CITTA’ DEL VATICANO, martedì, 23 maggio 2006 (ZENIT.org).- A cinquant’anni di distanza dall’Enciclica Haurietis aquas di Pio XII, Papa Benedetto XVI ha affermato che è sempre attuale il richiamo per i cristiani a “continuare ad approfondire la loro relazione con il Cuore di Gesù in modo da ravvivare in se stessi la fede nell’amore salvifico di Dio”.
Così ha detto il Santo Padre nell’indirizzare una lettera a padre Peter-Hans Kolvenbach, Preposito Generale della Compagnia di Gesù, in occasione del 50° anniversario dell’Enciclica con la quale si promuoveva il culto al Cuore di Gesù.
Il documento pubblicato il 15 maggio 1956 ricordava il primo centenario dell’estensione all’intera Chiesa della Festa del Sacro Cuore di Gesù. Infatti, questa devozione è stata ufficialmente riconosciuta dalla Chiesa nel febbraio 1765 da Clemente XIII, che concesse alla Polonia e alla Arciconfraternita eretta a Roma presso la chiesa del Gesù la Festa del Sacro Cuore.
Tuttavia, è nel 23 agosto 1856 che la Sacra Congregazione dei Riti – successivamente suddivisa in due Congregazioni, una per il Culto Divino e l’altra per le Cause dei Santi – estese tale festa alla Chiesa universale.
Più tardi, l’incarico di diffondere il culto del Sacro Cuore fu affidato alla Compagnia da Gesù stesso, secondo la testimonianza di suor Margherita Maria Alacoque (1647-1690), che ebbe delle apparizioni di Gesù Cristo nel monastero di Paray-le-Monial, una piccola località della Borgogna, a partire dal 27 dicembre 1673, festa di san Giovanni Evangelista.
Nella prima apparizione, Gesù invitò suor Margherita a prendere il posto che san Giovanni aveva occupato durante l’Ultima Cena e le disse: “Il mio divino Cuore è così appassionato d’amore per gli uomini, che non potendo più racchiudere in sé le fiamme della sua ardente carità, bisogna che le spanda. Io ti ho scelta per adempiere a questo grande disegno, affinché tutto sia fatto da me”.
Suor Margherita ebbe come direttore spirituale il gesuita San Claudio de la Colombière, “il servo fedele e il perfetto amico”, così come era stato definito da Gesù secondo la testimonianza della santa.
La Compagnia ha risposto nel 1872 con l’allora Superiore Generale padre P. Becks, il quale consacrò la Compagnia al Cuore di Gesù. Consacrazione che fu rinnovata con una formula nuova da padre Pedro Arrupe un secolo dopo.
Questa devozione, come sottolineato dallo stesso Pio XII era già contenuta in germe nella Sacra Scrittura ed era stata approfondita successivamente dai santi Padri, dai Dottori della Chiesa e dai grandi mistici medioevali, anche se un particolare incremento si è avuto in seguito alle apparizioni di Gesù Cristo a santa Margherita.
Nella lettera resa nota questo martedì dalla Sala Stampa della Santa Sede, il Papa afferma: “Poiché l’amore di Dio ha trovato la sua espressione più profonda nel dono che Cristo ha fatto della sua vita per noi sulla Croce, è soprattutto guardando alla sua sofferenza e alla sua morte che possiamo riconoscere in maniera sempre più chiara l’amore senza limiti che Dio ha per noi”.
“Questo mistero dell’amore di Dio per noi, peraltro, non costituisce soltanto il contenuto del culto e della devozione al Cuore di Gesù: esso è, allo stesso modo, il contenuto di ogni vera spiritualità e devozione cristiana”, ha aggiunto.
“E’ quindi importante sottolineare che il fondamento di questa devozione è antico come il cristianesimo stesso. Infatti, essere cristiano è possibile soltanto con lo sguardo rivolto alla Croce del nostro Redentore, ‘a Colui che hanno trafitto’”, ha continuato.
Il Papa ha quindi sottolineato la necessità di partire da una atteggiamento interiore fatto “di umile preghiera e di generosa disponibilità”, cosicché “lo sguardo posato sul costato trafitto dalla lancia si trasforma in silenziosa adorazione”.
“La fede intesa come frutto dell’amore di Dio sperimentato è una grazia, un dono di Dio – ha detto –. Ma l’uomo potrà sperimentare la fede come una grazia soltanto nella misura in cui egli l’accetta dentro di sé come un dono, di cui cerca di vivere”.
“Il culto dell’amore di Dio”, al quale l’Enciclica Haurietis aquas invitava i fedeli, “deve aiutarci a ricordare incessantemente che Egli ha preso su di sé questa sofferenza volontariamente ‘per noi’, ‘per me’”, ha avvertito.
“Quando pratichiamo questo culto, non solo riconosciamo con gratitudine l’amore di Dio, ma continuiamo ad aprirci a tale amore in modo che la nostra vita ne sia sempre più modellata”, ha sottolineato.
Vivere e testimoniare l’amore sperimentato
“La contemplazione adorante del costato trafitto dalla lancia ci rende sensibili alla volontà salvifica di Dio. Ci rende capaci di affidarci al suo amore salvifico e misericordioso e al tempo stesso ci rafforza nel desiderio di partecipare alla sua opera di salvezza diventando suoi strumenti”, ha poi continuato il Vescovo di Roma.
“I doni ricevuti dal costato aperto, dal quale sono sgorgati ‘sangue e acqua’, fanno sì che la nostra vita diventi anche per gli altri sorgente da cui promanano ‘fiumi di acqua viva’”, ha detto richiamando quanto già osservato al numero 7 della sua Enciclica Deus caritas est.
Allo stesso tempo questa esperienza dell’amore mostrato da Cristo “ci tutela dal rischio del ripiegamento su noi stessi e ci rende più disponibili ad una vita per gli altri” e ci rende “capaci di amare e di donarsi”.
Solo in questo modo, ha continuato il Pontefice, possiamo divenire “strumento nelle mani di Cristo” e quindi “annunciatori credibili del suo amore”.
Quest’anno la Festa del Sacro Cuore di Gesù verrà celebrata il 23 giugno.