Decisiva l’educazione e la salute delle donne per lo sviluppo dell’Africa

Intervista ad Anna Bono, ricercatrice in Storia e Istituzioni dell’Africa

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ROMA, venerdì, 11 marzo 2005 (ZENIT.org).- L’Africa non soffre di problemi di sovrappopolazione e la chiave del suo sviluppo sta nell’educazione, nella salute e nella libertà delle donne, ha detto a ZENIT Anna Bono, ricercatrice in Storia e Istituzioni dell’Africa presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università degli Studi di Torino.

Dal 1981 al 1993 la Bono ha lavorato in Africa Orientale, svolgendo una serie di ricerche sulle istituzioni africane, la storia dei paesi africani dall’indipendenza ai giorni nostri, i contesti sociali multietnici, e pubblicando oltre 200 tra articoli, saggi e libri, scientifici e divulgativi.

Cosa sta succedendo in Darfur? Qual è la situazione dei cristiani e della popolazione?Quali prospettive ci sono per un futuro di pace e sviluppo?

Bono: Il Darfur è una regione occidentale del Sudan abitata da etnie di agricoltori africani e di pastori transumanti di origine araba che da secoli si contendono pascoli, terreni fertili, punti d’acqua e integrano risorse scarse e irregolari razziando beni e persone, come accade in tutte le economie di sussistenza africane.

Il fatto nuovo, che da oltre due anni ha trasformato la regione in uno dei punti critici del pianeta, è l’intervento del governo che dapprima ha armato i pastori arabi e poi li ha affiancati in azioni di guerra contro gli agricoltori africani. Dal gennaio 2003 si calcolano un milione di sfollati, circa 200.000 profughi nel vicino Chad, alcune decine di migliaia di morti. A nulla vale il fatto che tutti i contendenti siano di religione islamica: anzi gli scontri si stanno moltiplicando anche nelle regioni islamiche nord orientali.

Nel sud Sudan, intanto, è iniziato uno dei più difficili dopoguerra della storia del continente. L’interminabile conflitto per la spartizione delle regioni meridionali del paese, iniziato nel 1957 all’indomani dell’indipendenza dalla Gran Bretagna, si è concluso con un accordo che affida a John Garang, leader del principale movimento indipendentista, l’Esercito popolare di liberazione del Sudan, l’amministrazione dei territori contesi e la metà dei proventi dei giacimenti di petrolio divenuti negli ultimi anni il principale motivo di scontro.

Tra sei anni con un referendum il sud Sudan deciderà se diventare indipendente. Adesso l’intera regione va risanata e ricostruita, manca di tutto: strade, scuole, tribunali, ospedali…occorrono aule e insegnanti per quasi un milione di bambini e quattro milioni di sfollati hanno bisogno di un tetto e di un’occupazione che permetta loro di ricominciare a vivere.

Un’incognita particolarmente preoccupante è se Garang sia davvero in grado di far deporre le armi a tutti i suoi uomini e anche ai guerriglieri che non rispondono ai suoi ordini. Quanto al fatto che sappia e voglia amministrare nell’interesse collettivo, nessuno se lo aspetta: sarebbe un miracolo.

L’unico aspetto certo e positivo è la rinuncia da parte del governo di Khartum a imporre la legge coranica alle popolazioni cristiane e animiste del sud: una conquista pagata al caro prezzo di due, forse tre milioni di vittime civili.

Qual è la situazione delle donne in Africa?

Bono: Un dato per tutti illustra il dramma della condizione femminile in Africa. Se nei paesi industrializzati il numero delle donne morte di parto su 100.000 nati vivi è inferiore a dieci e in alcuni casi prossimo allo zero (Spagna, Lussemburgo…), in Africa quasi dappertutto è superiore a 100 e in certi stati si avvicina al valore medio di 1.000 e lo supera (1.100 nella Repubblica Centroafricana, in Mozambico e in Rwanda, addirittura 1.800 in Sierra Leone).

Non è solo questione di povertà. Ciò che colpisce in Africa è lo stato di assoggettamento, marginalità e dipendenza delle donne, le discriminazioni e le violenze fisiche e morali che subiscono, praticamente senza scampo. Numerose sono le istituzioni radicate nella tradizione che i governi africani non mostrano di voler combattere con la necessaria determinazione: dal matrimonio forzato e infantile al prezzo della sposa, dalle mutilazioni genitali femminili alla poliginia.

L’avanzare dell’islam integralista negli ultimi anni ha aggravato la situazione, come dimostra in particolare il caso della Nigeria dove 12 degli stati a maggioranza islamica della federazione hanno introdotto nel loro ordinamento restrizioni, divieti e sanzioni che si richiamano alla legge islamica, la shari’a, e che riguardano il comportamento femminile e il diritto di famiglia.

Ma l’emergenza del momento, che si aggiunge a i già tanti fattori di crisi, è l’Aids. Il 70 per cento del totale mondiale dei sieropositivi, oltre 25 milioni di persone, abita nell’Africa subsahariana e la percentuale sale al 90 per cento se si considera la fascia d’età da 0 a 15 anni. Il 7,5 per cento degli africani di età compresa tra 15 e 49 anni è sieropositivo (mentre la percentuale mondiale è dell’1,1 per cento) e circa il 57 per cento dei sieropositivi africani è di sesso femminile.

Le politiche di riduzione della nascite che alcune agenzie delle Nazioni Unite hanno praticato a partire dalla fine degli anni Settanta hanno aiutato o penalizzato lo sviluppo dell’Africa?

Bono: La povertà in Africa non è da imputarsi alla sovrappopolazione: è un fatto talmente evidente che non dovrebbe neanche essere oggetto di discussione. La superficie dell’Africa è tre volte quella dell’Europa ed è di un terzo inferiore a quella dell’Asia, ma i suoi abitanti sono soltanto 850 milioni, vale a dire circa 120 milioni più degli europei e meno di un quarto degli asiatici.

Le difficoltà degli africani dipendono piuttosto dalla scarsa capacità produttiva delle loro economie, dalla corruzione, dalla mancanza di libertà, di democrazia. Quindi i programmi di cooperazione allo sviluppo incentrati sulla riduzione delle nascite sono stati e continuano a essere controproducenti.

La convinzione che quello africano sia un problema demografico impedisce infatti l’individuazione dei veri fattori che ostacolano lo sviluppo e dunque allontana dalla soluzione; spesso la demografia è usata come alibi dagli stessi governanti africani che attribuiscono alla crescita della popolazione l’insuccesso delle proprie politiche economiche, in realtà fallimentari per imperizia e amministrazione irresponsabile.

E’ chiaro, inoltre, che gli investimenti per la realizzazione di politiche di controllo demografico hanno tolto preziose risorse umane e finanziarie ad altri, necessari e utili progetti di sviluppo.

In che modo le donne africane possono contribuire allo sviluppo e all’emancipazione del continente? Quali politiche culturali ed economiche potrebbero essere promosse?

Bono: L’istruzione e la salute delle nuove generazioni sono responsabilità prevalente delle donne africane spesso costrette ad allevare da sole i propri figli. Educarle alle pari opportunità, al rispetto della libertà e dei diritti universali della persona significa compiere enormi passi avanti nella lotta alla povertà per gli effetti diretti e immediati che le loro convinzioni, il loro esempio e le loro scelte hanno sul destino dei loro bambini.

Tra le tante iniziative utili, un posto di rilievo dovrebbe andare alle campagne di informazione e formazione sui diritti civili e politici. Gran parte della popolazione africana continua infatti a seguire il diritto consuetudinario della propria etnia e quasi tutti i paesi permettono che ciò avvenga. Si legittimano così istituzioni che discriminano le donne e in generale limitano la libertà della persona di decidere di sé e da sé.

Dove è ammesso il diritto consuetudinario tribale, normalmente la condizione per applicarlo è che tutte le parti in causa siano concordi nel rispettare le tradizioni; in caso contrario valgono le leggi dello stato, di solito
ispirate ai valori di libertà e giustizia delle costituzioni occidentali.

Ma la maggior parte delle persone, e specialmente le donne, che trarrebbero più vantaggio da quelle leggi – ad esempio, in fatto di successione, divorzio, mantenimento dei figli – non sono neanche al corrente dell’esistenza di altre norme oltre a quelle tradizionali. Sottrarre le donne africane all’ineluttabilità di regole ancestrali discriminanti e lesive dei diritti fondamentali della persona è una delle condizioni necessarie per lo sviluppo economico e sociale del continente.

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ZENIT Staff

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