Discorso del Papa durante i Vespri mariani nella Basilica di Mariazell

MARIAZELL, lunedì, 10 settembre 2007 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il discorso pronunciato da Benedetto XVI, sabato 8 settembre, durante i Vespri mariani celebrati alla presenza dei sacerdoti, religiosi, diaconi e seminaristi austriaci nella Basilica di Mariazell (Austria).

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Venerati e cari confratelli nel ministero sacerdotale,
cari uomini e donne di vita consacrata,
cari amici!

Ci siamo riuniti nella venerabile Basilica della nostra “Magna Mater Austriae”, a Mariazell. Da molte generazioni la gente prega qui per ottenere l’aiuto della Madre di Dio. Lo facciamo oggi anche noi. Vogliamo con Lei magnificare la bontà immensa di Dio ed esprimere al Signore la nostra gratitudine per tutti i benefici ricevuti, in particolare per il grande dono della fede. Vogliamo confidare a Lei anche le domande che ci stanno a cuore: chiedere la sua protezione per la Chiesa, invocare la sua intercessione per il dono di buone vocazioni per le nostre Diocesi e Comunità religiose, sollecitare il suo aiuto per le famiglie e la sua preghiera misericordiosa per tutte le persone che cercano una via d’uscita dai peccati e la conversione e, infine, affidare alle sue cure materne tutti i malati e le persone anziane. Che la grande Madre dell’Austria e dell’Europa aiuti tutti noi a realizzare un profondo rinnovamento della fede e della vita!

Cari amici, come sacerdoti, religiosi e religiose, voi siete servi e serve della missione di Gesù Cristo. Come duemila anni fa Gesù ha chiamato persone alla sua sequela, così anche oggi giovani uomini e donne alla sua chiamata si mettono in cammino, affascinati da Lui e mossi dal desiderio di porre al servizio della Chiesa la propria vita, donandola per aiutare gli uomini. Hanno il coraggio di seguire Cristo e vogliono essere suoi testimoni. La vita al seguito di Cristo è, di fatto, un’impresa rischiosa, perché siamo sempre minacciati dal peccato, dalla mancanza di libertà e dalla defezione. Perciò abbiamo tutti bisogno della sua grazia, così come Maria la ricevette in pienezza. Impariamo a guardare sempre, come Maria, a Cristo prendendo Lui come criterio di misura. Possiamo partecipare all’universale missione di salvezza della Chiesa, della quale il Capo è Lui. Il Signore chiama i sacerdoti, i religiosi, le religiose e i laici ad entrare nel mondo, nella sua realtà complessa, per cooperare lì all’edificazione del Regno di Dio. Lo fanno in una molteplicità grande e variegata: nell’annuncio, nell’edificazione di comunità, nei vari ministeri pastorali, nell’amore fattivo e nella carità vissuta, nella ricerca e nella scienza esercitate con spirito apostolico, nel dialogo con la cultura dell’ambiente circostante, nella promozione della giustizia voluta da Dio e in misura non minore nella contemplazione raccolta del Dio trinitario e nella sua lode comunitaria.

Il Signore vi invita al pellegrinaggio della Chiesa “nel suo cammino attraverso i tempi”. Vi invita a farvi pellegrini con Lui e a partecipare alla sua vita che ancora oggi è Via Crucis e via del Risorto attraverso la Galilea della nostra esistenza. Sempre, però, è lo stesso ed identico Signore che, mediante lo stesso unico battesimo, ci chiama all’unica fede. La partecipazione al suo cammino significa dunque ambedue le cose: la dimensione della Croce – con insuccessi, sofferenze, incomprensioni, anzi addirittura disprezzo e persecuzione –, ma anche l’esperienza di una profonda gioia nel suo servizio e l’esperienza della grande consolazione derivante dall’incontro con Lui. Come la Chiesa, così le singole parrocchie, le comunità e ogni cristiano battezzato traggono l’origine della loro missione dall’esperienza del Cristo crocifisso e risorto.

Il centro della missione di Gesù Cristo e di tutti i cristiani è l’annuncio del Regno di Dio. Questo annuncio nel nome di Cristo significa per la Chiesa, per i sacerdoti, i religiosi e le religiose, come per tutti i battezzati, l’impegno di essere presenti nel mondo come suoi testimoni. Il Regno di Dio, infatti, è Dio stesso che si rende presente in mezzo a noi e regna per mezzo nostro. L’edificazione del Regno di Dio, pertanto, avviene quando Dio vive in noi e noi portiamo Dio nel mondo. Voi lo fate, rendendo testimonianza di un “senso” che è radicato nell’amore creativo di Dio e si oppone a ogni insensatezza e ad ogni disperazione. Voi state dalla parte di coloro che cercano faticosamente questo senso, dalla parte di tutti coloro che vogliono dare alla vita una forma positiva. Pregando e chiedendo, siete gli avvocati di coloro che sono alla ricerca di Dio, che sono in cammino verso Dio.

Voi rendete testimonianza di una speranza che, contro ogni disperazione muta o manifesta, rimanda alla fedeltà e all’attenzione amorevole di Dio. Con ciò siete dalla parte di tutti coloro che hanno il dorso piegato sotto destini pesanti e non riescono a liberarsi dai loro fardelli. Rendete testimonianza di quell’Amore che si dona per gli uomini e così ha vinto la morte. State dalla parte di coloro che non hanno mai sperimentato l’amore, che non riescono più a credere nella vita. Vi opponete così ai molteplici tipi di ingiustizia nascosta o aperta, come anche al disprezzo degli uomini che sta espandendosi. In questo modo, cari fratelli e sorelle, tutta la vostra esistenza deve essere, come quella di Giovanni Battista, un grande, vivo rimando a Gesù Cristo, il Figlio di Dio incarnato. Gesù ha qualificato Giovanni “una lampada che arde e risplende” (Gv 5,35). Siate anche voi simili lampade! Fate brillare la vostra luce nella nostra società, nella politica, nel mondo dell’economia, nel mondo della cultura e della ricerca. Anche se è solo un piccolo lume in mezzo a tanti fuochi fatui, esso tuttavia riceve la sua forza e il suo splendore dalla grande Stella del mattino, il Cristo risorto, la cui luce brilla – vuole brillare attraverso noi – e non tramonterà mai.

Seguire Cristo – noi vogliamo seguirLo – seguire Cristo significa crescere nella condivisione dei sentimenti e nell’assimilazione dello stile di vita di Gesù; è quanto ci dice la Lettera ai Filippesi: “Abbiate gli stessi sentimenti di Cristo!” (cfr 2, 5). “Guardare a Cristo” è il motto di questi giorni. Nel guardare a Lui, il grande Maestro di vita, la Chiesa ha scoperto tre caratteristiche che risaltano nell’atteggiamento di fondo di Gesù. Queste tre caratteristiche – le chiamiamo con la Tradizione i “consigli evangelici” – sono divenute le componenti determinanti di una vita impegnata nella sequela radicale di Cristo: povertà, castità ed obbedienza. Riflettiamo in questa ora un po’ su queste caratteristiche.

Gesù Cristo, che era ricco di tutta la ricchezza di Dio, si è fatto povero per noi, ci dice san Paolo nella Seconda Lettera ai Corinzi (cfr 8, 9); è questa una parola inesauribile, sulla quale sempre dovremmo tornare riflettere. E nella Lettera ai Filippesi si legge: Ha spogliato se stesso e si è umiliato facendosi obbediente fino alla morte di croce (cfr 2, 6ss). Egli, che si è fatto povero, ha chiamato “beati” i poveri. San Luca, nella sua versione delle Beatitudini, ci fa capire che questa affermazione – il proclamare beati i poveri – riguarda senz’altro la gente povera, veramente povera, nell’Israele del suo tempo, dove c’era un contrasto opprimente tra ricchi e poveri. San Matteo nella sua versione delle Beatitudini ci spiega, tuttavia, che la semplice povertà materiale come tale da sola non garantisce ancora la vicinanza a Dio, perché il cuore può essere duro e pieno di brama di ricchezza. Matteo – come tutta la Sacra Scrittura – ci lascia però capire che, in ogni caso, Dio ai poveri è vicino in modo particolare. Così diventa chiaro: il cristiano vede in loro il Cristo che lo attende, aspettando il suo impegno. Chi vuol seguire Cristo in modo radicale, deve rinunciare ai beni materiali. Deve, però, vivere questa povertà a partire da Cristo, come un diventare interiormente libero per il prossimo. Per tutti i cristiani, ma specialmente per noi sacerdoti, per i religiosi e le religiose, per i singoli come pure per le comunità, la questione della povertà e dei poveri deve essere sempre di nuovo oggetto di un severo esame di coscienza. Proprio nella nostra situazione, in cui non stiamo male, non
siamo poveri, penso che dobbiamo riflettere particolarmente su come possiamo vivere questa chiamata in modo sincero. Vorrei raccomandarlo al vostro – al nostro – esame di coscienza.

Per comprendere bene che cosa significhi castità, dobbiamo partire dal suo contenuto positivo. Lo troviamo ancora una volta solo guardando a Gesù Cristo. Gesù ha vissuto in un duplice orientamento: verso il Padre e verso gli uomini. Nella Sacra Scrittura veniamo a conoscerLo come persona che prega, che passa intere notti in dialogo col Padre. Pregando Egli inseriva la sua umanità e quella di tutti noi nel rapporto filiale col Padre. Questo dialogo diventava poi sempre nuovamente missione verso il mondo, verso di noi. La sua missione lo conduceva ad una dedizione pura ed indivisa agli uomini. Nelle testimonianze delle Sacre Scritture non vi è alcun momento della sua esistenza in cui si possa scorgere, nel suo comportamento verso gli uomini, una qualche traccia di interesse personale o di egoismo. Gesù ha amato gli uomini nel Padre, a partire dal Padre – e così li ha amati nel loro vero essere, nella loro realtà. L’entrare in questi sentimenti di Gesù Cristo – in questo essere totalmente in comunione col Dio vivente e in questa comunione tutta pura con gli uomini, a loro disposizione senza riserve – questo entrare nei sentimenti di Gesù Cristo ha ispirato a Paolo una teologia ed una prassi di vita che risponde alla parola di Gesù sul celibato per il Regno dei cieli (cfr Mt 19, 12). Sacerdoti, religiosi e religiose non vivono senza connessioni interpersonali.

Castità, al contrario, significa – e da ciò volevo partire – un’intensa relazione; è positivamente una relazione col Cristo vivente e a partire da ciò col Padre. Perciò con il voto di castità nel celibato non ci consacriamo all’individualismo o ad una vita isolata, ma promettiamo solennemente di porre totalmente e senza riserve al servizio del Regno di Dio – e così a servizio degli uomini – gli intensi rapporti di cui siamo capaci e che riceviamo come un dono. In questo modo i sacerdoti, le religiose e i religiosi stessi diventano uomini e donne della speranza: contando totalmente su Dio e dimostrando in questo modo che Dio per loro è una realtà, creano spazio alla sua presenza – alla presenza del Regno di Dio – nel mondo. Voi, cari sacerdoti, religiosi e religiose, offrite un contributo importante: in mezzo a tutta la cupidigia, a tutto l’egoismo del non saper aspettare, alla brama di consumo, in mezzo al culto dell’individualismo noi cerchiamo di vivere un amore disinteressato per gli uomini. Viviamo una speranza che lascia a Dio il compito della realizzazione, perché crediamo che Egli la compirà. Che cosa sarebbe successo se nella storia del cristianesimo non ci fossero state queste figure indicatrici per il popolo? Che cosa sarebbe del nostro mondo, se non ci fossero sacerdoti, se non ci fossero donne e uomini negli Ordini religiosi e nelle Comunità di vita consacrata – persone che con la loro vita testimoniano la speranza di un appagamento più grande dei desideri umani e l’esperienza dell’amore di Dio che supera ogni amore umano? Il mondo ha bisogno della nostra testimonianza proprio oggi.

Veniamo all’obbedienza. Gesù ha vissuto tutta la sua vita, dagli anni nascosti a Nazaret fino al momento della morte in croce, nell’ascolto del Padre, nell’obbedienza verso il Padre. Vediamo, ad esempio, la notte sul Monte degli ulivi. “Non sia fatta la mia, ma la tua volontà”. Mediante questa preghiera Gesù assume nella sua volontà di Figlio la caparbia resistenza di tutti noi, trasforma la nostra ribellione nella sua obbedienza. Gesù era un orante. In ciò era però anche uno che sapeva ascoltare e obbedire: fatto “obbediente fino alla morte, e alla morte di croce” (Fil 2,8). I cristiani hanno sempre sperimentato che, abbandonandosi alla volontà del Padre, non si perdono, ma trovano in questo modo la via verso una profonda identità e libertà interiore. In Gesù hanno scoperto che trova se stesso colui che si dona, diventa libero chi si lega in un’obbedienza fondata in Dio e animata dalla ricerca di Dio. Ascoltare Dio ed obbedirgli non ha niente a che fare con costrizione dall’esterno e perdita di se stesso. Solo entrando nella volontà di Dio raggiungiamo la nostra vera identità. La testimonianza di questa esperienza è oggi necessaria al mondo proprio in rapporto al suo desiderio di “autorealizzazione” e “autodeterminazione”.

Romano Guardini racconta nella sua autobiografia come, in un momento critico del suo cammino, quando la fede della sua infanzia gli era diventata insicura, gli fu donata la decisione portante di tutta la sua vita – la conversione – nell’incontro con la parola di Gesù secondo cui trova se stesso solo colui che si perde (cfr Mc 8, 34s; Gv 12, 25); senza l’abbandono, senza il perdersi non può esserci un ritrovamento di sé, un’autorealizzazione. Ma poi gli viene la domanda: in quale direzione è lecito perdermi? A chi posso donarmi? Gli si rese evidente che possiamo donarci completamente solo se nel farlo cadiamo nelle mani di Dio. Solo in Lui possiamo alla fine perderci e solo in Lui possiamo trovare noi stessi. Successivamente, però gli si presentò la domanda: Chi è Dio? Dov’è Dio? E allora comprese che il Dio al quale possiamo abbandonarci è solo il Dio resosi concreto e vicino in Gesù Cristo. Ma di nuovo gli si pose la domanda: Dove trovo Gesù Cristo? Come posso veramente donarmi a Lui? La risposta trovata da Guardini nella sua ricerca faticosa suona: Gesù è presente a noi in modo concreto solo nel suo corpo, la Chiesa. Per questo l’obbedienza alla volontà di Dio, l’obbedienza a Gesù Cristo, nella prassi deve essere molto concretamente un’umile obbedienza alla Chiesa. Penso, che anche su questo dovremmo sempre di nuovo fare un profondo esame di coscienza.

Tutto ciò si trova riassunto nella preghiera di sant’Ignazio di Loyola – una preghiera che sempre mi appare troppo grande, al punto che quasi non oso dirla e che, tuttavia, dovremmo sempre di nuovo, pur con fatica, riproporci: “Prendi, Signore, e ricevi tutta la mia libertà, la mia memoria, il mio intelletto e tutta la mia volontà, tutto ciò che ho e possiedo; tu me l’hai dato, a te, Signore, lo ridono; tutto è tuo, di tutto disponi secondo ogni tua volontà; dammi soltanto il tuo amore e la tua grazia, e sono ricco abbastanza, né chiedo alcunché d’altro” (Eb 234).

Cari fratelli e sorelle! Ora voi tornate nel vostro ambiente di vita, nei luoghi del vostro impegno ecclesiale, pastorale, spirituale e umano. La nostra grande Avvocata e Madre Maria stenda la sua mano protettrice su di voi e sul vostro operare. Interceda per voi presso il suo Figlio, il nostro Signore Gesù Cristo. Al ringraziamento per la vostra preghiera e il vostro lavoro nella vigna del Signore unisco la mia supplica a Dio, affinché doni protezione e benessere a tutti voi, alla gente, in particolare ai giovani, qui in Austria e nei vari Paesi dai quali non pochi di voi provengono. Di cuore accompagno tutti con la mia Benedizione.

[© Copyright 2007 – Libreria Editrice Vaticana]

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ZENIT Staff

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