ROMA, lunedì, 7 marzo 2005 (ZENIT.org).- L’ecologia radicale contemporanea ha divinizzato la natura relegando l’uomo ad un ruolo secondario, da cui ha origine il suo “peccato”. Lo ha affermato lo scorso venerdì il professor Joan-Andreu Rocha Scarpetta nel congresso su “Il Peccato Originale. Una Prospettiva Interdisciplinare” tenutosi a Roma presso l’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum (APRA).
“Il peccato nell’ecologismo radicale contemporaneo si trova nel divinizzare la natura, sfocare l’importanza dell’essere umano come curatore del creato, e dimenticare Dio come autore dell’intorno naturale dell’uomo”, ha detto Rocha, Docente di Teologia delle Religioni alla Facoltà di Teologia del medesimo Ateneo nel suo intervento dal titolo “Ecologia radicale e peccato originale”.
“L’ecologismo radicale contemporaneo ha dimenticato la trascendenza divina, ha messo l’uomo allo stesso livello o sotto la natura, ed ha non soltanto convertito il creato in ‘natura’ – dimenticando la creaturalità di essa – ma gli ha dato un valore magico, quasi divino”, ha sostenuto nel corso del congresso organizzato dalla Facoltà di Teologia dell’APRA.
Egli ha poi analizzato le critiche che l’ecologia radicale ha lanciato contro il cristianesimo, e da cui poi è originata la crisi ecologica attuale.
Rocha ha sottolineato che, fondamentalmente, queste critiche si possono racchiudere in tre punti: “La critica alla trascendenza divina; la critica al luogo dell’uomo rispetto al creato – antropocentrismo – e la critica alla visione della natura come ‘creato’, questo è, la percezione di una natura come non magica ed autonoma, ma come creata e creaturale, affermazione che distrugge l’uguaglianza fra uomo – natura”.<br>
Il professore, che insegna anche al Master in Scienze Ambientali di questo stesso Ateneo pontificio, ha ricordato che queste obiezioni al cristianesimo furono osservate dallo storico nordamericano Lynn White già nel 1967, aggiungendo che “suscitarono anche qualcosa di positivo, motivando l’interesse di diversi teologi nella ricerca sul rapporto fra teologia ed ecologia”.
Modelli di rapporto Dio–uomo–creato
Joan-Andreu Rocha Scarpetta è dunque passato a trattare quali sono, storicamente, i tre modelli di sviluppo, proposti dalla teologia cristiana, del rapporto centrale fra Dio, l’uomo e il creato.
“Il primo è il modello iconico; il secondo è il modello di ‘cura del creato’ o della stewardship; il terzo è il modello cristico”, ha definito.
“Se consideriamo il rapporto Dio–uomo–creato, possiamo dire che la tradizione orientale mette l’accento sul primo elemento [Dio] riconoscendo nel creato le sue tracce, ed insistendo allo stesso tempo nel peccato come fattore squilibrante di questo rapporto”, ha affermato Rocha Scarpetta, rintracciando questo modello “ nella teologia sapienziale presente nei primi capitoli della Genesi e nel libro della Sapienza”.
“La tradizione ortodossa svilupperà questo modello in modo abbondante, non soltanto con autori come San Simeone il Nuovo Teologo [sec. XI], ma anche oggi, con il Patriarca Ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I, chiamato ‘il Patriarca verde’”, ha osservato.
Il secondo modello di rapporto tra Dio, umanità e creazione è invece chiamato “modello di cura del creato” [“stewardship”]. È il modello benedettino secondo il quale “il creato appartiene a Dio, e questo è il motivo per cui noi ne dobbiamo avere cura. Questa intuizione è alla base dell’antropologia teologica del creato”, ha poi ricordato lo storico.
“Se il modello iconico dei padri orientali, come San Basilio, accentua l’elemento ‘Dio’ nel rapporto Dio–uomo–creato, il modello benedettino accentua l’elemento uomo, tracciando un cammino spirituale che parte della consapevolezza della creaturalità e del peccato”, ha riconosciuto.
“È precisamente a partire della consapevolezza del peccato che il monaco ascende nei diversi gradini di umiltà verso una cristificazione, affinando uno sguardo equilibrato sul creato non soltanto come dono, ma anche come dovere responsabile”, ha detto. “La teologia benedettina del creato è profondamente cristocentrica, e segue la strada della teologia paolina”.
L’ultimo modello è quello cristico o francescano. “La figura di Francesco di Assisi è così legata al rapporto con la natura, che anche gli ecologisti radicali lo riconoscono come figura paradigmatica del rapporto uomo – natura. Non invano l’anno 1979 Giovanni Paolo II proclamava San Francesco patrono degli ecologisti”, ha osservato.
“Più che accentuare il peccato, Francesco di Assisi accentua l’abbondanza della grazia sul peccato, assumendo in carne propria un ritorno allo stato paradisiaco dei rapporti Dio – uomo – creato, ma senza dimenticare le stigmate di Cristo”, ha commentato il Docente.
“Sfortunatamente si dimentica spesso il forte accento cristocentico del rapporto di Francesco con il creato, togliendo alla sua mistica della natura tutto il suo senso trascendente”, ha quindi lamentato.
Per concludere, il professor Rocha Scarpetta ha precisato che “questi modelli mostrano come il peccato si manifesta quando l’equilibrio fra Dio creatore – uomo curatore – e natura creata viene squilibrato”, costatando infine che “quando si dimentica l’azione creatrice di Dio, si mette l’uomo alla stessa altezza del creato, o si dà un carattere trascendente o magico al creato”.