Droghe leggere, conseguenze pesanti

Nuove prove sui rischi della marijuana

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  Di Padre John Flynn

ROMA, mercoledì, 13 giugno 2007 (ZENIT.org).- Molti sostengono che le restrizioni alle cosiddette droghe leggere come la marijuana dovrebbero essere alleggerite. La questione è attualmente dibattuta in Italia, dove il Governo è diviso fra tendenze contrastanti.

Il ministro della salute Livia Turco ha di recente proposto che si effettuino ispezioni dei Nas in tutte le scuole pubbliche, per tentare di arginare l’allarme droga, secondo quanto riportato dall’agenzia ANSA il 28 maggio.

“Dobbiamo anche avviare una forte campagna informativa per convincere i nostri figli ad evitare le droghe”, ha dichiarato la Turco.

Questa proposta risulta tuttavia in netto contrasto con il decreto emanato qualche tempo fa, diretto ad innalzare la quantità di cannabis oltre cui scatta la presunzione di spaccio, poi annullato dal Tar a seguito delle forti proteste.

In questo contesto è intervenuto tra gli altri padre Pierino Gelmini, fondatore di Comunità Incontro, una comunità della città di Amelia che si dedica al recupero dei tossicodipendenti. In una lunga intervista pubblicata su Il Messaggero del 27 maggio, padre Gelimini ha affermato che in 44 anni di lavoro con i tossicodipendenti, insieme alla comunità da lui fondata, ha salvato circa 300.000 persone.

Forte di questa esperienza pluridecennale, padre Gelmini ha fortemente criticato ogni azione diretta ad indebolire le leggi sull’uso o il possesso di droga. Egli ha evidenziato che ogni giorno in Italia decine di giovani muoiono per overdose di droga. Noi vogliamo che i nostri figli siano liberi dalla droga, non liberi di drogarsi, ha esclamato.

È un errore pensare che alcune droghe come la marijuana siano innocue, ha affermato. Inoltre, queste droghe sono spesso l’anticamera verso altre forme di dipendenza. Padre Gelmini ha aggiunto peraltro che non è sufficiente allontanare i tossicodipendenti dalla droga; il vuoto interiore delle persone deve essere colmato con ideali e valori che li aiutino a costruire una nuova vita.

Invertire la rotta

Le preoccupazioni sugli effetti negativi delle droghe leggere sono più che giustificate. Qualche mese fa il quotidiano britannico Independent, in un’edizione della domenica, ha invertito la rotta rispetto alla sua posizione sulla depenalizzazione dell’uso di cannabis.

Il giornale ha pubblicato una serie di articoli il 18 marzo relativi alla marijuana. In uno di questi articoli la testata giornalistica rivolgeva le proprie scuse ai lettori per la posizione che aveva preso nel 1997 in favore della legalizzazione della cannabis.

Nel gennaio del 2004, il Governo britannico ha declassato la cannabis dalla categoria B alla categoria C. Questo significa che coloro che possiedono piccoli quantitativi di droga non possono essere arrestati.

Tuttavia è sempre più evidente che questa decisione risulta essere sbagliata. L’Independent ha spiegato che la cannabis venduta oggi è assai più forte di quella di un decennio fa. Vi è stato un aumento di 25 volte nella quantità del principale agente psicotropico contenuto, il tetraidrocannabinolo (THC), rispetto ai primi anni ‘90.

Più di 22.000 giovani sono stati oggetto di analisi lo scorso anno in Gran Bretagna per misurarne la dipendenza da cannabis, nell’ambito di studi citati nell’articolo. Il quotidiano ha riportato ricerche pubblicate sulla rivista di medicina The Lancet, che dimostrano che la marijuana è più pericolosa dell’LSD o dell’ecstasy.

L’Independent ha anche citato il professor Colin Blakemore, responsabile del Medical Research Council, che aveva inizialmente sostenuto il quotidiano nella sua campagna in favore della legalizzazione della cannabis e che da allora ha cambiato idea in proposito. “Il legame tra cannabis e forme di psicosi è piuttosto evidente oggi; non era così 10 anni fa”, ha detto Blakemore.

Un’altra opinione riportata è quella di Robin Murray, professore di psichiatria presso il London’s Institute of Psychiatry. Murray ha stimato che almeno 25.000 dei 250.000 schizofrenici nel Regno Unito avrebbero potuto evitare questa malattia se non avessero fatto uso di cannabis.

“La società ha gravemente sottovalutato i rischi derivanti dalla cannabis”, ha detto il professor Neil McKeganey, del Center for Drug Misuse Research dell’Università di Glasgow, all’Independent. “Ritengo che viviamo in una generazione rovinata dagli effetti dell’uso di cannabis”.

Solo qualche giorno dopo, il 24 marzo, il quotidiano britannico Times ha pubblicato dati che dimostrano la pericolosità della marijuana. Il Times ha riportato uno studio pubblicato sulla rivista Addiction, in cui si avverte che entro la fine del decennio, un caso di schizofrenia su quattro potrebbe essere dovuto al fumo di cannabis.

Il Dipartimento della salute, secondo il giornale, afferma che oggi è generalmente accettato tra i medici che la cannabis rappresenta una causa importante dello sviluppo di malattie mentali.

Non sono leggere

L’Independent è poi tornato sull’argomento con una serie di articoli pubblicati il 25 marzo, tra cui anche uno a firma di Antonio Maria Costa, direttore esecutivo dell’Ufficio delle Nazioni Unite contro la droga e il crimine.

La cannabis non è affatto una droga “leggera”, ha ammonito Costa, facendo riferimento ai rischi connessi con la salute mentale. Egli ha raccomandato che i Paesi investano grandi risorse nella prevenzione, nel trattamento e nella riabilitazione, piuttosto che dedicarsi ad indebolire la legislazione sul possesso e l’uso di queste droghe.

Costa ha fatto l’esempio della Svezia, in cui l’uso di droga ammonta solo a un terzo della media europea e dove la spesa sui controlli è tre volte più alta della media europea. “I governi e le società devono mantenere la calma ed evitare di lasciarsi convincere da errate nozioni di tolleranza”, ha affermato Costa.

Il 22 aprile l’Independent ha pubblicato ulteriori elementi sui rischi connessi con l’uso di marijuana. Uno studio svolto nel corso di 10 anni, su 1.900 giovani dall’età scolare fino a 25 anni, ha messo a confronto coloro che erano dediti all’alcol, con coloro che facevano uso di cannabis. È risultato che i ragazzi che avevano iniziato a fare uso di droga negli anni dell’adolescenza avevano maggiori probabilità di soffrire di malattie mentali, con problemi relazionali e esperienze fallimenti nella scuola e nel lavoro.

La ricerca è stata svolta dal Center for Adolescent Heath dell’Università di Melbourne, in Australia, e pubblicata sulla rivista Addiction.

“La cannabis risulta veramente essere la scelta di una vita destinata al fallimento”, ha affermato il professor George Patton, che ha guidato questo studio.

Ulteriori elementi sono emersi il 30 aprile, in un servizio della BBC sui problemi della salute mentale. Secondo uno studio svolto dall’Institute of Psychiatry di Londra, le persone che hanno assunto nel loro organismo il principio attivo della marijuana, il THC, hanno fatto registrare un minor grado di attività cerebrale nella corteccia frontale inferiore, la zona del cervello incaricata di tenere a freno pensieri e comportamenti inopportuni.

Un secondo studio citato dalla BBC, svolto da un’equipe della Yale University, ha rilevato che il 50% dei volontari sani a cui è stato somministrato il THC hanno iniziato a mostrare sintomi di psicosi.

Perdita di dignità

Il Pontificio Consiglio per la Pastorale della Salute ha affrontato la materia in un manuale dal titolo “Chiesa, droga e tossicomania”, pubblicato nel 2001. Da un punto di vista morale, la Chiesa non può approvare l’uso della droga, spiega il testo, perché ciò implica un’ingiustificata rinuncia a pensare, volere e agire come persone l
ibere (n. 43).

Il Dicastero vaticano sostiene che le persone non hanno nessun diritto di abdicare alla loro dignità personale o di procurarsi un danno. Con la liberalizzazione della legislazione sulla droga, ha avvertito, si corre il rischio di creare una categoria inferiore di esseri umani sottosviluppati, che dipendono dalla droga per vivere. Ciò significherebbe il venir meno del dovere dello Stato di promuovere il bene comune (n. 51).

Piuttosto che estendere l’accessibilità alle droghe, il manuale propone di intensificare l’educazione, per insegnare alle persone il verso senso della vita e dare priorità ai valori, a partire da quelli della vita e dell’amore, illuminati dalla fede.

La Chiesa propone anche come terapia quella di mostrare amore e dedizione ai bisogni dei tossicodipendenti al fine ai aiutarli a superare i loro problemi (nn. 53-55). Soluzioni certamente non facili da attuare, ma che assicurano un rimedio rispettoso della dignità umana.

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ZENIT Staff

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