Dalla Sicilia alla Calabria, in ricordo di don Pino Puglisi

La scelta di una suora per riaffermare una cultura della legalità

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ROMA, giovedì, 27 settembre 2007 (ZENIT.org).- Dopo l’assassinio a Palermo di padre Pino Puglisi, il 15 settembre 1995, per mano della mafia, suor Carolina Iavazzo ha ripensato alla sua vita facendo una scelta nella scelta.

Dalla Sicilia si è trasferita nella Locride, la zona sud della Calabria, dove ha fondato la piccola comunità Buon samaritano con l’aiuto del Vescovo di Locri-Gerace, monsignor Giancarlo Brigantini.

La suora diocesana, che per due anni lavorò a fianco di Puglisi per aiutare i giovani ad uscire dal giro della criminalità organizzata, racconta a ZENIT la sua nuova esperienza.

Perché ha deciso di fondare la comunità del Buon samaritano?

Suor Carolina: Ho voluto raccogliere l’eredità di padre Puglisi e cioè essere accanto alle persone ferite dalla storia, dal male, dalla malavita. Abbiamo cercato di fondare questa piccola fraternità nel cuore della Locride, a Bosco di Bovalino, una zona abbandonata dallo Stato, dalle istituzioni perché qui ci sono pochissime strutture, non c’è niente, solo il deserto.

Tante volte la delinquenza, la malavita attecchisce laddove non ci sono supporti né psicologici né umani né sociali. Per noi le persone ferite sono i giovani che non hanno prospettive di futuro perché non c’è lavoro.

Perché ha voluto ricominciare in una zona forse ancora più complicata e complessa?

Suor Carolina: Per fare memoria di questa vita spezzata. Ho voluto portare la memoria di padre Puglisi con me. E questo significava ricreare un tessuto sociale proprio qui nella Locride, attraverso un percorso educativo accanto ai giovani, per far conoscere la figura di padre Puglisi e raccogliere l’eredità che lui fortemente ha lasciato in me.

Da questo viene la testardaggine: dal Brancaccio alla Locride insegnare il valore della vita, del rispetto dell’ambiente, della persona, imparare ad incontrare anche Dio per capire e dare senso a quello che si è e a quello che si fa.

Dopo l’omicidio del dottor Fortugno, Vice-presidente della giunta regionale calabrese, avvenuto il 16 ottobre 2005, c’è stato uno straordinario movimento di ribellione e di riscatto. Cosa è rimasto di questo impeto?

Suor Carolina: Io penso che alla manifestazioni di strada e di piazza debbano corrispondere dei gesti concreti, perché non basta scendere in strada con lenzuoli o striscioni, bisogna operare anche nel silenzio. Noi viviamo questa continuità ogni giorno perché abbiamo creato il centro “Padre Pino Puglisi”, dove i ragazzi accorrono. Stiamo insieme, discutiamo dei problemi grandi e gravi della vita e dove facciamo un percorso di legalità con loro.

Abbiamo un giornalino dove possono esprimersi, una piccola posta dove scrivono e rispondono. Realizziamo con loro lavori manuali per stare insieme, organizziamo giochi di società, abbiamo a disposizione un biliardino, il ping pong, proprio per creare un tessuto sociale, per insegnare a stare insieme nelle relazioni normali di convivenza.

Partiamo dalle piccole cose, come voleva padre Puglisi. Insegniamo l’aiuto reciproco e il nostro vissuto non vuole essere un grido di piazza ma vuole essere un silenzio capace di costruire e intessere rapporti nuovi.

Da chi vi sentite appoggiati?

Suor Carolina: Ci sentiamo molto appoggiati dal Vescovo, padre Giancarlo Bregantini, che per noi è anche un modello. Lui, accanto a noi, per primo vive la spiritualità della strada, che è quella del buon samaritano, e per primo lui si piega sulle ferite degli altri e per primo le lenisce, le cura. Per questo ci sentiamo fortemente sostenuti da padre Giancarlo.

Poi c’è tutta la gente che crede in quello che facciamo, dai nostri collaboratori alla gente di buona volontà. In Calabria ci sono molte persone fortemente motivate a livello umano, animate da una vera solidarietà infaticabile e instancabile.

Qual è l’importanza della solidarietà quando questa non può fattivamente creare lavoro, dare sostegno economico… a cosa serve?

Suor Carolina: Per me la solidarietà vuol dire creare un’alternativa alla malavita. A me piacerebbe creare posti di lavoro, creare strutture, cooperative. Però io, in questa macroscopica realtà, sono solo un puntino ma nel mio piccolo creo solidarietà aiutando i giovani a cambiare mentalità. Anche questo è un servizio che facciamo all’uomo. Certo, i ragazzi si aspettano anche delle risposte a livello di lavoro e noi cerchiamo di dare un aiuto anche in questo, vogliamo creare posti di lavoro tramite piccole cooperative. Vedremo …

La rabbia non trova mai spazio in lei?

Suor Carolina: Qualche volta sì, qualche volta mi arrabbio quando una persona muore ingiustamente. Provo rabbia ma anche misericordia e mi dico che queste persone sono anche loro figli di Dio e Dio li perdona, Lui offre la sua misericordia. Allora cerco di mettermi in quest’ottica, anche se a volte con molta fatica.

Non ha paura di essere uccisa?

Suor Carolina: Io ho imparato da padre Puglisi che noi mettiamo in considerazione anche questa ipotesi, questa possibilità, perché noi lavoriamo per l’uomo e a servizio dell’uomo. Noi non siamo più bravi di padre Puglisi o di Gesù Cristo stesso per non meritare la morte. Noi siamo qui, disponibili a fare la volontà di Dio.

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ZENIT Staff

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