Nominato Arcivescovo di Varsavia, monsignor Wielgus, accusato di aver collaborato con i servizi segreti del passato regime comunista della Polonia, aveva prima ammesso un suo coinvolgimento in tal senso e poi rinunciato alla sede arcivescovile, della quale doveva prendere possesso solennemente il 7 gennaio scorso.
Durante la riunione straordinaria della Conferenza Episcopale della Polonia, indetta il 12 gennaio a Varsavia, i Vescovi polacchi hanno manifestato all’unanimità la volontà di sottoporsi a un controllo sul loro passato durante il regime comunista. Tale operazione di trasparenza porterà alla creazione in ogni diocesi del Paese di Commissioni locali preposte a svolgere delle indagini.
A marzo, invece, si creerà un’altra Commissione Storica Ecclesiastica Nazionale, che sarà composta principalmente da storici e giuristi. L’Istituto della Memoria Nazionale – che custodisce tutti gli archivi – offrirà la propria collaborazione. Il risultato delle indagini verrà poi inviato alla Santa Sede, alla quale spetterà il giudizio finale.
Intervistato dal quotidiano dell’episcopato italiano “Avvenire”, il Cardinale Stanislaw Dziwisz ha dichiarato che dietro la campagna di stampa sollevatasi in seguito al caso Wielgus si celano degli intenti politici e che “sotto la bandiera della ‘lustracja’ [verifica di collaborazionismo, ndr] si stanno facendo più danni che benefici al Paese”.
“Noi vogliamo semplicemente fare chiarezza – ha affermato –. Vogliamo rispondere alle accuse mostrando qual è stata la posizione tenuta dai vescovi, ma anche dai sacerdoti e dai religiosi, nel contesto storico e sociale dell’epoca comunista. Non abbiamo intenzione di nascondere nulla e lo dimostreremo coi fatti”.
Sottolineando come questo problema sia stato sollevato solamente ora, il Cardinale ha poi ricordato: “Anche quando ha cominciato a funzionare l’IPN [l’Istituto della Memoria Nazionale che custodisce gli archivi di SB, ‘Sluzba Bezpieczentstwa’, i servizi di sicurezza dell’epoca comunista, ndr] devo dire che purtroppo non abbiamo mai dato grande importanza a questi documenti, stilati da funzionari del passato regime senza nessuna verifica”.
Affermando poi che quest’ultimi avrebbero dovuto essere “esaminati con grande attenzione e cautela”, il porporato ha quindi denigrato la strumentalizzazione fattane da parte dei giornali, “che hanno dato in pasto all’opinione pubblica i nomi dei ‘collaborazionisti in talare’”.
A tale proposito, il Cardinale ha aggiunto che “l’errore più grave consiste nel non aver fatto alcuna distinzione tra le diverse forme di collaborazione”.
“In molti casi si trattava di sacerdoti che venivano convocati dai servizi segreti. Non potevano esimersi da questi colloqui se volevano ottenere il permesso di costruire o di riparare una chiesa”; “non credo che questo tipo di contatti si possano definire una collaborazione” – ha osservato –, mentre si è creata “una grande confusione” nell’opinione pubblica.
L’Arcivescovo di Cracovia ha quindi detto di individuare in tale “campagna giornalistica” orchestrata dai media “una strategia” dettata da precisi “scopi politici”.
“Forse qualcuno vuole insegnare ai vescovi come devono comportarsi. La mia è una semplice constatazione, non posso dire di più. Non so chi stia tirando le fila di tutto questo”, ha poi osservato.
Circa l’atteggiamento mostrato dai fedeli polacchi, il porporato ha detto che “bastava vedere domenica scorsa le chiese piene di fedeli ed ascoltare le loro reazioni positive al messaggio dei Vescovi che è stato letto in tutte le messe” (cfr. ZENIT, 15 gennaio 2007).
“Un episodio triste e spiacevole non mette in crisi la loro fiducia nella Chiesa, né tanto meno la loro fede cristiana – ha dichiarato l’Arcivescovo di Cracovia –. Noto una grande maturità nell’affrontare i problemi. Soprattutto in coloro che hanno avuto esperienza del comunismo”.
Rivolgendo un pensiero ai giovani che non hanno vissuto quegli anni, il porporato ha sottolineato la necessità di fare chiarezza, “ricordando che la Chiesa in Polonia ha rappresentato una grande forza morale e sociale contro il regime, appoggiando sempre chi si batteva per la libertà”.
Parlando di monsignor Wielgus, il Cardinale Dziwisz ha poi fatto riferimento a quanto l’Arcivescovo stesso aveva riconsciuto: “Quand’era giovane sacerdote ha firmato un impegno di collaborazione con l’SB. Lo ha fatto per poter studiare all’estero e non ha mantenuto quell’impegno, ci sono rapporti molto negativi sui risultati della sua collaborazione. Il suo è stato un errore giovanile”.
“Poi è diventato un bravissimo professore e rettore d’università, e un ottimo Vescovo – ha ricordato –. Non si può condannare un uomo per uno sbaglio che ha compiuto. Abbiamo bisogno di perdono e di riconciliazione”.
“Purtroppo sul suo caso si è creata una tale atmosfera che non avrebbe potuto assumere la guida di una diocesi importante come Varsavia con la necessaria autorevolezza e tranquillità – ha aggiunto –. Ha fatto bene a rinunciare, non c’era altra soluzione. E siamo particolarmente grati a Benedetto XVI per l’aiuto che ci ha dato nel chiudere questo caso doloroso”.
La revisione del passato a Cracovia
Già un anno fa, il Cardinale Stanislaw Dziwisz aveva istituito una Commissione storica per raccogliere documenti e testimonianze riguardanti l’operato dei sacerdoti della dicoesi di Cracovia durante il regime comunista.
Secondo quanto affermato dallo stesso porporato, i lavori procedono ma con “una certa lentezza”, e non “per colpa dei responsabili della commissione ma per difficoltà oggettive, a cominciare dalla vastità enorme della documentazione, migliaia e migliaia di pagine che non vanno semplicemente lette ma verificate attentamente”.
Successivamente l’Arcivescovo di Cracovia ha espresso il proprio parere sull’annunciata uscita a fine febbraio del libro di padre Tadeusz Isakowicz-Zaleski, nel quale verrà rivelata l’identità di 39 preti, il cui nome compare negli archivi della polizia segreta.
“Non importa, noi proseguiamo il nostro lavoro – ha commentato il porporato –. Ho scritto una lettera a tutti i sacerdoti della diocesi di Cracovia chiedendo che se qualcuno è stato coinvolto in qualche forma di collaborazione con l’SB venga da me per parlare, spiegare e riparare”.
“Devo dirle che si tratta di una trentina di casi su più di 1200 sacerdoti diocesani. In genere hanno ceduto per debolezza, sotto una fortissima pressione morale e psicologica. Non mi risulta neanche un caso di collaborazione attiva e tesa a danneggiare la Chiesa”, ha infine concluso.