Fossoli di Carpi commemora un sacerdote ucciso da “una ideologia atea e intollerante”

Si tratta di don Francesco Venturelli, assassinato nel 1946 all’età di 59 anni

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ROMA, giovedì, 12 dicembre 2006 (ZENIT.org).- Si è svolta a Fossoli di Carpi (Mo), domenica 8 gennaio, la manifestazione per il 60° anniversario della morte di don Francesco Venturelli, con la traslazione dell’urna funeraria dalla chiesa Madre alla nuova chiesa.

Si tratta di un sacerdote cappellano a Mirandola, poi parroco di Fossoli e cappellano del Campo di concentramento, che diede prova di immensa carità nella cura degli ebrei, degli inglesi prigionieri, dei deportati politici e delle vittime del dopoguerra, fino a quando non fu assassinato il 15 gennaio del 1946 all’età di 59 anni.

I suoi assassini non sono mai stati trovati, ma le ricerche storiche e le testimonianze indicano nei partigiani comunisti i mandanti della barbara uccisione.

Già accusato di essere “antidemocratico” dal giornale dell’Associazione nazionale partigiani d’Italia (Anpi) e oggetto di pesanti critiche sui giornali che facevano riferimento al Partito Comunista, pochi giorni prima di essere ucciso don Venturelli aveva ricevuto una lettera firmata “I Partigiani” in cui veniva minacciato di morte.

Nel clima di odio contro i sacerdoti che si respirava in quegli anni, la sera del 15 gennaio 1946 don Venturelli venne chiamato da uno sconosciuto per assistere – così gli dissero – le persone vittime di un incidente stradale avvenuto sulla provinciale Carpi-Modena.

Appena 20 metri fuori di casa lo sconosciuto tirò fuori una pistola e lo uccise con tre colpi sparati a bruciapelo.

Nel corso dell’omelia per la celebrazione di domenica scorsa, monsignor Elio Tinti, Vescovo di Carpi, ha parlato di don Francesco Venturelli come di “un prete che ha ascoltato il Signore e ha fatto della sua vita un dono a Dio e ai fratelli e per questo è stato ucciso”.

“Un prete di grande carità che è stato segno di un forte senso religioso e sociale, di una autentica ricerca del bene comune e di una umanità pienamente vissuta capace di superare ogni divisione religiosa o politica”, ha aggiunto.

“Ha compiuto talmente bene il suo dovere di Sacerdote e di Cittadino – ha osservato monsignor Tinti – da suscitare la gelosia e la rabbia di chi era accecato da una ideologia atea e intollerante”.

Il Vescovo ha quindi ricordato che “quel tragico giorno del 15 gennaio a Fossoli tutto era già stato preparato. Si diceva infatti con dileggio al mattino in alcuni negozi: ‘Questa sera faranno passare il raffreddore al prete’ e ‘Oggi finalmente si ammazza il maiale’”.

“Fa poi molto pensare il fatto che, nonostante la stima affettuosa dei parrocchiani, quasi nessuno di loro osò partecipare al funerale. Non fu forse per il clima di terrore che in quei mesi attanagliava vaste zone della nostra regione?”, ha quindi domandato.

“E’ un dovere per noi come cristiani e come uomini – ha esortato il Vescovo – ricordare questo battesimo di sangue dopo 60 anni per riaffermare i valori fondamentali necessari per ogni pacifica convivenza, a iniziare dal rispetto della vita e della dignità della persona umana fino alla stabilità e alla fecondità della famiglia”.

Monsignor Tinti ha concluso l’omelia invocando il Signore al fine di “suscitare in quanti allora hanno promosso odio e violenza il riconoscimento sincero e pubblico delle proprie responsabilità per i numerosi e ingiustificati fatti di sangue che ferirono in modo indelebile la coscienza individuale e quella collettiva prima e dopo il 25 aprile”.

Il Presule ha infine auspicato che si possa giungere a scrivere “la storia di quegli anni in maniera nuova, serena, oggettiva, espressione di vera e autentica riconciliazione, di piena e sincera liberazione da pregiudizi, preconcetti, opinioni di parte” affinché “possano germogliare anche questi nuovi semi di verità, riconciliazione e di vera pace”.

Nel corso della manifestazione è intervenuto anche il giornalista di “Avvenire” Roberto Beretta, autore del libro “Storia dei preti uccisi dai partigiani” (Piemme), il quale ha sottolineato che “questi preti sono morti due o tre volte. Una per il piombo, poi per le calunnie. La terza morte è l’assenza di una giustizia umana: troppi processi non fatti o finiti con amnistia o con condanne sommarie di innocenza”.

Invece – ha ribadito Beretta –, sacerdoti come don Venturelli “hanno bisogno di essere ricordati. È un atto di giustizia nei loro confronti. Sono una pietra della Chiesa e della comunità”.

Domenica 15 gennaio in occasione dell’anniversario della morte di don Venturelli insieme alla Santa Messa di Suffragio, si svolgerà un incontro a Fossoli di Carpi con le riflessioni di Anna Maria Ori, ricercatrice della Fondazione “ex Campo Fossoli”, e la testimonianza di Olinto Lugli, parrocchiano.

In una intervista rilasciata al giornale della Diocesi di Carpi, Anna Maria Ori, ha detto che “dei sacerdoti come don Venturelli ne ha conosciuti pochi”. “È stato ucciso mentre compiva la sua opera più difficile: lui, antifascista, stava aiutando anche i fascisti che certo erano il suo prossimo, ma un prossimo ‘nemico’. Una figura, forse, in cui la tragicità della fine ha coperto l’eroismo della vita”.

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ZENIT Staff

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