ROMA, domenica, 7 gennaio 2007 (ZENIT.org).- Il Natale è un periodo che viene vissuto solitamente in famiglia, ma un numero crescente di bambini non conosce neanche i propri genitori. Alcuni Paesi prevedono l’anonimato per i donatori di seme destinato alla fecondazione in vitro (FIV), impedendo così ai figli che nascono di conoscere l’identità del proprio padre.
Un esempio eloquente della sofferenza che ne deriva è dato dal caso di Katrina Clark. Il Washington Post del 17 dicembre racconta la storia di questa studentessa dell’Università di Gallaudet che all’età di 18 anni non aveva ancora potuto conoscere metà delle proprie origini.
Clark è stata concepita grazie al seme di un donatore anonimo quando alla madre, all’età di 32 anni, era sopraggiunto il timore di non poter mettere su famiglia in altro modo. Come ha spiegato la studentessa, il dibattito sulla FIV solitamente si concentra sugli adulti, suscitando simpatia verso chi desidera e tenta di avere figli. Molti dei bambini nati da FIV, tuttavia, soffrono problemi emotivi.
“È un atteggiamento ipocrita quello di genitori e medici che pensano che le radici biologiche non saranno importanti per i ‘prodotti’ dei servizi delle banche del seme, quando è proprio il desiderio di un rapporto biologico che porta clienti a tali banche”, ha affermato. Le ricerche di Clark hanno portato alla scoperta del proprio padre biologico, ma molti altri bambini nati da FIV non sono così fortunati.
Ulteriori problematiche derivanti dall’anonimato dei donatori sono state esaminate in un articolo pubblicato sul quotidiano australiano Daily Telegraph del 27 settembre. Descrivendo la situazione negli Stati Uniti, l’articolo racconta di Justin Senk, del Colorado, che ha scoperto all’età di 15 anni di essere stato concepito con seme donato.
Le successive ricerche fatte da Senk l’hanno portato all’inquietante scoperta di avere quattro fratelli e sorelle che vivevano nel raggio di 25 chilometri. Con il seme del padre, la cui identità rimane tuttora ignota, sono stati concepiti cinque figli, nati da tre madri sottoposte a fecondazione in vitro nella stessa clinica. Un altro caso si è verificato in Virginia, dove 11 donne hanno avuto figli concepiti dal seme di un unico donatore.
Tornando all’Australia, il Daily Telegraph calcola che solo circa il 30% dei figli concepiti da seme donato conosca l’identità del proprio padre.
L’11 agosto l’Associated Press ha riferito di un sito Internet, il Donor Sibling Registry, che è stato aperto negli Stati Uniti con la finalità di aiutare i figli di donatori anonimi ad identificare i propri genitori.
Rischio salute
Il sito Internet ha aiutato, ad esempio, Michelle Jorgenson a scoprire che il seme da lei utilizzato, oltre ad aver dato vita a sua figlia Cheyenne, ha prodotto altri sei figli, due dei quali sono affetti da autismo, mentre altri due danno segni di deficienze sensoriali.
Il sito è stato avviato da Wendy Kramer allo scopo di aiutare suo figlio Ryan, concepito da seme donato, a trovare i propri fratelli. Secondo l’Associated Press, il sito è diventato un punto di riferimento anche per coloro che cercano informazioni su gravi patologie mediche.
“Alcune persone cercano sul nostro sito i propri fratelli perché i loro figli hanno problemi di salute, e persino in casi di emergenza le banche del seme non facilitano alcun contatto, cosa che è alquanto frustrante”, ha affermato Kramer.
Qualche mese fa il New York Times ha riferito di un altro caso di un donatore di seme che ha trasmesso gravi malattie genetiche a cinque bambini, appartenenti a quattro coppie diverse. L’articolo, pubblicato il 19 maggio, osserva che non è possibile conoscere il numero esatto dei bambini nati dal seme di quell’uomo.
Questi figli, tutti del Michigan, sono privi di neutrofili, un tipo di globuli bianchi. Questo significa che sono altamente vulnerabili ad infezioni e a rischio di leucemia. I figli hanno a loro volta una probabilità del 50% di trasmettere il difetto genetico ai propri figli.
I papà non servono?
Non conoscere l’identità del proprio padre biologico genera già di per sé problemi notevoli. La maggior parte dei bambini che cercano l’identità del proprio padre cresce comunque in una famiglia in cui è presente una figura paterna, anche se non quella biologica. Tuttavia, cresce la pressione diretta a consentire il ricorso a fecondazione in vitro anche alle donne single.
Un recente rapporto, in Gran Bretagna, raccomanda l’ulteriore apertura legislativa in questo senso. Dopo aver svolto un’indagine sul tema, una commissione di nomina governativa ha emesso alcune raccomandazioni relativamente alla normativa che regola le cliniche per la riproduzione, secondo quanto riportato dalla BBC il 14 dicembre. Il Parlamento dovrà adesso discutere le proposte.
Una delle raccomandazioni prevede di esonerare le cliniche dall’obbligo di richiedere la presenza del padre per prendere la decisione di sottoporsi alla fecondazione in vitro. Se questa dovesse essere adottata, i centri di fertilità non potranno più negare questo tipo di trattamento a coppie lesbiche e a donne single.
Un’altra raccomandazione è di riconoscere legalmente lo status di “genitori” ad entrambi i partner di coppie omosessuali. Josephine Quintavalle, di Comment on Reproductive Ethics, ha criticato l’eventualità di eliminare il requisito della presenza del padre. “È un’eventualità inquietante sul ruolo dell’uomo”, ha detto alla BBC. “Possiamo solo sperare che il Parlamento respinga saggiamente l’assurda proposta di trascurare l’esigenza di un figlio di avere un padre”.
In ogni caso, sebbene le cliniche siano tenute a valutare se un trattamento di FIV possa essere effettuato in assenza del padre, un vero e proprio divieto per le donne single non esiste. Negli ultimi anni il numero di donne single che hanno concepito grazie alla FIV è cresciuto notevolmente, secondo il quotidiano Telegraph di Londra dell’8 ottobre.
Nel 2005, 156 donne lesbiche sono state sottoposte a FIV, rispetto ai soli 36 casi del 2000. Il numero complessivo di donne single che hanno fatto ricorso alle tecniche di fecondazioni in vitro è passato da 215 a 536 nell’arco dello stesso periodo.
Il 10 luglio, un articolo del quotidiano Scotsman si è soffermato sulla questione della necessità dei figli nati da FIV di avere un padre, mettendo in evidenza alcune riflessioni critiche. “Consentire alle donne single e alle coppie lesbiche di sottoporsi a fecondazione in vitro significa permettere deliberatamente di dare alla luce figli privi del padre di cui hanno bisogno e, nei casi di coppie lesbiche, di esporli al rischio di essere confinati ad uno stato di permanente privazione della paternità”, osserva Norman Wells, direttore dell’organizzazione Family Education.
Nessun limite
Ulteriori preoccupazioni riguardano una dichiarazione apparsa in Gran Bretagna secondo cui le donne di età superiore ai 50 e 60 anni non dovrebbero essere escluse dai trattamenti FIV a causa della loro età. La proposta è stata fatta da Lord Richard Harries nell’ambito di un’intervista pubblicata il 14 ottobre sul quotidiano londinese Times.
Harries, Vescovo anglicano di Oxford a riposo, è ora presidente provvisorio della Human Fertilization and Embryology Authority.
Attualmente il Servizio sanitario nazionale britannico non finanzia trattamenti di fecondazione in vitro alle donne che hanno superato il 40° anno di età. Tuttavia, secondo Harries, l’età avanzata non è un motivo sufficiente a giustificare l’esclusione di alcuni pazienti.
Qualche mese fa il medico italiano Severino Antinori ha aiutato una don
na di 62 anni ad avere un figlio, secondo il Times dell’8 luglio. Patricia Rashbrook ha battuto ogni record ed è diventata la madre più anziana d’Inghilterra.
Più di 20 bambini l’anno nascono da donne over 50, secondo il quotidiano Guardian dell’8 maggio. Complessivamente, nel 2002, 96 donne con più di 50 anni sono state sottoposte a FIV nelle cliniche di fertilità in Gran Bretagna. Il 25% di queste è rimasta incinta grazie alle tecniche di fecondazione in vitro.
Questo modo di concepire esseri umani non è etico. “Le tecniche che provocano una dissociazione dei genitori … sono gravemente disoneste”, afferma il Catechismo della Chiesa cattolica al n. 2376. “Tali tecniche … ledono il diritto del figlio a nascere da un padre e da una madre conosciuti da lui e tra loro legati dal matrimonio”.
Un figlio è un dono, spiega il n. 2378, e “non può essere considerato come oggetto di proprietà: a ciò condurrebbe il riconoscimento di un preteso ‘diritto al figlio’”. Precetti sempre più ignorati, con pesanti conseguenze per un numero crescente di bambini.
Di padre John Flynn