FOSSOLI, venerdì, 20 gennaio 2006 (ZENIT.org).- Si è svolto a Fossoli di Carpi, domenica 15 gennaio, un incontro per commemorare don Francesco Venturelli, cappellano del Campo di Concentramento di Fossoli, che in vita fu esempio di amore fraterno e che fu ucciso nel secondo dopoguerra, il 15 gennaio del 1946.
Il maestro fossolese Olinto Lugli ha raccontato di quando lui ancora dodicenne, giocava nel campo e don Francesco “sedeva sempre su una panchina dalla quale ogni tanto chiamava uno di noi bambini e lo confessava”.
Il sacerdote era solito dire infatti: “Al male si risponde con il bene: perché uno che fa il male, è uno che ha bisogno d’amore”. E ancora invitava i ragazzi ad accostarsi alla comunione quando fossero in pace con tutti: “Solo così l’incontro con il Signore sarà perfetto”.
Don Francesco aiutava tutti: “Quando aveva un po’ di soldi – ha spiegato Lugli – ci comprava dei libri e ce li raccontava per invogliarci alla lettura, così che potessimo imparare l’italiano, noi che parlavamo solo il dialetto”.
Olinto Lugli ha rammentato una frase che già conteneva qualcosa della missione di don Venturelli: “Bisogna amare anche i nemici e pregare per loro”.
A portare i saluti del Vescovo di Carpi, monsignor Elio Tinti, assente perché impegnato in un pellegrinaggio diocesano in Siria, ci ha pensato don Douglas Regattieri, il quale ha detto: “Esiste un martirio di sangue e un martirio della vita: don Francesco ha vissuto l’uno e l’altro”.
Don Regattieri ha quindi concluso ricordando quanto la Diocesi abbia bisogno di annunciatori della fede: “Voglia don Francesco donarci tanti sacerdoti come lui che si occupino della vita della Chiesa e dei fedeli fino a dare la vita”.
Nel corso della commemorazione, la dottoressa Anna Maria Ori, storica della Fondazione Ex Campo Fossoli, ha preso la parola per raccontare il vissuto biografico del sacerdote. Successivamente, ZENIT le ha voluto rivolgere alcune domande.
Chi era don Francesco Venturelli e perché fu ucciso?
Anna Maria Ori: La figura di don Venturelli è per me molto importante e significativa per l’eccezionale opera di assistenza e sostegno che è riuscito a dare a tutti gli internati di Fossoli. Non so perché fu ucciso, ma so che è stato un giusto.
Si può dire che il suo assassinio fu organizzato in un clima di “odio alla fede”?
Anna Maria Ori: No. Non sappiamo chi l’abbia ucciso. Lui godeva del rispetto del Comitato di Liberazione Nazionale (Cln) locale – uno degli esponenti più in vista di Fossoli ha collaborato con lui nelle sua azione di assistenza agli internati, e si rifugiava nel sottotetto della chiesa in occasione di rastrellamenti.
Se l’omicidio è stato di mano “comunista”, secondo me, che ho studiato le carte del Cln locale durante la guerra e nel dopoguerra, non può che essere stato per iniziativa di uno o più elementi incoscienti e non inquadrati, in un clima di ignoranza, di irresponsabilità e di generico anticlericalismo.
Io lo collego però al Campo di concentramento, al fatto che nel campo nell’inverno ’45-46 c’erano non solo numerosi gerarchi fascisti in via di epurazione, ma c’erano anche molte persone senza documenti, senza mezzi, in attesa di identificazione e di una destinazione – sono documentati anche ebrei.
C’erano molti stranieri: slavi, ucraini, tedeschi, greci, che rifiutavano il rimpatrio e che creavano grandi problemi alla Questura locale, alla Pubblica sicurezza e alla popolazione di Fossoli. Don Venturelli potrebbe aver contattato o essere stato contattato da qualcuno; qualcun altro può aver ritenuto pericoloso questo contatto, per sé o per un proprio gruppo, e può aver organizzato l’assassinio.
Qual è la testimonianza che don Venturelli fornisce ai giovani di oggi?
Anna Maria Ori: Quella che quando il prossimo è in difficoltà, occorre agire, non chiedersi se è dei nostri, oppure no. Lui, dichiarato antifascista e anticomunista, uomo di grande cultura e di grande umanità, ha aiutato tutte le categorie di internati passate dal campo: prigionieri di guerra inglesi, ebrei, oppositori politici al regime di qualunque partito, e infine anche fascisti e nazisti. Vorrei ricostruire, sulle tracce dei documenti rimasti, non solo l’elenco delle persone che don Venturelli ha aiutato – un elenco, molto per difetto, lo ha già fatto lui, di 413 numeri! – ma anche le loro vicende personali.
Si è trovato al centro di mille destini, di storie tragiche, di sofferenze fisiche e morali, ed ha cercato di fare il possibile per sollevare un po’ queste sofferenze. Non era in suo potere salvare delle vite, e non poteva sapere che quelle persone che vedeva partire dal campo dirette alla stazione di Carpi erano poi destinate a località come Auschwitz, Mauthausen, Buchenwald, Ravensbruck… e questi nomi non significavano nulla, allora; ma sapeva che desideravano rassicurare i parenti, e che volevano notizie dei congiunti, e vedeva che erano scalzi, che avevano fame, che alcuni di loro mancavano di tutto, ed ha cercato di fare il possibile per aiutarli.
Riceveva lettere di persone che chiedevano notizie di congiunti forse internati, e lui si informava, rispondeva a tutti. Il suo Vescovo, monsignor Dalla Zuanna, medaglia d’oro al valor civile, uomo parco di parole e soprattutto di elogi, definisce la canonica di don Venturelli in quel periodo “quasi un ministero” per le diverse persone che vi si rivolgevano.
Era in contatto – tramite i segretari dei presuli, Monsignor Bicchierai e Monsignor Repetto – con gli arcivescovadi di Milano e di Genova, ma rispondeva anche ai parroci delle più sperdute parrocchie di montagna che chiedevano notizie di parrocchiani rastrellati.
Era in contatto con l’agenzia ebraica di soccorso, la Delasem, in modo ufficioso, ufficialmente solo dopo la liberazione, e questo contatto era sicuramente condiviso con Odoardo Focherini e anche su ciò andrebbe fatta una ricerca specifica tra le carte del Cdec. Gli scrivevano e venivano a Fossoli da tutta l’Italia occupata dai tedeschi, e dopo la liberazione anche dall’America, e lui rispondeva a tutti, annotando a matita sulla lettera la data di risposta.
Tutta la sua vita fu segnata anche da un profondo senso di rispetto per la morte, da una sincera pietas verso i defunti, da un adoprarsi affinché, ignoti o meno, fossero sepolti in terra consacrata e col dovuto ossequio. Mi auguro che anche lui abbia finalmente trovato pace, che questa terza traslazione delle sue spoglie sia definitiva, anche se non nel luogo preciso da lui indicato in vita.
[Per saperne di più su don Venturelli si legga: Fossoli di Carpi commemora un sacerdote ucciso da “una ideologia atea e intollerante”, ZENIT, 12 dicembre 2006]