieri. Il patrimonio nazionale non c’è più, ma i cittadini non hanno ricevuto indietro quello che avevano prima. Ora comincia invece una tendenza conosciuta anche in Occidente, ma meno selvaggia: si comincia col dire che i privati devono avere ciascuno autonomia e contribuire di più ai costi dell’assistenza sanitaria, dell’istruzione dei figli ecc.. Tutti questi erano diritti garantiti nella Costituzione all’epoca comunista. Ciò vuol dire che alcune generazioni hanno lavorato per salari molto bassi e che è stato detto non soltanto a livello ideologico, ma anche nelle norme giuridiche stesse, che hanno invece diritto a queste prestazioni gratuite. E adesso ufficialmente si inizia a dire nei vari Paesi che questo non è abbastanza moderno, non risponde ai criteri del mondo occidentale, del mondo libero.

C’è quindi una certa disperazione. Quando noi parliamo della speranza, dobbiamo essere molto convincenti. Siamo convinti che c’è speranza, ma non si deduce da diverse statistiche economiche. Abbiamo un motivo più forte, più radicale di speranza. Vogliamo condividere questa speranza con gli altri che vivono nella nostra società. Speranza e futuro sono in queste parti del mondo pensieri molto attuali, e la società ne ha bisogno. Del resto, lo slogan della nostra missione è una citazione del libro del profeta Geremia e quindi è Dio che ci dà la speranza, non siamo noi, la Chiesa stessa. Non offriamo alla gente quello che produciamo noi, ma il dono di Dio, che cerchiamo di trasmettere. In questo consiste la nostra missione.

Il Papa sottolinea spesso l’importanza della nuova evangelizzazione. Che speranze ci sono per l’Europa?

Card. Erdő: La nuova evangelizzazione è già stata proclamata da Giovanni Paolo II. Benedetto XVI parla, non poche volte, addirittura semplicemente di missione perché abbiamo di fronte una società, da noi a Budapest o nelle altre città del continente, in cui tantissime persone, se non addirittura la maggioranza, non hanno ancora sentito in modo autentico la buona novella di Gesù Cristo. Quindi non si tratta di cattolici pigri o meno praticanti, non si tratta di persone deluse dalla vita della Chiesa; ci sono moltissimi abitanti di questa città che non hanno mai potuto conoscere la buona novella di Gesù Cristo. Per questo abbiamo cominciato questa settimana missionaria con un’azione conosciuta a Vienna: la lunga notte delle chiese. Abbiamo lasciato aperte le porte delle nostre chiese con diversi programmi musicali oppure per una spiegazione dei monumenti artistici, ma c’erano anche momenti di preghiera e di adorazione e tutti erano invitati. Ci sono tanti che non sono mai entrati in una chiesa cattolica. Viviamo insieme nella stessa città, quindi apriamo le nostre chiese.

Quale è stato il momento più significativo, più toccante per Lei personalmente?

Card. Erdő: Ci sono stati tanti momenti. Per esem
pio, la testimonianza di un sacerdote francescano che vive in Romania ma è di origine ungherese, P. Csaba Böjte. Lui si occupava dei bambini senza tetto, abbandonati, che erano numerosi dopo la fine del regime di Ceaucescu in Romania. Conosciamo anche le condizioni catastrofiche degli orfanotrofi. Lui ha raccolto questi ragazzi e ha cominciato ad occuparsene: insegnare, organizzare una scuola per loro, ecc.. E da questo è nato un movimento. Ora ha comprato, o meglio ha ricevuto in dono, una casa molto grande vicino a Budapest per donne che aspettano un bambino ma si trovano sole e in situazione di crisi.

Parliamo molto e spesso dell’aborto, ma tutto questo non è veramente credibile e non ha una forza convincente se non offriamo tutto l’aiuto possibile per salvare la vita di tanti bambini. Questa iniziativa è stata preparata per un anno e adesso, questo mese, hanno aperto questa casa. Lui ha detto che riescono salvare la vita di cento bambini all’anno, che è una cosa meravigliosa. Può essere un modello per tanti altri.

Un altro momento che ha rappresentato per me un’esperienza molto bella è stato la tavola rotonda con cinque Cardinali e Arcivescovi delle città partecipanti alla missione e con un giornalista non credente, non cattolico ma grande maestro della sua professione. Un ottimo giornalista, che ha saputo domandare con delicatezza e ha fatto le domande proprio più forti in modo amichevole, non per gettare cattiva luce sulla Chiesa o sulla nostra fede, ma per farci trovare il modo più giusto di esprimere la risposta. Le risposte erano stupende. Ad esempio, alla domanda su come mai la Chiesa in Europa viene abbandonata da tanti fedeli che ogni anno escono dalla Chiesa, l’Arcivescovo Vingt-Trois di Parigi ha iniziato a rispondere così: è vero, è un fenomeno triste e lo conosciamo da duemila anni perché già sotto la croce di Gesù Cristo forse erano in due o tre. Ma dove erano gli altri discepoli? Il colloquio è stato davvero bello.

Ricordo anche l’incontro con i sacerdoti e i seminaristi della città, al quale era presente anche il Cardinale Camillo Ruini, così come altri Cardinali e Arcivescovi. E poi la fiaccolata e la Messa notturna sul Monte di San Gerardo. Si poteva vedere tutta la città illuminata. C’è stata una partecipazione molto forte, di trenta-quarantamila fedeli, e c’era musica moderna scritta anche da autori ungheresi recenti, pezzi molto conosciuti che tutta la folla poteva cantare; è stata una serata indimenticabile. Era la festa di San Matteo. Il Vangelo era la chiamata di Matteo dal banco delle imposte, quindi anche come materia di omelia è stata molto appropriata vista la nostra situazione umana di oggi.

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ZENIT Staff

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