Cardinal Martino: il detenuto, soggetto di evangelizzazione e di promozione umana

Nel concludere il Seminario internazionale di studio sui diritti umani dei detenuti

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ROMA, martedì, 8 marzo 2005 (ZENIT.org).- “Il detenuto da oggetto deve essere considerato anche come soggetto di evangelizzazione e di promozione umana: questo, oltre che un dovere, è prima di tutto un suo diritto”, sostiene il cardinale Renato Martino.

Queste le conclusioni del Presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace , nel suo intervento tenuto il 2 marzo a Roma, al termine del Seminario internazionale di studio sui diritti umani dei detenuti, organizzato per due giorni insieme alla Commissione Internazionale della Pastorale Penitenziaria Cattolica (ICCPPC).

Agli oltre 80 esperti, studiosi e cappellani delle carceri di una trentina di Paesi dei cinque continenti che hanno partecipato all’incontro, Martino ha spiegato che: “Il carcere, per la Chiesa, prima di essere un luogo pieni di problemi, è soprattutto un luogo ‘teologico’ dove incontrare Cristo”.

“Per la Chiesa il carcere è un dono che sollecita la conversione del cuore, orientando e purificando la fede, la speranza e la carità”, ha aggiunto il porporato.

Citando il numero 62 del Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, il Cardinale ha quindi ricordato che: “Prendersi cura dell’uomo (…) significa, per la Chiesa, coinvolgere anche la società nella sua sollecitudine missionaria e salvifica”.

“La Chiesa – ha continuato il Presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace – deve farsi promotrice, di una cultura dei diritti umani e del rispetto e promozione della dignità umana, anche di coloro che hanno sbagliato o hanno commesso dei delitti e dei crimini”.

“Una cultura dei diritti umani che, senza negare le esigenze della giustizia, sa ed è capace d’indicare le strade della fiducia e della speranza”, ha proseguito.

Martino ha poi sottolineato che “la fonte ultima dei diritti umani non si situa nella volontà degli esseri umani, nella realtà dello Stato, nei poteri pubblici, ma nell’uomo stesso e in Dio suo Creatore”.

Il Cardinale ha espresso la sua gratitudine ai cappellani delle carceri, molti dei quali appartenenti a Congregazioni religiose, ribadendo che: “L’ambiente degli istituti di pena offre, un terreno privilegiato sul quale testimoniare, ancora una volta, la sollecitudine cristiana in campo sociale: ‘ero… carcerato e siete venuti a trovarmi’ (Mt 25,36)”.

Un’espressione di gratitudine, Martino l’ha rivolta anche alle religiose e al vasto mondo del volontariato organizzato che sostengono e collaborano al ministero dei cappellani delle carceri.

“La sfida culturale e pastorale che abbiamo di fronte è comune” – ha concluso il porporato – “da un lato, favorire il reinserimento delle persone condannate; da un altro lato, promuovere una giustizia riconciliatrice, capace di restaurare le relazioni di armonica convivenza spezzate dall’atto criminoso”.

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ZENIT Staff

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