Discorso del Papa in visita alla Congregazione per le Chiese Orientali

CITTA’ DEL VATICANO, lunedì, 11 giugno 2007 (http://www.zenit.org/“>ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il discorso pronunciato da Benedetto XVI nel visitare la Congregazione per le Chiese Orientali il 9 giugno scorso, giorno della festa liturgica di Sant’Efrem, grande Dottore della Chiesa sira.

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Beatitudine,
venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
cari fratelli e sorelle!

È giunto il giorno, atteso anche dal Papa, di visitare la Congregazione per le Chiese Orientali. È un giorno significativo anche perché oggi il calendario della Chiesa Latina ricorda Sant’Efrem, il grande Dottore della Chiesa sira. Sono riconoscente al Signore e a tutti voi per questo incontro molto cordiale. Saluto il Cardinale Prefetto, Ignace Moussa Daoud, e lo ringrazio per le sue gentili espressioni di omaggio. Estendo il mio ricordo all’Arcivescovo Segretario, Mons. Antonio Maria Vegliò, al Sotto-Segretario, ai Collaboratori e a tutti i presenti.

Il mio primo pensiero va a Papa Benedetto XV, di felice memoria, che istituì la “Sacra Congregazione per la Chiesa Orientale” novant’anni or sono. Il beato Pio IX aveva costituito in seno a Propaganda Fide la “Sezione Orientale”. Tuttavia, per “fugare il timore che gli orientali non fossero tenuti nella dovuta considerazione dai Romani Pontefici”, Papa Benedetto volle il nuovo Dicastero, del tutto autonomo, disponendo quanto necessario per il suo migliore funzionamento. E ne assunse egli stesso il governo. Come attesta il Motu proprio Dei providentis, egli desiderava manifestare chiaramente che “in Ecclesia Iesu Christi, ut quae non latina sit, non graeca, non slavonica, sed catholica, nullum inter eius filios intercedere discrimen” (AAS, 9-1917, pp 529-531).

Iniziava proprio allora una fase drammatica della storia, specialmente per l’Est europeo. I tempi successivi avrebbero confermato quanto mai provvidenziale quel provvedimento pontificio teso ad assicurare agli orientali cattolici, attraverso una specifica Congregazione, la premura della Chiesa, la quale avrebbe poi accompagnato molti di loro nell’ora non breve della persecuzione. Dopo il silenzio, giunse il tempo del riscatto, e la vita e la missione della Chiesa poterono riprendere, svilupparsi e consolidarsi. In questa circostanza ringrazio nuovamente il Signore per i disegni della sua divina bontà. Ma come padre e pastore, sento il dovere di elevare a Dio una fervida preghiera e di rivolgere un accorato appello a tutti i responsabili perché ovunque, dall’Oriente all’Occidente, le Chiese possano professare la fede cristiana in piena libertà. Ai figli e alle figlie della Chiesa sia concesso ovunque di vivere nella tranquillità personale e sociale: siano garantiti dignità, rispetto e futuro ai singoli e ai gruppi, senza pregiudizio alcuno per i loro diritti di credenti e di cittadini.

Dalle mie labbra si leva oltremodo accorata l’invocazione di pace per la Terra Santa, l’Iraq, il Libano, tutti territori posti sotto la giurisdizione della Congregazione per le Chiese Orientali, come anche per le altre regioni coinvolte nel vortice di una violenza apparentemente inarrestabile. Possano le Chiese e i discepoli del Signore rimanere là dove li ha posti per nascita la divina Provvidenza; là dove meritano di rimanere per una presenza che risale agli inizi del cristianesimo. Nel corso dei secoli essi si sono distinti per un amore incontestabile e inscindibile alla propria fede, al proprio popolo e alla propria terra.

Questa visita mi pone sulle orme dei miei venerati Predecessori, il Servo di Dio Giovanni Paolo II e il Beato Giovanni XXIII, che vennero personalmente ad incontrare i Superiori e gli Officiali del Dicastero. Con essa intendo inoltre simbolicamente continuare il pellegrinaggio al cuore dell’Oriente che Papa Giovanni Paolo II ha proposto nella Lettera apostolica Orientale lumen. Poiché la venerabile e antica tradizione delle Chiese Orientali è parte integrante del patrimonio indiviso della Chiesa di Cristo (cfr Unitatis redintegratio, 17), egli esortava a conoscerla, affermando: “E’ necessario che anche i figli della Chiesa cattolica di tradizione latina possano conoscere in pienezza questo tesoro e sentire così, insieme con il Papa, la passione perché sia restituita alla Chiesa e al mondo la piena manifestazione della cattolicità della Chiesa” (Orientale lumen, 1). Ho idealmente iniziato tale pellegrinaggio assumendo il nome di un Papa che tanto amò l’Oriente. E, aprendo ufficialmente il Servizio Petrino del Vescovo di Roma, mi sono raccolto presso il sepolcro dell’Apostolo chiamando accanto a me i Patriarchi orientali in comunione con il Successore di Pietro. Così, davanti a tutta la Chiesa, mi sono spiritualmente immerso nella sorgente sempre zampillante del Credo apostolico, facendo mia la professione di fede del Pescatore di Galilea nel “Figlio del Dio vivente” (Mt 16,16). Ho risentito la consolante promessa del Signore Gesù: “Tu sei Pietro” (ibid. 18). Avevo la certezza di avere al fianco, con i loro Pastori, i figli e le figlie dell’Oriente, che fedeli alla propria tradizione gioiscono di beneficiare anche del carisma di comunione conferito da Gesù a Pietro e ai suoi Successori. Infine, il viaggio apostolico in Turchia, indimenticabile per il commovente abbraccio con la comunità cattolica e per il suo significato ecumenico e interreligioso, ha costituito un ulteriore momento di speciale fecondità nel mio pellegrinaggio al cuore dell’Oriente.

Oggi, il Papa ringrazia nuovamente gli orientali per la fedeltà pagata col sangue, di cui restano pagine mirabili lungo i secoli fino al martirologio contemporaneo! Li assicura, a sua volta, di volere rimanere al loro fianco. E riafferma la profonda considerazione verso le Chiese Orientali Cattoliche per il loro singolare ruolo di testimoni viventi delle origini (cfr Orientalium Ecclesiarum, 1). Senza un costante rapporto con la tradizione delle origini, infatti, non c’è futuro per la Chiesa di Cristo. Sono in particolare le Chiese Orientali a custodire l’eco del primo annuncio evangelico; le più antiche memorie dei segni compiuti dal Signore; i primi riflessi della luce pasquale e il riverbero del fuoco mai spento della Pentecoste. Il loro patrimonio spirituale, radicato nell’insegnamento degli Apostoli e dei Padri, ha generato venerabili tradizioni liturgiche, teologiche e disciplinari, mostrando la capacità del “pensiero di Cristo” di fecondare le culture e la storia. Proprio per questo anch’io, come i miei Predecessori, guardo con stima ed affetto alle Chiese dell’Ortodossia: “un legame particolarmente stretto già ci unisce. Abbiamo in comune quasi tutto e abbiamo in comune soprattutto l’anelito sincero all’unità” (Orientale lumen, 3). L’auspicio che sale dal profondo del cuore è che questo anelito possa presto trovare la sua piena realizzazione.

La Chiesa universale trova nel patrimonio delle origini la capacità di parlare anche all’uomo contemporaneo in modo unanime e convincente: “Le parole dell’Occidente hanno bisogno delle parole dell’Oriente perché la Parola di Dio manifesti sempre meglio le sue insondabili ricchezze” (Orientale lumen, 28). E’ il Concilio Ecumenico Vaticano II a desiderare che le Chiese Orientali “fioriscano e assolvano con rinnovato vigore apostolico la missione loro affidata […] di promuovere l’unità di tutti i cristiani, specialmente orientali, secondo il decreto sull’ecumenismo […], in primo luogo con la preghiera, l’esempio della vita, la scrupolosa fedeltà alle antiche tradizioni orientali, la mutua e più profonda conoscenza, la collaborazione e la fraterna stima delle cose e degli animi” (Orientalium Ecclesiarum, 1). Favorite da una plurisecolare consuetudine di vita, esse dovranno farsi carico della sfida interreligiosa, in spirito di verità, rispetto e reciprocità, affinché culture e tradizioni diverse trovino vicendevole ospitalità nel nome dell’unico Dio (cfr At 2,9-11).

La Congregazione ha compiti ben definiti, che svolge con competente dedizione. Sono lieto di poter esprimere ad essa il mio grato apprezzamento e di incoraggiarla a porre ogni suo atto nel quadro della missione propria delle Chiese Orientali e di quella componente della Chiesa latina che è ad essa affidata. Ribadisco l’irreversibilità della scelta ecumenica e l
’inderogabilità dell’incontro a livello interreligioso. Elogio la più corretta applicazione della collegialità sinodale, e la verifica puntuale dello sviluppo ecclesiale suscitato dalla ritrovata libertà religiosa. La priorità della formazione sta molto a cuore al Papa, come pure l’aggiornamento della pastorale familiare, giovanile e vocazionale, e la valorizzazione della pastorale della cultura e della carità. Dovrà continuare e anzi crescere quel movimento di carità che, per mandato del Papa, la Congregazione segue affinché in modo ordinato ed equo la Terra Santa e le altre regioni orientali ricevano il necessario sostegno spirituale e materiale per far fronte alla vita ecclesiale ordinaria e a particolari necessità. Uno sforzo intelligente è, infine, richiesto anche per affrontare il serio fenomeno delle migrazioni, che talora priva le comunità tanto provate delle migliori risorse. Occorre garantire ai migranti adeguata accoglienza nel nuovo contesto e l’indispensabile legame con la propria tradizione religiosa.

Con queste preoccupazioni la Congregazione si porrà accanto alle Chiese Orientali per promuoverne il cammino nel rispetto delle loro prerogative e responsabilità. In questo non facile compito sa di poter contare sempre sul Papa, sugli Organismi della Curia Romana secondo le rispettive funzioni, sulle Istituzioni ad essa legate: penso, soprattutto, al Pontificio Istituto Orientale, che pure ricorda il novantesimo di fondazione, e al quale va il mio ringraziamento per l’insostituibile e qualificato servizio ecclesiale. Affido questi auspici al beato Giovanni XXIII: l’Oriente lo segnò profondamente fino a condurlo a convocare la “nuova Pentecoste del Concilio” in docilità allo Spirito e cordiale apertura verso tutti i popoli. Ci è vicina la Santissima Madre di Dio, che nella vostra cappella bizantina ho venerato davanti alle Sante Icone, attorniata dalla nube dei Testimoni. Fiduciose nella Tuttasanta, le Chiese Orientali coltivino quella varietà che non nuoce, anzi esalta l’unità, perché la Chiesa intera sia il “sacramento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano” (cfr Lumen gentium, 1).

Cari amici, a voi consegno il mio saluto per i fratelli e le sorelle dell’Oriente, perché sentano, anche grazie al lavoro quotidiano della Congregazione, di avere sempre un posto nel cuore del Papa di Roma. Per questo imparto a ciascuno l’Apostolica Benedizione, che volentieri estendo alle persone care e a tutte le Chiese Orientali Cattoliche.

[© Copyright 2007 – Libreria Editrice Vaticana]

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ZENIT Staff

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