ROMA, domenica, 28 maggio 2006 (ZENIT.org).- In occasione della 40ª Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, che si celebra questa domenica, il 3 maggio si è svolto presso la Pontificia Università del Laterano (PUL) di Roma un seminario promosso dalla PUL, dal Centro di comunicazione e cultura delle Paoline e dall’Ufficio Nazionale per le comunicazioni sociali della CEI.
Al seminario ha partecipato anche Piero Damosso, vice-caporedattore del TG1. Damosso insegna Giornalismo televisivo alla Facoltà di Lettere e Filosofia della LUMSA e Teoria e Tecnica del Giornalismo all’Istituto “Redemptor Hominis” della PUL. Il suo ultimo saggio sulla comunicazione, edito da Carocci, è intitolato “Speciale TV, la missione sociale della televisione”.
Nel corso della sua relazione, il vice-caporedattore del TG1 ha preso spunto dall’invito di Benedetto XVI ad immaginare i mass media “a servizio del bene comune” per sottolineare che “la comunicazione, di cui la tv resta un mezzo, non può essere separata dalla comunità di persone a cui si riferisce”.
Da qui la proposta di Damosso di sviluppare “una nuova cultura dell’informazione basata sulla responsabilità sociale e sul coinvolgimento dell’associazionismo laico e cattolico”, al fine di realizzare “una tv con una forte missione sociale”.
Il docente di Giornalismo televisivo ha sottolineato la crescente domanda di Dio non solo da parte dei telespettatori, ma anche delle redazioni e degli operatori dell’informazione.
Parlando dei criteri di drammaticità, dai grandi mali dell’umanità ai delitti, Damosso ha spiegato che si è sperimentato come “la speranza di un Dio vicino possa rendere più completa l’informazione” e come “la stessa questione di Dio non possa essere relegata, anche se efficacemente, nei servizi di cronaca sul Papa o nell’ambito dell’informazione religiosa”
“La questione di Dio – ha affermato – è questione che suscita domande e attraversa tutti i campi dell’agire umano e della comunicazione”.
Interpellato da ZENIT a questo proposito, ha commentato: “Come vice-caporedattore del TG1 che si occupa in particolare di temi sociali, ho potuto verificare concretamente come l’informazione abbia bisogno di un'anima, e debba in qualche modo ritrovare la sua missione sociale e soprattutto debba raccontare anche quali sono le esigenze spirituali di un popolo e di una persona”.
“Questo l’ho capito stando al tavolo della riunione ormai da diversi anni – ha spiegato –, dove si decidono le edizioni più importanti dei telegiornali, in particolare del TG1 delle 13.30 e delle 20.00. Stando lì ho verificato che i criteri di notiziabilità, cioè i criteri di selezione delle notizie che noi scegliamo per la messa in onda o per decidere i servizi da fare, devono in qualche modo confrontarsi anche con la questione di Dio”.
Secondo Damosso, “non si può cercare di raccontare una realtà complessa senza farsi interrogare da questa risorsa dell'amore, dal potere inerme dell'amore, rappresentato dalla presenza incarnata di Dio nella storia dei popoli come di ogni uomo, ovviamente nel rispetto profondo della sensibilità delle persone con altre convinzioni, così come ci deve essere attenzione senza pregiudizi alla realtà del cristianesimo, a quello che produce nella società e nella vita delle persone. Penso ad un modello di laicità inclusiva, che sa ascoltare e raccontare tutti i punti di vista, senza escludere quelli religiosi”.
“Il mio impegno professionale è stato ed è anche questo – ha proseguito –, cioè riuscire in qualche modo a rappresentare tutta la realtà, anche questa realtà che non si può confinare nei servizi efficacissimi che producono i colleghi vaticanisti, perché il giorno che la presenza di Dio in un telegiornale fosse confinata in quei servizi io credo che alla fine avremmo rappresentato una realtà in modo non equilibrato, molto parziale, ed in modo non completo”.
Quanto al fatto che per decenni la secolarizzazione abbia tentato di cancellare Dio e la religione dalle notizie, Damosso ha osservato che “su questo tema del rapporto tra religione e società la cultura europea deve fare i conti con la domanda del filosofo francese Bernard-Henri Lévy nel volume ‘La secolarizzazione-Religione e società nell'Europa contemporanea’ (Laterza), espressa con queste parole: ‘...Questa emarginazione che sembra irreversibile, questa riduzione di significato che mette il religioso alla stregua delle altre attività, laddove da secoli aveva in questa Europa cristiana – anche secolarizzata – un posto senza eguali, costituisce il termine ultimo dell'evoluzione, che annuncia la sua scomparsa a più o meno breve scadenza?’”.
Di fronte a questo grande interrogativo, “oggi ci sono segnali sociali e culturali, dal mondo dell'impresa a quello delle università, dal terzo settore alle associazioni di cittadinanza attiva, dai giovani ai più anziani, che indicano nella fede un importante riserva etica per il mondo”.
“La società globalizzata, alle prese con le sfide della violenza, delle guerre, del terrorismo, della fame, degli squilibri economici, dei problemi ambientali, si trova tuttavia di fronte alle opportunità equo-solidali, alle prospettive di un dialogo fra civiltà, religioni, culture, etnie per educarci a convivere, a saper vivere insieme, ma anche a dare un senso alla questione della ‘crescita’ posta continuamente dall'economia di mercato”.
“Inoltre, la ricerca per una pienezza di vita e di felicità attraversa le generazioni, i popoli, le Nazioni”, ha constatato.
“Oltre le polemiche e le contrapposizioni su come intendere i valori, su come tutelarli e come viverli, il cristianesimo è una presenza vitale e gioiosa, a disposizione di tutti, nel rispetto della libertà di ciascuno”, ha concluso.
“Così, anche nei media l'amore cristiano può essere comunicato per un tramite discreto e umanamente rispettoso, per testimoniare un nuovo umanesimo fondato sulla relazione,sulla promozione della vita umana,sulla riconciliazione e sulla pace”.
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May 28, 2006 00:00