CITTA’ DEL VATICANO, lunedì, 13 novembre 2006 (ZENIT.org).- Pubblichiamo l’articolo apparso nell’edizione italiana de “L’Osservatore Romano” del 13-14 novembre 2006 con il titolo “Il neo-illuminismo è una sub cultura sconfitta” e firmato da Mario Pendinelli.
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Sarà utile riflettere a lungo sui grandi “sì” detti da Benedetto XVI a Verona: mentre i giorni sembrano carichi di odio e di castigo, il Papa ha chiesto alla Chiesa italiana – anche al più umile e meno dotato tra i fedeli – di offrire risposte “positive e convincenti” allo smarrimento pernicioso diffuso nel nostro tempo: quel nichilismo esteso, da Palermo ad Amsterdam, che vede nell’avvenire l’ombra di abissi sconosciuti. Qualche settimana fa, nel corso del IV Convegno nazionale della Chiesa in Italia, Benedetto XVI ha spiegato la vera causa di quella infelicità dell’uomo, di cui nessuno in Occidente sembra sapere il nome. L’origine di fatti terribili e oscuri: certe atrocità commesse da genitori contro i figli; quei delitti consumati per futili motivi o per denaro; le violenze contro le donne e gli indifesi. I motivi, infine, della paura del futuro, e di quella tristezza segreta, che parcheggia in Italia e nel resto dell’Europa, mentre crescono i consumi individuali e i desideri collettivi, e svanisce il senso della vita.
È vano, ci sembra che abbia detto il Papa, cercare le spiegazioni di questo malessere sociale solo nelle contraddizioni, pure concrete e innegabili, di uno sviluppo impetuoso, ma anche feroce, che talvolta lascia per strada i più deboli e rende incerti i giorni dei giovani. Perché il seme di tutte le incoerenze è nell’allontanamento di Dio dalla vita pubblica e privata; nel distacco dell’Europa dalla sua cultura e dalle sue radici. È questo un punto di straordinaria importanza contenuto nella preziosa lezione del Papa teologo e filosofo. Egli si rivolge come Successore del Santo Pietro in primo luogo alla Chiesa dei fedeli, ma anche a chi non crede e tuttavia coglie i segni di una possibile svalutazione di quella Rivoluzione cristiana sulla quale l’Occidente ha costruito le sue fortune. Quella Rivoluzione ha trasformato gli individui in persone; le masse indistinte in moltitudini di donne e di uomini liberi, “sciolti – dice con parole bellissime il Papa – dalle catene del peccato e della morte”.
Di fronte al rischio di un regresso nel più buio dei passati, Benedetto XVI ci spiega che la “risurrezione cristiana è dentro al tempo”. Non è un’attesa solitaria, ma una “forza dolce” chiamata sempre a trasformare il mondo. Ne deriva che la Chiesa non può chiudersi in sé stessa, come se fosse un corpo di eletti che custodiscono con discrezione la loro religione e guardano con astratta compassione l’avvento di una sub cultura distruttrice. Questa sarebbe proprio la Chiesa che vorrebbero i custodi di un laicismo anacronistico, e tuttavia potente; una Chiesa che rifiuta il tempo e a sua volta ne viene respinta. Del resto, il tentativo di estromettere la Chiesa è stato compiuto e ripetuto in ogni epoca, con tutti i mezzi, ed è in atto anche ora. “Ma non per questo ci perdiamo d’animo”. Infatti, il primo “sì” del Papa è alla storia che deve ancora essere scritta; al futuro che non svanirà nel vuoto, e perciò è un “sì” al presente che, proprio perché porta con sé un carico di orrori e di dolore, chiama la Chiesa ad una “avventura affascinante”: riaprire la grande questione del vero e del bene, per evitare che le nostre società si abbandonino alla morte.
C’è in questo passaggio l’esortazione a difendere la vita come un valore dell’intera umanità. E i no della Chiesa (all’aborto, all’eutanasia, alle possibili degenerazioni dell’ingegneria genetica, alla dissoluzione della famiglia) appaiono chiaramente, nelle parole del Papa, quello che davvero sono: non un elenco di arcigne prescrizioni, ma i tasselli di quella civiltà dell’amore che è alla radice della dignità delle donne e degli uomini e segna l’ingresso dell’Occidente nelle modernità. Così, dice il Papa, “i discepoli di Cristo riconoscono e accolgono volentieri gli autentici valori della cultura del nostro tempo, come la conoscenza scientifica e lo sviluppo tecnologico, i diritti dell’uomo, la libertà religiosa, la democrazia. Non ignorano e non sottovalutano, però, quella pericolosa fragilità della natura umana che è una minaccia per il cammino dell’uomo in ogni contesto storico; in particolare, non trascurano le tensioni interiori e le contraddizioni della nostra epoca”. La più evidente di queste contraddizioni, forse la più pericolosa, si riproduce tutti i giorni.
Consiste nel divario tra la smania (percepita come un obbligo sociale) di ottenere con ogni mezzo la massima soddisfazione materiale e individuale, e l’impotenza di questa ambizione. Ora, è come se un tiranno senza volto rendesse gli uomini più deboli, soverchiandoli con le sue illusioni. Montesquieu spiegò che la condizione della tirannia è l’isolamento delle persone e il loro ripiegamento nella futilità. Con lo sguardo sereno del Profeta, il Papa vede gli effetti della fuga collettiva dalle responsabilità sociali e personali verso il nulla. Quel nichilismo che rischia di uccidere il futuro e la storia. Esortandoci a ragionare, Benedetto XVI ci induce a capire che tutto questo non è il risultato ineluttabile del progresso. Lo sviluppo non è una afflizione. Il nichilismo che abbiamo di fronte è la malattia senile dell’illuminismo. Il frutto non voluto e avvelenato di una presunzione legata all’idea che le società occidentali, dopo la caduta delle tragiche ideologie totalitarie del ‘900, avrebbero potuto sostituire Dio con una scienza autosufficiente; all’interno di una realtà virtuale libera da ogni morale e perciò propizia ad essere governata esclusivamente dalle leggi del profitto e della produzione.
Già in passato l’illuminismo si inverò in un ateismo livoroso e superbo che avrebbe voluto rigenerare il volto dell’Europa, ma lo riempì di rughe. Infatti, l’eclisse dell’umanesimo cristiano suscitata dall’illuminismo, ebbe il suo sbocco drammatico nel nazismo e nello stalinismo. Il neo-illuminismo di oggi trascina sulle onde che solleva il nichilismo e, alla fine, ne resta sopraffatto. Vorrebbe essere la celebrazione della libertà assoluta, nella quale tutti dovrebbero trovare la soddisfazione dei loro istinti “regolati” e “mitigati” dall’ordine occidentale. Non funziona. Ruba all’uomo la speranza: un sentimento che non si può produrre nelle fabbriche o nei laboratori. Così, il tempo negato al successo, al piacere, alla vanità, diventa per le persone trasformate in individui soli, un insieme di ore abbandonate che nessuno vuole e di cui non si sa che fare.
Lo spiega il Santo Padre: “Viviamo in un mondo che si presenta quasi sempre come opera nostra, nel quale, per così dire, Dio non compare più direttamente, sembra diventato superfluo, anzi estraneo. In stretto rapporto con tutto questo, ha luogo una radicale riduzione dell’uomo, considerato un semplice prodotto della natura, come tale non realmente libero e di per sé suscettibile di essere trattato come ogni altro animale”. Così l’illuminismo, nella sua versione atea o indifferente a Dio, assiste ancora una volta alla distruzione delle sue ambizioni. L’Occidente, voltando le spalle all’etica civile contenuta nella sua ispirazione giudeo-cristiana, perde la sua identità senza acquistarne un’altra. Perciò il resto del mondo non lo capisce e sempre più spesso lo teme. L’ateismo non contiene risposte positive alle questioni decisive del nostro tempo. In una parola, è una sub cultura sconfitta.
Ma il Papa non può soffermarsi a guardare i segni di questa disfatta. Benedetto XVI indica una via d’uscita, un cammino “verso un mondo più umano e più giusto”. Queste parole, semplici e profonde come quelle dei veri Maestri, custodiscono un messaggio alto che è impossibile ricondurre a logiche di schieramento della politica. L’autonomia reciproca tra lo Stato e la Ch
iesa è una delle straordinarie ed eterne novità portate da Gesù nel mondo. Tocca ai fedeli laici agire sotto la loro piena responsabilità nell’ambito politico “per costruire un giusto ordine nella società”. Ma nelle parole del Santo Padre ci sembra di poter leggere anche un invito fermo: “Anteponendo le esigenze di giustizia agli interessi personali, o di una categoria sociale, o anche di uno Stato”.
Il Papa ha scelto il Convegno di Verona della Chiesa italiana per pronunciare un discorso denso di insegnamenti e di speranze. Benedetto XVI può vedere nelle folle che lo seguono e lo amano, l’altro Occidente e l’altra Italia. La Chiesa non sarà spettatrice silenziosa e sofferente di un ineluttabile declino. C’è un desiderio di Dio diffuso, che seguendo percorsi razionali o misteriosi entra nel cuore anche di chi non pratica la nostra, o alcuna, religione.
La Chiesa italiana, che alcuni immaginavano di poter ridurre a una fornitrice di servizi religiosi per scopi mondani (battesimi, matrimoni e funerali) ha dimostrato anche ai più scettici di essere una realtà viva, in grado di offrire un progetto culturale per la ricomposizione morale del Paese. La Chiesa italiana, ci ricorda il Santo Padre, è parte di una comunità universale che da 2006 anni trasmette da una generazione all’altra la luce che viene dalla Croce.
(© L’Osservatore Romano – 13-14 Novembre 2006)