ISTANBUL, sabato, 6 gennaio 2007 (ZENIT.org).- Con il suo viaggio in Turchia, Benedetto XVI ha segnato un momento fondamentale nella via del dialogo con il mondo musulmano e del superamento delle recenti incomprensioni, constata uno dei testimoni diretti di questo pellegrinaggio apostolico.
Fratel Rubén Tierrablanca, sacerdote francescano messicano della Provincia di san Pietro e san Paolo di Michoacán, vive in Turchia, nel convento di Santa Maria Draperis, e appartiene alla Fraternità Internazionale Francescana di Istanbul.
La missione propria di questi francescani, in un Paese a maggioranza musulmana, è anzitutto quella di essere presenti e di testimoniare Cristo con la propria vita quotidiana. Lo abbiamo intervistato per farci raccontare la sua esperienza nel promuovere il dialogo e l’incontro tra culture diverse.
Come si sono preparati i cattolici della Turchia ad accogliere Benedetto XVI?
Fr. Rubén Tierrablanca: Ad Istanbul abbiamo vissuto un momento speciale alla vigilia della visita del Santo Padre, Benedetto XVI, in Turchia. Oltre alla gioiosa attesa da parte di questo piccolo gregge della Chiesa cattolica in questo Paese di maggioranza musulmana, si è sentito molto forte lo sguardo del mondo intero rivolto alla Turchia per motivi politici e di ordine interreligioso.
Già da diverse settimane le continue telefonate e visite da parte di giornalisti, reti televisive, corrispondenti e osservatori della società contemporanea, ci tenevano molto occupati. Le domande più ricorrenti erano: Come vivono i cristiani in Turchia? Cosa significa per voi la visita del Papa? Perché i cristiani sono diminuiti così tanto nell’ultimo secolo e più ancora negli ultimi anni? Perché non è possibile indossare l’abito religioso per la strada? Avete paura delle reazioni violente degli integralisti e dei nazionalisti? A tutte queste domande abbiamo cercato di rispondere con chiarezza e semplicità. L’ideale sarebbe che i giornalisti e le altre persone potessero vivere, almeno per un breve periodo, nel Paese, per capire di più e meglio, e così evitare alcuni titoli giornalisitici che provocano scandalo e che sono un danno per tutti.
Con grande gioia e con un’attenzione particolare ai discorsi pronunciati da Benedetto XVI alla sua partenza da Roma, abbiamo vissuto la prima giornata della sua visita. Dopo le polemiche e le preoccupazioni dei giorni precedenti, si sentiva finalmente un aria di serenità e di reciproca comprensione tra il Governo, il popolo turco e il Papa.
Come è la situazione attuale dei cattolici in questo Paese?
Fr. Rubén Tierrablanca: La situazione attuale in cui viviamo qui, con le restrizioni a livello socio-politico e religioso, e le conseguenti difficoltà che ogni tanto incontriamo, non è molto diversa da quella dei tempi apostolici. Gli Atti degli Apostoli descrivono una Chiesa nascente, nell’ambito dell’Impero romano e nel mezzo del politeismo. Ora ci sono un Governo repubblicano laico e una popolazione musulmana, ma il timore per il messaggio evangelico e la vita cristiana è molto simile: si pensa che possa comportare un indebolimento dell’identità nazionale e dell’integrità religiosa. In realtà la vita cristiana, se è veramente autentica, porterebbe tutti ad una visione della vita più umana e ad una convivenza pacifica. Per noi cristiani si tratta di impegnarci a stabilire il regno di Cristo, per i non cristiani sarebbe una chiamata a vivere i propri valori e principi di fede e a dimostrare quell’ammirevole e proverbiale tradizione di accoglienza dei popoli orientali.
Cosa significa, nella congiuntura attuale di relazioni tese tra Cristianesimo e Islam, questa visita in Turchia, un Paese in cui i cattolici sono la minoranza?
Fr. Rubén Tierrablanca: “Andrò in cerca della pecora perduta e ricondurrò all’ovile quella smarrita; fascerò quella ferita e curerò quella malata” (Ezechiele 34, 16). Mi è subito venuta in mente questa frase del profeta Ezechiele, pensando alla visita pastorale del Santo Padre alla Chiesa in Turchia. La nostra comunità cattolica è piccola numericamente, bisognosa di stimoli e talvolta persino stanca. Ma ora in questi giorni si è incontrata con il suo pastore, il Vicario del Buon Pastore, Gesù Cristo. I giornalisti che hanno accompagnato il Papa in aereo hanno sottolineato la dimensione pastorale come motivo fondamentale di questa visita, mentre qui in Turchia abbiamo desiderato lasciarci guidare dal nostro pastore e padre, e con lui ravvivare la nostra fede, rallegrarci nella speranza che non delude. Molti altri Paesi e religioni del mondo avrebbero voluto avere con loro il Papa, ma egli è stato tra noi per fasciare la pecora smarrita e curare quella malata, per confermarci nella fede in questo lembo di terra, confine tra continenti.
Lei è stato molto presente in questo avvenimento; ci racconti come sono andati gli incontri con la popolazione cristiana della Turchia.
Fr. Rubén Tierrablanca: “Questo vi darà occasione di render testimonianza” (Luca 21,13). Dedicando il primo pomeriggio della visita agli incontri di protocollo, il Sommo Pontefice ha pronunciato due discorsi: il primo nella sede del Ministro degli affari religiosi, Ali Bardagoglu; il secondo davanti al corpo diplomatico accreditato ad Ankara. Abbiamo ascoltato espressioni incoraggianti sulla decisa e franca disponibilità della Chiesa cattolica al “dialogo come strumento di incontro tra le culture e le religioni”. D’altra parte, citando la Costituzione conciliare “Gaudium et spes”, ha detto che la pace non è mera assenza di guerra, ma che è “il frutto dell’ordine impresso nella società umana dal suo divino Fondatore e che deve essere attuato dagli uomini che aspirano ardentemente ad una giustizia sempre più perfetta” (n. 78).
Personalmente mi ha fatto ricordare i numerosi interventi del suo predecessore e amato Giovanni Paolo II, in favore della promozione di una pace vera e duratura nel mondo. Necessariamente la Parola del Vangelo illuminerà il nostro cammino e ispirerà l’opera evangelizzatrice della Chiesa. Per questo motivo ho preso la frase del Vangelo di oggi per riprendere questi discorsi che non possono rimanere relegati negli archivi. Sappiamo tutti che questo viaggio aveva i suoi rischi e forse il rischio più grande stava nell’interpretazione delle sue parole, piuttosto che in questioni di ordine pubblico.
“Ma nemmeno un capello del vostro capo perirà” ci dice oggi Nostro Signore e Maestro Gesù Cristo. E ora che il Papa è tornato in Vaticano la nostra vita deve continuare a seguire il suo esempio e il suo insegnamento, perché “con la vostra perseveranza salverete le vostre anime”; ancora una volta il Signore Gesù Cristo ci dà la sicurezza.
Quale è stata la parte centrale di questa visita?
Fr. Rubén Tierrablanca: Sappiamo che la visita del Papa ha avuto come motivo principale e fondamentale il desiderio comune tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa di progredire nel cammino dell’ecumenismo, in vista dell’unità dei cristiani, impegno evangelico di ogni cristiano. Abbiamo vissuto questi avvenimenti con grande speranza e nel desiderio che la Dichiarazione congiunta che è stata firmata giovedì 30 novembre costituisca un punto fermo nel cammino verso il superamento dei diversi pregiudizi esistenti al fine di poter celebrare insieme i misteri della nostra comune fede trinitaria in Gesù Cristo Figlio di Dio, presente nell’Eucaristia e operante nella sua unica Chiesa.
Anche le due celebrazioni eucaristiche che il Papa ha presieduto nel santuario “Meryem Ana Evi” (Casa di Maria) ad Efeso il 29 novembre, e il 1° dicembre nella cattedrale “Santo Spirito” con la comunità cattolica (quasi la metà dei fedeli partecipanti erano pellegrini… la Chiesa in Turchia, in realtà, non è così numerosa come abbiamo visto in televisione in queste celebrazioni) si pongon
o in consonanza con il cammino ecumenico.
Come frati francescani che vivono questa realtà del dialogo interreligioso, sulle orme dello stesso Francesco d’Assisi, cosa vi ha lasciato questa visita?
Fr. Rubén Tierrablanca: Per noi, frati minori della Fraternità internazionale di Santa Maria Draperis, è stata un’occasione unica, storica: a tre anni dall’apertura di questa Fraternità, dedicata al dialogo ecumenico e interreligioso, ricevere la visita del Santo Padre in vista della ricerca dell’unità dei cristiani è veramente una benedizione. Ricordo ciò che Bartolomeo I ci ha detto la prima volta che ci ha ricevuto nel Patriarcato ortodosso, il 30 dicembre 2003, quando fratel Gwenolé gli ha chiesto di benedire il nostro progetto e di darci consigli per il nostro lavoro: “Amate questo popolo”, è stata la sua risposta, ovviamente si riferiva al popolo turco. Benedetto XVI, per conto suo, ha dato alla Chiesa universale la sua Enciclica “Deus caritas est”. Non possiamo chiedere di più. Abbiamo ricevuto le indicazioni necessarie e certe per intraprendere il nostro cammino del dialogo.